Come poteva? La mamma era morta solo pochi mesi prima, e lui aveva già portato quella donna in casa…
Franca correva da scuola, agitando allegramente il sacchetto delle scarpe di ricambio. Lo zaino le batteva sulla schiena, ma non ci faceva caso. Lei e suo padre quella sera sarebbero andati a teatro!
Sfrecciò nell’ingresso e capì subito che suo padre non era ancora tornato: il suo cappotto non era sull’attaccapanni. Il suo umore crollò all’istante. Poi si ricordò che mancavano più di due ore allo spettacolo. “Papà arriverà senz’altro, avremo tempo”, si ripeté per consolarsi.
Si tolse il giubbotto e si sedette ad aspettare, guardando l’orologio ogni due minuti. Di solito le lancette si muovevano lentamente, ma quella volta sembravano volare, e suo padre non arrivava. Così avrebbero fatto tardi. E se non fosse venuto? Se si fosse dimenticato o fosse rimasto bloccato al lavoro? Franca era sulle spine. La sua pazienza stava per esaurirsi, e stava per scoppiare in lacrime quando la chiave girò nella serratura. Si lanciò come un fulmine verso l’ingresso.
“Finalmente!”, sospirò Franca. “Ti ho aspettato e aspettato, rischiamo di arrivare in ritardo”, disse al padre con voce risentita, ancora scossa dall’attesa snervante.
Il padre si tolse con calma il cappotto, rimanendo in un elegante completo grigio scuro. Si lisciò i capelli con un gesto, anche se erano già perfettamente in ordine. Franca era fiera di lui: sempre impeccabile, rasato di fresco, con quel profumo di colonia, sempre lo stesso.
Le compagne si lamentavano dei loro genitori: chi aveva un padre troppo severo, chi uno che beveva. Ma il padre di Franca non beveva e non la rimproverava mai senza motivo. Se lo faceva, era giusto, senza urlare o minacciare. Inoltre, le concedeva quasi tutto, e lei non chiedeva molto. Bastava uscire con lui, magari a teatro, per essere felice.
Franca somigliava a lui: slanciata, con un naso forte e diritto, occhi grigi. Avrebbe preferito assomigliare alla mamma, sorridente, col nasino all’insù e i capelli biondi. Ma il padre per lei era la perfezione, un bell’uomo, anche se di sé non avrebbe potuto dire lo stesso. Lui, però, la chiamava principessa, bellezza, bambolina. Le ragazze brutte non ricevono certi nomi, no?
“Non andiamo più a teatro?”, chiese Franca delusa, vedendo che il padre si era messo comodo e il tempo stringeva.
“Ci andiamo. Mi faccio solo un tè, d’accordo? Abbiamo tempo.”
“Va bene”, disse Franca, dirigendosi in cucina.
Il padre la seguì, sedendosi pesantemente sulla sedia. Sembrava stanco e distratto.
“Tu intanto vai a vestirti”, le disse.
Franca corse in camera. Sapeva già quale vestito mettere: si tolse l’uniforme scolastica, prese un elegante abito verde dall’armadio, si sistemò i capelli e si guardò allo specchio, girando su se stessa.
“Allora, pronta?”, il padre si affacciò alla porta.
“Sì!”
In macchina, l’odore di pelle, deodorante e qualcos’altro di familiare che non sapeva definire. Franca guardava fuori dal finestrino, convinta che tutta la città condividesse la sua gioia.
Entrare a teatro era sempre un’emozione: ammirava i lampadari luccicanti, il proprio riflesso nei tanti specchi, la moquette rossa che segnava la scalinata verso il primo piano. Salendo, si sentiva come un’ospite alla corte della regina d’Inghilterra.
Nel foyer, le coppie passeggiavano parlando a bassa voce. Il tappeto attutiva i passi, e il bisbiglio generale ricordava il fruscio delle foglie d’autunno. Un brivido di anticipazione percorreva Franca.
Lei e il padre passeggiarono tra i ritratti degli attori famosi che avevano calcato quel palcoscenico. Franca li aveva già visti, ma si emozionava ogni volta. Al primo squillo, tirò il padre verso la sala.
“Dove corri? È solo il primo squillo”, la frenò lui.
Ma Franca voleva sedersi subito sulla poltrona di velluto e aspettare che l’enorme lampadario si spegnesse lentamente. Avrebbe potuto fissarlo per ore, al punto da farle venire il torcicollo.
“Qui c’è sempre un’odore così buono”, disse Franca.
“Polvere e trucco”, si corrugò il padre.
“A me piace”, insisté lei.
La sala si riempì, poi il secondo squillo. Al terzo, il lampadario si spense, il sipario dorato si aprì e Franca trattenne il fiato.
Nell’intervallo, il padre andò al bar, Franca in bagno. Poi iniziò a cercarlo: non era al bar né in sala. Alla fine, lo vide vicino alla porta del balcone, con una donna molto truccata, in un abito lungo. Stavano vicini, quasi con le teste che si toccavano.
Franca sentì un groppo in gola. *Per quella donna mi ha lasciata sola.*
“Papà!”, lo chiamò.
Lui si scostò lentamente.
“Ti ho perso. Tra poco ricomincia”, disse Franca con voce troppo allegra. Voleva chiedergli del succo e dei pasticcini promessi, ma era chiaro che non erano arrivati al bar.
“Chi è?”, chiese tornando in sala.
“Una collega. Lavoriamo insieme. Ci siamo incontrati per caso.”
La scusa così pronta non la convinse. “Sì, certo, una collega!”
Con il terzo squillo, Franca dimenticò tutto.
Tornando a casa, discutevano dello spettacolo: lui critico, lei entusiasta. In un punto, aveva quasi pianto per quanto era commovente.
“Com’è andato?”, chiese la mamma a casa.
“Bellissimo. Perché non sei venuta?”
Notò uno sguardo veloce tra i genitori, il pallore della mamma. Ma continuò a raccontare, perdendosi nel ricordo.
Più tardi, avrebbe ripensato spesso a quella sera: l’ultima volta a teatro con suo padre. La mamma era in ospedale, la diagnosi confermata. Lo scoprì molto dopo.
Ora la mamma sorrideva raramente. Aveva gli occhi sempre velati di dolore. Passava più tempo in ospedale che a casa, svanendo lentamente.
Franca iniziò a cucinare e pulire, sotto la sua guida.
“Papà, la mamma non morirà, vero?”
“Spero di no. Non pensarci.”
Ma lei non poteva farne a meno.
La mamma morì un anno e mezzo dopo. Franca, prima di scuola, entrò nella sua stanza per salutarla e capì subito.
A 16 anni, sapeva che sarebbe successo, ma rimase lo stesso sconvolta. Non si rassegnò mai. Si chiedeva come il padre riuscisse a sembrare così calmo. Non soffriva?
Lei impiegò mesi a riprendersi. Il dolore si attenuò, ma tornava a ondate.
Vivevano solo loro due, finché un giorno lui tornò a casa con una donna bellissima, molto truccata, molto più giovane. Quel viso le sembrava vagamente familiare.
“Questa è mia figlia Franca. E questa è Valeria…”
“Piacere”, disse Valeria.
“Non reciproco”, rispose Franca, andandosene.
Le lacrime la soffocavano. *Come poteva? La mamma morta da pochi mesi, e lui ha portato quella qui.* Sentiva le risate di lei in cucina, poi il silenzio, immaginandFranca chiuse gli occhi, afferrò la foto della mamma sul comodino e promise a se stessa che un giorno, forse, avrebbe trovato il modo di perdonare.