«Come la suocera trasforma il weekend in una tortura»

«Come la suocera trasforma il weekend in una tortura»
«Non siamo i vostri dipendenti!» Come la suocera trasforma ogni weekend in una fatica senza fine

Se un anno fa mi avessero detto che i miei rari e preziosi weekend si sarebbero trasformati in giornate di duro lavoro fisico, con ogni muscolo indolenzito e lacrime agli occhi, non ci avrei creduto. Eppure, eccoci qui. La colpa è di mia suocera, linflessibile Adriana Rossi, che ha deciso: visto che io e mio marito, Luca, viviamo in un appartamento in città senza giardino, dobbiamo avere tempo da sprecare. Quindi, possiamo essere sfruttati a piacimento.

Io e Luca siamo sposati da poco più di un anno. Abbiamo avuto un matrimonio modesto i soldi scarseggiavano, e nella nostra città ogni euro conta. I miei genitori ci hanno aiutato con un piccolo appartamento in un vecchio palazzo. Ovviamente non era in ottime condizioni, quindi abbiamo pianificato delle ristrutturazioni. Non tutto subito, ma da questa primavera ci lavoriamo poco a poco: un rubinetto qui, la carta da parati là, il pavimento nuovo in cucina. I soldi mancano spesso, e il tempo ancora di più.

I genitori di Luca, però, hanno una casa in campagna con un enorme giardino, galline, anatre, una capretta e persino due mucche. Vivono in una frazione dove molti tengono alla loro terra da generazioni. È stata una loro scelta, il loro progetto. Noi lo rispettiamo, ma per noi non fa.

Adriana, però, la vedeva diversamente. Quando ha scoperto che noi «stavamo comodi in città, senza giardino e senza preoccupazioni», ha cominciato subito a invitarci regolarmente. Allinizio era solo «per una visita». Ma presto, ogni sabato e domenica, arrivavano ordini precisi: «Venite ad aiutare!» Non per «rilassarci» o «staccare la spina», no solo lavoro. Appena mettevamo piede in casa, ci infilava in mano una scopa, una zappa o un secchio. Un sorriso e via, in giardino.

Allinizio pensavo: «Va bene, aiutiamo qualche volta, dimostriamo di fare parte della famiglia.» Anche Luca cercava di frenare sua madre: «Abbiamo la ristrutturazione, poco tempo, lavori stressanti.» Ma la testardaggine di Adriana non conosce limiti. «Voi vivete come re in città! Qui tutto ricade sulle mie spalle!» Le nostre scuse sulla stanchezza non la interessavano. «Cosa avete da fare nel vostro bilocale? Vi abbiamo cresciuto, ora è il momento di ricambiare!»

Francamente, volevo essere una brava nuora. Evitare litigi. Ma poi, durante una visita, mi ha messo in mano un secchio dacqua e uno straccio: «Mentre io preparo la minestra, tu lavi tutto il pavimento fino al capanno e ritorno. E Luca deve sistemare le assi, il pollaio va riparato.» Ho provato a rifiutare gentilmente, dicendo che ero esausta dopo la settimana. Ma lei non mi ha neanche ascoltato. Come se fossi una dipendente pagata che osava rifiutarsi di lavorare.

La domenica sera, ogni muscolo mi doleva. Il lunedì ho fatto tardi al lavoro. Il mio capo era scioccato non mi ammalo mai, e improvvisamente ero a pezzi. Ho mentito, dicendo di non stare bene. E tutto questo dopo un weekend «rilassante» dalla suocera. Nessuna gioia, nessuna gratitudine solo rabbia e delusione.

La cosa peggiore? Io e Luca avevamo spiegato più volte: abbiamo i nostri impegni, siamo stanchi, lappartamento è un cantiere! Ma Adriana chiamava ogni giorno: «Quando venite finalmente? Lorto non si ara da solo!» Quando dicevamo che non potevamo, ribatteva: «Ma cosa state ristrutturando che non finite da mesi? State costruendo un castello?»

La sua sfacciataggine mi ha sconvolto. Soprattutto quando ha detto apertamente: «Contavo su di te. Sei una donna. Devi imparare a mungere le mucche e coltivare lorto ti farà bene.» Ho taciuto, ma dentro ribollivo. Io non ho mai voluto vivere in campagna. Non devo mungere mucche o spalare letame.

Luca mi ha sostenuto. Era stanco quanto me delle sue pretese. Prima andava volentieri dai suoi genitori ora solo per senso del dovere. Spesso ignorava le sue chiamate, perché erano solo rimproveri. Ogni volta mi torturavo per trovare scuse e non andare.

Alla fine ho chiamato mia madre e le ho raccontato tutto. E lei mi ha capita. Ha detto che aiutare è una scelta, non un obbligo. Che una giovane famiglia non può diventare manodopera gratis. E che se ci lasciamo sfruttare ora, peggiorerà solo.

Sono così stanca. Di questa doppia vita lavoro in città e ristrutturazione qui, lavoro nei campi là. Vorrei solo dormire. Passare un weekend con un libro o un film, non con una pala e la terra addosso.

Luca dice seriamente che dovremmo fare un ultimatum: o Adriana smette di tormentarci, o interrompiamo i contatti. Sembra duro? Forse. Ma abbiamo la nostra vita, i nostri sogni, le nostre priorità. Non ci siamo arruolati come braccianti a vita.

E se qualcuno dice: «Ma è normale», «Bisogna aiutare i genitori» non discuto. Ma aiutare significa essere chiesti, non comandati. Essere ringraziati, non manipolati. Avere una scelta, non vedersi scaricare addosso compiti.

Forse linverno fermerà lo zelo di Adriana. E io finalmente potrò tirare il fiato. E ricordarmi che il weekend serve per riposare, non per il servizio obbligatorio.

Alla fine ho imparato: i doveri non si sopportano per senso di colpa, e lamore non si estorce con il lavoro. Alcuni confini bisogna tracciarli da soli altrimenti, saranno gli altri a farlo per te.

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