Ginevra e l’Arte di Sposarsi
Nessuno in paese capiva perché Ginevra avesse una vita sentimentale così grama. Ragazza in gamba, tutto ben fatto, intelligente e pure carina. Un lavoro ottimo, pure: la veterinaria dell’azienda agricola grande. Forse il problema era che Ginevra non era del posto. E, a dirlo piano, era diversa dalle altre qui.
“Se Ginevra abbassasse un po’ quella corona che porta in testa, ecco, magari uno spilungone comparirebbe in casa! Certo, trovarne uno decente è come cercare un ago in un pagliaio, ma almeno un po’ di alito maschile!” lanciò Caterina, dando il via alla discussione fra le nonne radunate sulla panchina del bar della piazza. Era sempre lei ad aprire le danze sui pregi e i difetti del vicinato. News? Le sapeva prima che accadessero.
Ma aveva una degna avversaria: Concetta. Amiche dalla gioventù e polemiste da altrettanto. Se Concetta diceva bianco, Caterina con la bava alla bocca giurava fosse nero.
Tutte si girarono verso Concetta, in attesa della prossima puntata della commedia. Lei non si fece pregare.
“Ma che discorsi sono? Per avere puzza di calzini sporchi in casa bisogna proprio umiliarsi. No, sentitela! Non serve proprio nulla da un uomo, basta che lasci il suo tanfo in giro, mentre lei si spacca la schiena? Bleah, meglio la corona!”
Caterina arrossì persino.
“Ma che vai blaterando, senza capire? A una donna serve un uomo! Che ci sia un uomo in casa!”
“No, spiegami a cosa serve? Tu stessa dici che son rimasti solo gli avanzi! Perché prenderne uno? Per accudirlo?”
Caterina non resistette, balzò in piedi.
“Oh, babbea! E il figlio? Devi farne uno!”
“Babbea tu! Fai un figlio, e poi ti porti appresso per tutta la vita sto ‘uomo’! Non è meglio andare in città, trovarne uno normale e bello, e ‘farti’ questo benedetto figlio? Invece di mantenere per decenni un’acciuga ubriaca, vivendoti la vita?” Le nonne sussultarono. I battibecchi più focosi scoppiavano sempre sulla morale. Una volta litigarono così che non parlarono per un mese. Nemmeno al bar vennero. Fu una noia mortale! Il fatto è che Caterina aveva avuto un marito, sepolto ormai vent’anni prima, mentre Concetta ne aveva avuti tre, e ora il muratore Vinicio le faceva un po’ di corte, proponendo di “unire le aziende”. Concetta oltre i settanta, Vinicio quasi ottanta, e tutto filava.
Quindi le opinioni delle amiche sull’argomento erano sempre opposte. Stavolta sarebbe finita in rissa, se non fosse apparso l’oggetto del contendere proprio lì.
“Salve, ragazze!”
Nina si fermò, guardando le nonne con un sorriso.
“Ciao, Ginevra! Vieni dalla città?”
“Dalla città, Concetta. Oh, ho portato le gocce antipulci, quindi se qualcuno ha gatti che si grattano, passo e gliele do.”
“Oh, Ginevra, le pulci sul gatto ci vogliono!”
“Ma no, Caterina. Oggi ci son goccine: una spruzzatina e il tuo micio peloso sta sul letto sei mesi senza fastidi!” Concetta intervenne di nuovo. Dando un’occhiata sprezzante all’amica, disse:
“Grazie, Ginevra, passa da me. Io, a differenza di certi fossili che campano nel secolo scorso, capisco quanto sia utile. E su certe persone non farci caso, non mi stupirei se si lavassero ancora con la cenere!” Concetta scoppiò in una risatina tremolante. Caterina diventò paonazza dalla rabbia.
Ginevra sorrise. In sei anni di vita paesana s’era abituata: qui non esiste vita privata, è tutta pubblica. All’inizio ci stava male, si offendeva, poi capì: è perfettamente normale. Ciò che dovrebbe rattristarti è quando non parlano di te: vuol dire che non esisti, una nullità.
***
Ginevra era arrivata qui per vocazione. Cittadina purosangue, sognava sin da piccola la campagna: curare cavalli, mucche, ogni tipo di creatura. Diceva che gli animali sono le creature più fedeli e buone. Solo che non sanno dire dove fa male.
Visto l’annuncio per un veterinario nel nuovo agriturismo, con casa in dotazione? Non pensò un secondo. Chiamò, partì e restò. Rimise a posto la casetta in due mesi. Dovette farsele prestare un po’ dai genitori, ma ripagò subito: lo stipendio era onesto.
I genitori vennero qualche volta. Dicevano che stava benissimo, bello… poi la supplicavano di tornare.
“Ginevra, ma che c’è di bello qui? È un paesino! Niente locali, niente cultura. Nulla, nemmeno un lampione di notte!” si lamentava la mamma.
Il papà pareva contrariato. Se la mamma avesse detto che era meraviglioso, avrebbe annuito come un furbacchione.
Ginevra rideva soltanto.
“Ehi, aspettate! Presto prendo un maialino! Vi rifornirò di carne fresca!”
Loro scuotevano la testa, perplessi.
***
Ginevra mantenne la parola. Ora aveva maialino, galline, tacchini. I genitori, capendo che non l’avrebbero convinta, alzarono le mani e iniziarono a godersi le loro gite in campagna.
Ma c’era una cosa che rattristava Ginevra. Come ogni donna, anche lei sognava il matrimonio. Poi capì che non l’aspettava, era solo un “dovere”.
E quella notte, sognò finalmente un futuro radioso pieno di animali, risate e, chissà, forse un bambino tutto suo, senza bisogno di un principe azzurro che puzzasse di calzini.