— Come sarebbe *non può*? È sua madre! Piangeva nella sua stanza, e adesso non vuole seppellirla? — Irma sentì il fiato mozzarsi dall’indignazione.
— Dottoressa Irma, la paziente della stanza quattro ha detto che la signora Milani è morta.
Irma posò la penna, si alzò dalla scrivania, si guardò nello specchio dell’armadio, sistemò una ciocca di capelli sfuggita dal copricapo e uscì dallo studio medico.
La porta della stanza quattro era socchiusa, e Irma entrò in silenzio. Accanto al letto di Anna Maria Milani c’era un uomo piegato in due, che parlava a bassa voce e sospirava rumorosamente. Avvicinandosi, Irma capì subito che Anna Maria era davvero morta: gli occhi chiusi, la bocca semiaperta.
Girò lo sguardo verso gli altri letti. Uno era vuoto, mentre sull’altro c’era una donna anziana che, cogliendo il suo sguardo, la chiamò con un gesto, come se l’avesse aspettata. Irma si avvicinò.
— È lì da dieci minuti. Sospira e chiede perdono. Ha detto di non chiamare nessuno, che voleva salutarla — sussurrò la donna, allargando gli occhi per enfatizzare.
Irma tornò al letto della defunta.
— Dobbiamo portarla via, gli altri pazienti sono agitati… — Si interruppe quando l’uomo si voltò di scatto, mostrandole un viso arrossato e bagnato di lacrime. — Sua madre è morta. Non si può cambiare — disse piano.
*Ma guarda, un uomo adulto che si dispera così per la madre. Devono essere stati davvero legati*, pensò con compassione.
— Di cosa la stavate curando? — le chiese all’improvviso con voce roca.
— Domanda strana. Di solito si chiede *di cosa* è morto qualcuno. Venga nello studio, le spiego tutto. — Irma si girò verso la porta, ma il figlio della signora Milani le afferrò il polso. — Ma che si permette? Mi lasci! Mi fa male! — alzò la voce.
— E voi perché l’avete lasciata morire? Non è mai stata malata. Lei… — singhiozzò, coprendosi gli occhi con una mano.
Irma si liberò dalla sua stretta.
— Se non si lamentava con voi, non vuol dire che stesse bene. O forse non vi diceva nulla per non preoccuparvi. O forse non si aspettava il vostro aiuto — rispose senza pietà. — È stata due settimane in reparto, e non siete venuto *una volta*. E adesso piangete.
— Non lo sapevo. Ero in trasferta. Me l’ha detto la vicina stamattina — rispose l’uomo, più calmo.
— Venga nello studio — ripeté Irma, stanca. Ma lui non si mosse.
Uscì per dare disposizioni, ma il figlio di Anna Maria non si fece più vedere. L’infermiera Elena le disse che se n’era andato. Irma sapeva che le reazioni alla morte di un familiare possono essere le più diverse, e pensò che sarebbe tornato più tardi. Due giorni dopo, però, la chiamarono dal obitorio: nessuno si era presentato a ritirare il corpo.
— *Nessuno*? — ricordò l’uomo in lacrime. — Mi occupo, io — disse, riagganciando.
— Non l’ha presa? Ma com’è possibile? Piangeva così tanto. Forse gli è successo qualcosa? O si è ubriacato dal dolore? — Irma trovò la cartella della signora Milani, cercando il numero di telefono del parente più prossimo.
Nessuno rispondeva, stava per riagganciare quando sentì un respiro affannoso, poi una voce ubriaca:
— Che vuoi?
— Sono il medico di sua madre. Avete intenzione di seppellirla?
— Io… non posso… — biascicò dall’altra parte.
— *Come non può*? Si è ubriacato e se n’è dimenticato? È sua madre! Piangeva al suo capezzale, e adesso non vuole darle dignità? — Irma trattenne il fiato per la rabbia. — Sappiate che l’obitorio può tenere il corpo gratuitamente per sette giorni, poi dovrete—
— Voi l’avete uccisa, e ora mi chiamate… — un rumore di linea interrotto, poi il silenzio.
— Maleducato! — esclamò. — Bisogna proprio essere ubriachi fradici per dimenticarsi di seppellire la propria madre!
Ne aveva viste di ogni nella sua carriera, pazienti ingrati, parenti sgarbati. Niente di nuovo. Si ripeté che l’uomo si sarebbe ripreso. *Hai tempo, domani lo chiamo e gli ricordo*, pensò.
Ma il giorno dopo si dimenticò. Dall’obitorio non chiamarono più, quindi il figlio aveva probabilmente ritirato la madre. Ma la storia continuava a tornarle in mente.
Ricordò quando aveva seppellito *sua* madre…
***
I loro rapporti erano sempre stati difficili. La mamma l’aveva cresciuta da sola ed era severissima. Anche al liceo le vietava di rientrare dopo le nove. Le compagne si tingevano i capelli di blu o rosso, lei non osava nemmeno pensarci. E il trucco? Nemmeno a parlarne.
Era impossibile convincerla a comprarle un vestito che le piacesse. La mamma sceglieva sempre cose *pratiche*. Le lacrime non servivano a nulla.
D’estate, Irma faceva la volontaria in ospedale per comprarsi qualcosa di carino. Ma la gioia durava poco: la mamma la rimproverava. *Non mi hai dato un euro. Tutto speso in vestiti!*
— Credevo che, una volta cresciuta, mi avresti aiutata. Quanto ancora dovrò mantenerti? — la sgridò quando Irma le disse di essere stata ammessa a medicina.
La vita le sembrava insopportabile, voleva solo scappare. Al secondo anno se ne andò di casa, ignorando le urla della madre. Andò a vivere con un compagno di corso in affitto.
Lui non si tirò indietro quando Irma rimase incinta. I suoi genitori non fecero storie. Avrebbero fatto un matrimonio semplice, senza festa. Ma Irma ebbe un aborto. La necessità del matrimonio svanì, ma lui insistì: si sposarono.
All’ultimo anno, rimase incinta di nuovo. Aspettò a dirlo, temendo il peggio. Quando finalmente si decise, lui aveva l’influenza e saltava le lezioni. Tornò a casa in fretta per raccontarglielo, e lo trovò a letto con un’altra.
Non se ne andò solo perché non aveva dove andare. Tornare dalla mamma, incinta? No. Suo marito passava sempre meno tempo a casa, e quando nacque Matteo, sparì.
Non voleva nemmeno ricordare quei momenti. La suocera la aiutò, e Irma le fu grata, anche se non era affettuosa. Col tempo, le cose migliorarono. Irma trovò lavoro, Matteo andò all’asilo, e tutto diventò più facile. La suocera lo teneva quando Irma faceva turni di notte.
Un giorno, incontrò una vicina, che le disse che la mamma era malata, in ospedale. Irma andò subito da lei, chiedendole perdono per essersene andata, supplicandola di farsi curare nel suo ospedale. La mamma rifiutò.
Da allora, Irma andava ogni giorno all’altro capo della città, dopo il lavoro, per visitarla. Spesso arrivava tardi a prendere Matteo all’asilo. La stanchezza e il risentimento crescevano.
Persino dopo la dimissione, la mamma non volle che Irma e Matteo si trasferissero da lei. — Il bambino fa rumIrma chiuse gli occhi un attimo, sorridendo al pensiero che forse, tra tutte le tempeste della vita, la pace arriva sempre quando meno te l’aspetti.