Com’è possibile permettere all’ex suocera di vedere la bambina? Non hai né orgoglio né coscienza — così mi disse mia madre.
La scorsa settimana mia figlia compì due anni. Un compleanno, una piccola festa che preparai da sola, come potevo, con pochi soldi e senza aiuto. Il padre della bambina non si ricordò neanche. Nessuna chiamata, nessun messaggio. Ma sua madre, la mia ex suocera, sì. Telefonò, fece gli auguri, disse che voleva vedere la nipotina. E io, non trovandoci nulla di male, acconsentii. Dopotutto, era sua nonna. Fa forse male a un bambino essere amato?
Giulia, così si chiamava la mia ex suocera, arrivò con le mani piene: portò un giocattolo, qualche dolce e una busta con dei soldi. Andammo al parco, facemmo una passeggiata, poi passammo da me a casa. Sorrisi perfino. Ma tutto finì quando tornò mia madre…
— Ma non hai un briciolo di vergogna?! — sibilò appena varcò la soglia. — Far entrare quella… quella… a baciare tua figlia! Avresti dovuto cacciarla via! E poi accettare pure i regali… ma almeno un po’ di orgoglio ce l’hai?!
Girava per la camera, gesticolava, si lamentava. Disse che il giocattolo era robaccia cinese, i dolci veleno e i soldi un’elemosina. Tutta la notte continuò a sibilarmi nella testa, anche quando taceva. Sosteneva che Giulia fosse “una brava nonna”, mentre lei, mia madre, fosse “la cattiva”. Che io tradisco sempre tutti. Che un tempo aveva fatto la fame per me, e ora la lasciavo per un’estranea con la BMW.
Divorziai da mio marito quasi un anno fa. Se ne andò da solo. Fece le valigie, uscì dalla porta e non tornò più. L’appartamento dove vivevamo era intestato a sua madre. Niente era mio. Legalmente, non contavo niente. E non avevo dove andare.
Dell’annullamento si occupò l’avvocato di mia suocera — ancora oggi non capisco perché, dato che non c’era nulla da dividere. Mio marito rinunciò subito alla bambina. E sulla carta, non aveva né beni né reddito. Non chiesi nulla — né alimenti né mobili. Solo di restare in casa fino alla fine del congedo di maternità. Ma neanche quello mi concessero.
Giulia non fu sconvolta. Non ero la prima, né credo l’ultima donna nella vita di suo figlio. Per lei, ero solo una fra tante. Mi aiutò perfino a traslocare — pagò i facchini, organizzò il trasloco. Portai via solo le mie cose. E basta.
Ora vivo con mia madre. Siamo in tre, strette in un monolocale. Gli alimenti sono una miseria. Mio marito è sparito, come se non fosse mai esistito. Solo Giulia ogni tanto ricorda che ha una nipote. Chiama, chiede notizie, porta qualcosa.
Non ho opposto resistenza. Non vedevo motivo di vietare a una nonna di vedere la nipote. Ci incontrammo al parco. Indossava un cappotto costoso, arrivò con l’auto nuova, regalò un pupazzo e dei cioccolatini. Tutto qui. E poi, a casa, cominciò l’inferno.
Mia madre fece una scenata. Disse che ero una traditrice. Che non avevo il diritto di permettere a “quella donna” di avvicinarsi alla bambina. Che se il padre l’aveva abbandonata, neanche la nonna doveva avere diritto. Che ero la vergogna della famiglia. Arrivò al punto di cacciarmi di casa — a notte fonda, con la bambina in braccio, senza sapere dove andare.
Rimasi nell’androne a pensare: ma di cosa sono colpevole, esattamente? D’aver permesso a una nonna di abbracciare la nipote? Che la bambina abbia giocato con un orsacchiotto? O forse d’essere stanca di essere sola?
A volte mi sembra di essere schiacciata fra due muri. Da una parte, un uomo scappato alle responsabilità; dall’altra, una madre che finge di proteggermi, ma in realtà mi soffoca. E io vorrei solo un po’ di silenzio. E che qualcuno amasse mia figlia. Anche chi, un tempo, ha fatto male a me.
Ma a quanto pare, in questa casa, l’amore è un reato.