17 ottobre 2025
Oggi mi sono alzato prima del solito, con lanimo ancora avvolto nella nebbia mattutina di Milano. Ho ordinato ad Adriana, la mia moglie, di sistemarmi la cravatta che ho portato da Londra la cravatta di seta con il nodo di Windsor, quella che ogni volta mi ricorda gli affari con i partner britannici. Che cosa mi stai mettendo? Dammi quella che ho comprato a Londra, altrimenti non sarò pronto per lincontro con il direttore generale, le ho detto, stringendole il collo della camicia bianca. Lei, con un gesto rapido, mi ha porgato laccessorio richiesto senza dire una parola.
Mentre cercava di sistemare il nodo, ho alzato lo sguardo allo specchio, ho aggiustato locchiolino e ho sorriso al riflesso, quasi a rimproverare la moglie: Sei davvero incapace di farlo come si deve! Ho poi ordinato dalla cucina: Togli le uova, non voglio. Versa il caffè e prepara un toast. Il caffè era ormai freddo, e il suo aspetto mi ha irritato ancora di più.
A quel punto è comparsa la piccola Annetta, la mia nipotina che è venuta a stare con noi per una settimana insieme a sua madre. Con i cinque anni di età, osservava lufficio con curiosità da dietro la porta della cucina. Vieni qui, Annetta, ho detto con voce più dolce del solito, prendendola in grembo. Volevo sentirla ridere, stringermi forte, ma lei mi ha risposto con una voce innocente: Nonno, perché mi parli così? Solo le persone buone lo fanno.
Ho tentato di difendermi: Sono buono io? Ma la bambina, toccando il petto con la piccola mano, ha replicato: No, non è così. Qui fa freddo. Poi, avvicinandosi a Adriana, lha baciata sulla guancia e ha sussurrato: Buongiorno, nonna.
Il rumore di una sirenetta mi ha ricordato il taxi che mi aspettava fuori dalledificio. Ho indossato il cappotto, ho lucidato le scarpe che avevo lucidato la sera precedente e, afferrando la valigetta, ho uscito: Non aspettatevi di vedermi a pranzo, la sera potrei tornare tardi, ho lanciato mentre scendevo le scale.
Camminando, il solito pensiero di essere un capo energico mi ha accompagnato: sempre pronto a fare girare le montagne per i miei dipendenti, a dare ordini, a fissare scadenze senza chiedermi se gli altri possano sopportare la pressione. Ma le parole di Annetta mi hanno graffiato lanima: È stato un vero colpo. Mi sono arrabbiato, ma dentro sentivo un piccolo nodo di dolore.
Al secondo piano, ho scorto un gattino di due mesi rannicchiato accanto al termosifone, tremante e spaventato. Sei finito qui, piccolo pestifero, ho borbottato, pensando di chiedere al portiere di rimuoverlo. Ma non cera nessun portiere: la neve fresca aveva coperto i marciapiedi e i giardini. Che fannullone! ho esclamato, fermandomi allingresso dellascensore, in attesa che il mio autista, Carlo, arrivasse. Allufficio! ho ordinato a voce secca, mentre i pensieri mi turbavano ancora.
Nessuno mi può dire cosa fare, ho pensato. Perché gli altri hanno paura, ma la nipote non ha paura. Forse ha ragione, forse ha detto la verità. Ho crollato sulla sedia, cercando di convincermi che, sebbene il lavoro mi abbia indurito, dentro di me cè ancora bontà.
Fa freddo oggi, il ghiaccio è ovunque, ho detto improvvisamente a Carlo, che ha alzato un sopracciglio. Niente di grave, siamo su strade con catene, ma per i pedoni non è affatto piacevole. Abbiamo scambiato qualche frase e, guardando fuori dal finestrino, ho notato i passanti che tremavano alla fermata dellautobus.
Ho indicato una giovane donna, Lia, dellufficio logistica, non più di ventanni, quasi la stessa età di mia figlia. Prendila, Carlo, portala con noi. Ha freddo. Lia è salita sul sedile posteriore con un sorriso, tirando fuori dal suo cappotto una piccola gattina bianca, tremante. Lho trovata alla fermata, correva da un posto allaltro, piangeva. Nessuno si è curato di lei, così lho presa tra le braccia e lho riscaldata.
Lia mi ha raccontato di suo figlio, Marco, che compie sette anni, al primo anno di scuola elementare, capace di prendersi cura di sé. Ho ricordato le volte in cui avevo chiesto al suo reparto di fare straordinari senza reale necessità. Allora, Lia, ti concedo il giorno libero per festeggiare il compleanno di Marco e per salvare la gattina. Dillo al tuo capo, io mi occuperò di tutto.
Il capo, Carlo, ha risposto: Sei davvero generoso, signor Romano! Lia ha replicato: I buoni hanno il cuore per i gatti. Io ho sorriso, rispondendo: Chi ama i gatti è sicuramente buono.
Durante la pausa pranzo, ho chiesto a Carlo se avesse dei gatti. Due, due mascalzoni, ha risposto ridendo. Poi, parlando con il mio vice, Giulio, mi ha chiesto se avesse nipoti. Due, due scatenati, ha detto. Abbiamo scherzato su chi fosse più furbo. Giulio ha poi chiesto dei gatti a casa: Come potremmo fare senza di loro? È il nostro re. Ho alzato le sopracciglia, divertito dalla sua risposta.
Tornato in casa, ho trovato di nuovo il gattino accanto al termosifone, con una coperta e una ciotola di cibo. Lho sollevato, lo ho stretto al petto e lho coccolato. Il calore, così dimenticato, è tornato a scaldarmi il cuore.
Annetta ha coricato il gattino sul suo grembo e mi ha chiesto: Nonno, ora non fa più freddo qui? Le ho accarezzato il viso e ho promesso: Sì, cara. Da ora in poi il nostro piccolo sarà al sicuro, con una casa e una mamma, e noi avremo sempre un po di calore in più.
E così ho capito, mentre osservavo il piccolo felino dormire sereno, che la durezza del lavoro non deve spegnere la nostra umanità. Il vero calore nasce dalla capacità di accogliere chi è vulnerabile, sia esso un bambino, un gatto o un collega. È questo linsegnamento che porto con me: la gentilezza è lunica vera armatura contro il freddo della vita.





