COME UN VALIGIA CON IL MANICO STRAPPATO…

“COME UNA VALIGIA CON LA MANIGLIA ROTTA…”

“Tolio, non venire più da me. Va bene?” dissi con calma.

“Cioè? Oggi non vengo?” chiese lui, confuso.

Era mattina presto, Tolio già si trovava nell’ingresso, di fretta per il lavoro.

“No, mai più,” precisai.

“Mmm… Che succede, Dina? Va bene, ti chiamo più tardi,” rispose in fretta, sorridendo, e dopo un bacio affrettato se ne andò. Chiusi la porta e sospirai sollevata.

Quelle parole mi erano costate fatica. Tolio era stato quasi come un fratello. Quella notte ero stata passionale, insaziabile. Era il mio addio, ma lui non aveva capito nulla. Si era solo stupito:

“Dina! Che meraviglia stasera! Una dea! Sii sempre così! Ti amo, piccola mia!”

Un tempo andavamo d’accordo in quattro: io, mio marito Romeo, Tolio e sua moglie Bianca (così chiamava affettuosamente la sua Bella). Gioventù spensierata, allegra e turbolenta. In verità, Tolio mi era sempre piaciuto. Se compravo un vestito, un paio di scarpe o una borsa, pensavo anche a lui. “Gli piacerà?” Bianca era la mia migliore amica.

Passammo insieme tanti momenti, troppi da raccontare. Sapevo che Tolio aveva un debole per me, ma tra noi si mantenne sempre una certa distanza. Quando ci incontravamo, mi abbracciava teneramente e sussurrava:

“Dinetta, quanto mi sei mancata!”

Credo che, nelle amicizie tra famiglie, ci siano sempre simpatie nascoste. Gli uomini verso le donne o viceversa. L’uomo è debole davanti alle tentazioni. Di sicuro, qualcuno apprezza qualcun altro in segreto, qualcuno è innamorato della moglie dell’amico. Per questo si è amici… fino a un certo punto. Non credo nell’amicizia tra uomo e donna. Prima o poi, tra “amici” ci sarà un letto, o c’è già stato, o ci sarà. È come accendere un fuoco vicino a un covone di fieno: prima o poi tutto brucerà. Forse ci sono eccezioni, ma rare.

Mio marito Romeo si leccava i baffi guardando Bianca. Me n’ero accorta più volte e gli avevo dato qualche scapaccione. Lui rideva e si giustificava:

“Dina, non dire sciocchezze! Siamo amici!” Poi, ridendo, aggiungeva:

“Chi è sotto terra non pecca più…”

Di Bianca mi fidavo come di me stessa. Non avrebbe mai oltrepassato il limite. Ma Romeo amava cogliere la frutta negli orti altrui. Fu per questo che, dopo vent’anni di matrimonio, ci lasciammo. Sposò una di quelle “fragoline” quando lei cominciò a parlare di un erede. I nostri figli erano già grandi e avevano lasciato il nido. Gli preparai la valigia e lo benedissi per le seconde nozze.

“Ecco, è arrivata la solitudine,” mi lamentai all’inizio.

Tolio e Bianca venivano spesso a trovarmi, cercando di consolarmi. Ma la verità è che non soffrivo troppo. Tuttavia, ogni festa diventava un supplizio. Giravo per casa come un’ombra, sentendo più che mai il vuoto intorno. Nessuno con cui fare due chiacchiere, litigare, piangere.

Tre anni dopo, Tolio rimase vedovo. La morte non perdona. Bianca aveva sofferto a lungo, e prima di morire mi aveva affidato suo marito.

“Dina, abbi cura di Toli. Non voglio che cada nelle mani di un’altra. Tu gli sei sempre piaciuta, l’ho sentito. Vivete insieme.”

Tolio fece il suo dovere: piange la moglie, le eresse una lapide di granito, piantò fiori sulla tomba. Poi cominciò a venire da me. Lo accoglievo a braccia aperte, cercando di alleviare il suo dolore. Gli diedi tutto l’affetto e le cure che potevo. Avevamo tanti ricordi in comune, momenti da ridere e da piangere.

Abbiamo condiviso tanto, gioie e dolori divisi a metà. Ci avvicinammo ancora di più.

Ma col tempo, quel legame cominciò a pesarmi. Ogni sua parola mi irritava, cercavo pretesti per litigare. Capii: non era cosa mia. Non lo era mai stata.

L’odore era sbagliato, il letto freddo, lo humour assente. Le sue parole mi sembravano vuote, come un cieco che parla dei colori. Era monotono, troppo pignolo, esigente col cibo e con i vestiti. Insomma, per quanto brilli la luna, non sarà mai il sole. Bianca doveva amarlo davvero, per sopportarlo.

Cominciai a tormentarmi. Forse mi ero abituata a vivere sola, senza intrusi. Ogni traccia di simpatia per Tolio svanì. E quando finii per non sopportarlo più, decisi di chiudere in bellezza. Una notte indimenticabile, poi basta.

Lui, invece, mi amava perdutamente e credeva che tutto fosse perfetto. Alle mie provocazioni rispondeva con un sorriso innocente. Non si arrabbiava mai, non mi contraddiceva. A volte mi diceva:

“Dinetta, non arrabbiarti. Sistemerò tutto. Non riuscirai a liberarti di me. Chi ti amerà come faccio io?”

E aveva ragione: chi? Dopo quelle parole, mi scioglievo come una candela.

Tolio mi chiamò durante la pausa pranzo.

“Dina! Che succede? Stai bene?” chiese preoccupato.

“Tutto bene. Vieni prima, mi sei mancato,” mentii.

Pensai: sei come una valigia con la maniglia rotta. Non riesco a buttarti via, ma portarti è una fatica…

Le nostre strade si erano intrecciate. Che potevo fare? Abbandonare un vedovo in balia del destino? Sarebbe finito male…

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