**COME UNA VALIGIA CON LA MANIGLIA ROTTA…**
“Tonio, non venire più da me. Va bene?” chiesi con calma.
“Cioè? Oggi non vengo?” rispose Tonio, confuso.
Era mattina presto, e lui era già sulla porta del corridoio, di fretta per andare al lavoro.
“No, intendo mai più,” precisai.
“Mh… Cos’è successo, Dina? Sai cosa, ti chiamo più tardi,” disse Tonio, dandomi un bacio rapido prima di scappare via. Chiusi la porta e tirai un sospiro di liberazione.
Avevo rimandato quel momento per molto. Le parole mi pesavano. Tonio era quasi come famiglia.
Quella notte, mi ero concessa con passione struggente. Ero stata l’ultima volta. Lui non aveva capito, non aveva sussurrato altro che:
“Dina! Sei stata incredibile stasera. Una dea! Fatti vedere così sempre. Ti amo, piccola!”
Una volta le nostre famiglie erano inseparabili. Io, mio marito Luca, Tonio e sua moglie Pupa (così chiamava affettuosamente la sua Paola).
Eravamo giovani, rumorosi e spensierati. A dirla tutta, Tonio mi era sempre piaciuto. Quando compravo un vestito, delle scarpe, una borsa, mi chiedevo sempre: *piaceranno a Tonio?* Pupa era la mia migliore amica.
Quante abbiamo passato insieme! Non si potrebbero raccontare tutte. Sapevo che Tonio aveva un debole, ma tra noi c’era sempre stato un limite.
Quando ci incontravamo, mi abbracciava teneramente e sussurrava:
“Dinetta, quanto mi sei mancata!”
Credo che nelle amicizie tra famiglie, certe simpatie siano inevitabili. Uomini per donne, o viceversa. Siamo tutti deboli davanti alle tentazioni. Magari qualcuno ama la moglie dell’amico, ed è per quello che rimangono vicini… fino a un certo punto. Io non credo nell’amicizia pura tra uomo e donna. Prima o poi, quei “fratelli e sorelle” finiscono a letto. È come accendere un fuoco vicino a un pagliaio: prima o poi brucia tutto. Ci saranno eccezioni, certo. Poche.
Mio marito Luca si leccava i baffi guardando Pupa. Me n’ero accorta più volte, e ogni volta lo strattonavo.
Rideva e si difendeva:
“Dina, non fare storie! Siamo amici!”
Poi, ridacchiando, aggiungeva:
“Chi non pecca, giace sottoterra…”
Di Pupa mi fidavo ciecamente. Non avrebbe mai oltrepassato il limite. Ma Luca amava fare scventure nei giardini altrui. Dopo vent’anni, divorziammo. Lui si risposò con una di quelle “fragoline” quando lei cominciò a parlare di un erede. I nostri figli, ormai grandi, se n’erano andati di casa. Gli preparai la valigia e lo benedissi per le nuove nozze.
*”Eccolo, il famoso isolamento femminile,”* mi lamentai all’inizio.
Pupa e Tonio venivano spesso a farmi compagnia, con aria compassionevole. Ma la verità è che non soffrivo poi. Odiavo solo le feste. La casa sembrava vuota e rimasi a vagare senza meta in quei giorni. Quando sei sola, ogni risata in lontananza diventa un tuffo al cuore.
Tre anni dopo, Tonio rimase vedovo. Né preghiere né scongiuri tengono la morte lontana. Pupa aveva sofferto per un anno intero e, prima di morire, mi aveva affidato suo marito.
“Tieniti Tonio. Non voglio che finisca con un’altra. Tu gli sei sempre piaciuta, lo sentivo. Siate felici,” mi disse.
Tonio fece il suo lutto, mise un bel monumento di marmo sulla tomba e pianfò fiori. Poi cominciò a venire da me. Lo accolsi con affetto, aiutandolo a superare il dolore. Ero pronta a inondarlo di calore, cure e amore. Insieme, ridevamo e piangevamo su vecchi ricordi.
La vita ci aveva dato gioie e dolori, e ormai eravamo legatissimi. Ma col tempo, quel legame diventò pesante. Ogni gesto di Tonio mi irritava. Litigavamo per nulla, lo criticavo senza motivo. Non era lui. Non lo era mai stato.
L’odore era sbagliato, il letto freddo, il suo umorismo piatto. Tonio parlava come un cieco dei colori—senza sostanza. Era pedante, schizzinoso, insopportabile. *Forse Pupa lo amava davvero, se riusciva a sopportarlo…*
Cominciai a sentirmi in colpa. Forse mi ero abituata alla solitudine, senza estranei in casa. Ogni affetto per Tonio svanì. Quando la sua presenza divenne inaceptabile, proposi di separarci. Decisi di concedergli un’ultima notte in grandissimo stile—che almeno si ricordasse—e di chiudere per sempre.
Lui invece era convinto che fossimo felici. Sorrideva alle mie provocazioni, mi baciava le mani, non si arrabbiava mai. Mi guardava con occhi di cane fedele e diceva:
“Dinetta, non farmi questo. Non puoi lasciarmi. Chi ti amerà come faccio io?”
E aveva ragione. Dopo quelle parole, mi scioglievo come cera al sole.
Tonio mi chiamò durante la pausa pranzo.
“Dina! Che succede? Stai bene?”
“Tutto bene. Vieni prima stasera. Mi sei mancato,” borbottai, colpevole.
*Beh, sei la mia valigia con la maniglia rotta—né la butto, né la porto in giro.*
Le nostre strade erano ormai intrecciate.
Cosa potevo fare? Abbandonare un vedovo così bisognoso? Sarebbe finito male…






