COME UNA VALIGIA CON UN MANICO STRAPPATO…

Ecco la storia adattata alla cultura italiana con nomi, luoghi e riferimenti culturali appropriati:

“COME UNA VALIGIA CON LA MANIGLIA ROTTA…”

“Luca, non venire più da me. Va bene?” dissi con calma.

“Cioè oggi non vengo?” chiese Luca, confuso.

Era mattina presto e Luca era già sulla porta del corridoio, di fretta per andare al lavoro.

“No, intendo mai più,” precisai.

“Mmm… Che succede, Ginevra? Sentiamoci più tardi,” e Luca mi baciò in fretta prima di scappare. Chiusi la porta e sospirai sollevata.

Ci avevo pensato a lungo prima di dirglielo. Non era stato facile. Luca era come di famiglia.

Quella notte ero stata passionale e insaziabile. Era il mio addio. Lui non aveva capito niente. Si era solo stupito:

“Ginevra! Ma che meraviglia stasera! Sei una dea! Resta così, ti voglio bene, piccola mia!”

Una volta le nostre famiglie erano amiche. Io, mio marito Marco, Luca e sua moglie Lella (così chiamava affettuosamente la sua Elisabetta).

Eravamo giovani, scalmanati e spensierati. A dirla tutta, Luca mi piaceva sempre. Se compravo un vestito, delle scarpe o una borsa, mi chiedevo se sarebbero piaciuti anche a lui. Lella era la mia migliore amica.

Abbiamo passato di tutto insieme, non basterebbe il tempo per raccontarlo. Sapevo che Luca mi guardava in un certo modo, ma tra noi c’era sempre stata una certa distanza.

Alle cene insieme, Luca mi abbracciava teneramente e sussurrava all’orecchio:

“Gine, che mi sei mancata!”

Secondo me, quando due coppie sono amiche, c’è sempre un po’ di attrazione. L’uomo verso l’amica, o viceversa. Siamo tutti deboli davanti alla tentazione. Magari uno dei due ha una cotta, e l’altro è innamorato della moglie dell’amico. Proprio per questo si diventa amici… fino a un certo punto. Non credo nell’amicizia tra uomo e donna. O ci sono già stati letti di mezzo, o ci saranno. È come accendere un fuoco vicino a un pagliaio: prima o poi, tutto va in fiamme. Forse ci sono eccezioni, ma rare.

Il mio Marco si leccava i baffi guardando Lella, e io glielo facevo notare con una sberla sulla nuca.

Lui rideva e si giustificava:

“Gine, non fare storie! Siamo amici!”

Poi, ridendo, aggiungeva:

“Chi è sotto terra non pecca più…”

Di Lella mi fidavo come di me stessa. Non avrebbe mai oltrepassato il limite. Ma il mio Marco era un po’ goloso di frutta altrui. E infatti ci siamo lasciati dopo vent’anni di matrimonio. Lui si è risposato con una di quelle “fragoline” quando lei ha iniziato a parlare di un erede. I nostri figli erano già grandi e se n’erano andati di casa. Feci le valigie a Marco e lo benedissi per le seconde nozze.

“Ecco, è arrivata la solitudine,” pensai all’inizio.

Lella e Luca venivano spesso a trovarmi e cercavano di consolarmi. Ma in realtà non soffrivo troppo. Però odiavo tutte le feste. Mi ritrovavo a vagare per casa come un’anima in pena. Proprio nei giorni di festa ti accorgi di quanto sei sola. Non c’è nessuno con cui parlare, litigare, piangere.

Dopo tre anni, Luca rimase vedovo. La morte non perdona nessuno, né con le preghiere né con i segni della croce. Lella aveva sofferto un anno intero e, prima di morire, mi affidò suo marito.

Mi disse proprio così:

“Ginevra, bada a Luca. Non voglio che finisca con un’altra. Tu gli sei sempre piaciuta, l’ho sentito. State insieme.”

Luca fece il suo lutto, mise una bella lapide di granito e piantò fiori sulla tomba. Poi iniziò a frequentarmi. Lo accoglievo a braccia aperte, cercando di aiutarlo a superare il dolore. Lo riempivo di attenzioni, coccole, amore. Con Luca avevamo tanti ricordi, momenti da ridere e altri da piangere.

Abbiamo vissuto tanto insieme, gioie e dolori divisi a metà. Io e Luca ci siamo avvicinati ancora di più.

Ma col tempo ho iniziato a sentirmi oppressa. Ogni cosa che faceva mi irritava, litigavo per un nonnulla, lo criticavo senza motivo. E capii: non era quello che volevo!

Non mi piaceva il suo odore, il letto era freddo, lo humour non c’era. A volte mi pareva che Luca parlasse senza sapere di cosa. Le sue conversazioni mi annoiavano terribilmente. Parlava per ore, ma non diceva niente. Era pedante, troppo pignolo, schizzinoso col cibo e con i vestiti. Insomma, per quanto la luna brilli, non è mai il sole. Forse Lella lo amava davvero, se sopportava tutti i suoi capricci?

Iniziai a tormentarmi. Forse mi ero abituata a vivere sola, senza coinquilini. Tutta la simpatia che avevo per Luca era svanita. E quando iniziò a starmi proprio sui nervi, decisi di chiudere con lui. Pensai: gli regalerò una notte indimenticabile (che almeno se la ricordi!) e poi basta.

Luca invece mi adorava e credeva che tra noi tutto fosse perfetto. Alle mie provocazioni rispondeva con un sorriso innocente. Mi baciava le mani, non mi mancava mai di rispetto. Non litigava, non si offendava.

A volte mi diceva con dolcezza:

“Gine, non arrabbiarti. Sistemerò tutto. Non riuscirai a liberarti di me. Non lasciarmi andare, stringi le dita. Chi ti vorrà bene come me?”

E aveva ragione. Dopo quelle parole, mi scioglievo come neve al sole.

Luca mi chiamò durante la pausa pranzo.

“Ginevra! Che succede? Stai bene?” chiese preoccupato.

“Tutto bene. Vieni prima stasera. Mi sei mancato tanto,” borbottai colpevole.

Beh, pensai, sei come una valigia con la maniglia rotta: non la vuoi buttare, ma portartela dietro è una scocciatura…

Le nostre strade si erano intrecciate.

E poi che faccio? Lo lascio in mezzo a una strada, questo povero vedovo affidatomi? Senza di me sarebbe perduto…

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