Con la pensione, oltre alle consuete spese di casa e all’acquisto di generi alimentari in offerta, Caterina Maria si permetteva un piccolo sfizio: un pacchetto di caffè in chicchi.
I chicchi erano già tostati e, quando apriva il pacchetto, sprigionavano un aroma che inebriava. Bisognava inspirarlo con gli occhi chiusi, abbandonandosi completamente alla fragranza, lasciandosi trasportare da un’ondata di ricordi: sogni di ragazza su paesi lontani, il rumore delle onde oceaniche, scrosci di piogge tropicali, misteriosi fruscii nelle foreste pluviali e i richiami delle scimmie che saltano tra le liane…
Tutto ciò non l’aveva mai visto di persona, ma i racconti del padre, sempre in viaggio in spedizioni esplorative in Sud America, li ricordava bene. Quando lui era a casa, amava raccontare a Caterina delle avventure nella valle dell’Amazzonia, sorseggiando un espresso, il cui profumo le ricordava sempre quel padre asciutto, muscoloso e abbronzato. Lei sapeva che i suoi genitori non erano quelli biologici.
Ricordava di come, all’inizio della guerra, una donna l’avesse trovata, orfana e di tre anni, e le fosse diventata una mamma per tutta la vita. Poi il resto fu simile a tanti altri: scuola, studi, lavoro, matrimonio, la nascita di un figlio e infine, la solitudine. Il figlio, più di vent’anni prima, accettando le insistenze della moglie, aveva scelto di vivere all’estero e prosperava con la famiglia a Tel Aviv. In tutto quel tempo era tornato a trovare la madre una sola volta. Si sentivano, il figlio le inviava denaro ogni mese, ma lei lo metteva da parte su un conto speciale. In vent’anni aveva risparmiato una somma considerevole, che pensava di restituire al figlio. Un giorno…
Ultimamente non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che la sua fosse stata una buona vita, piena di affetti ed amore, ma comunque non sua. Se non ci fosse stata la guerra, avrebbe avuto una famiglia diversa, altri genitori, un’altra casa. E quindi, un altro destino. Dei suoi genitori naturali ricordava poco, ma spesso le tornava in mente una bambina, sua coetanea, che nei suoi primi anni di vita le era sempre stata accanto. Si chiamava Maria. Le sembrava ancora di sentire quando le chiamavano: “Marietta, Caterinetta!” Chi era per lei? Un’amica, una sorella?
I suoi pensieri furono interrotti dal breve segnale del cellulare. Guardò lo schermo: la pensione era arrivata sulla carta! Bene, proprio al momento giusto! Si poteva fare una passeggiata al negozio per comprare il caffè – aveva finito l’ultimo il giorno prima. Camminando con prudenza sul marciapiede, evitando le pozzanghere autunnali, si diresse verso l’entrata del negozio.
Davanti alla porta stava accucciata una gattina grigia e tigrata, che guardava con circospezione i passanti e le porte di vetro. Sentì una fitta di compassione: “Poverina, avrà freddo e fame. Ti porterei a casa, ma… chi si prenderà cura di te dopo di me? Non oggi, ma presto.” Tuttavia, comprò un economico pacchetto di cibo per gatti per lenire la sua pena.
Apriva con cura la confezione di cibo in gelatina in una ciotola di plastica, mentre la gatta aspettava pazientemente, guardandola con occhi innamorati. Le porte del negozio si aprirono, e uscì una corpulenta donna il cui sguardo non presagiva nulla di buono. Senza dire una parola, calciò la ciotola spargendo i bocconi gelatinosi sul marciapiede.
“Glielo dici e ridici – inutile! Non bisogna dar loro da mangiare qui!” – ringhiò, allontanandosi nervosamente.
La gatta, guarda intorno con cautela, iniziò a raccogliere i frammenti di cibo da terra e Caterina Maria, soffocata dall’indignazione, sentì il primo avviso di un’imminente crisi. Affrettò il passo verso la fermata dell’autobus – lì c’erano delle panchine. Sedendosi su una di esse, iniziò a frugare febbrilmente nelle tasche in cerca delle sue medicine, senza successo.
Il dolore arrivava spietato a ondate, la testa sembrava stretta in una morsa, gli occhi annebbiati, un gemito saliva dal petto. Qualcuno le toccò gentilmente la spalla. Riaprì a fatica gli occhi – una giovane ragazza la guardava spaventata:
“Signora, si sente male? Come posso aiutarla?”
“Là, nella borsa,” mormorò Caterina Maria debolmente, “c’è un pacchetto di caffè. Prendilo e aprilo.”
Si avvicinò alla confezione, inalando l’aroma delle grani tostate una volta, poi un’altra. Il dolore non passò, ma si indebolì.
“Grazie, cara,” sussurrò Caterina Maria debolmente.
“Mi chiamo Elisa, ma ringrazi la gattina,” sorrise la ragazza. “Era accanto a te e miagolava così forte!”
“E grazie anche a te, mia buona,” Caterina Maria accarezzò la gatta seduta accanto a loro sulla panchina, la stessa, tigrata.
“Cosa le è successo?” chiese la ragazza con premura.
“Un attacco di emicrania, cara,” ammise Caterina Maria. “Troppa agitazione, succede…”
“Ti accompagno a casa, sarà difficile per te andare da sola…”
“… Ance mia nonna ha questi attacchi,” raccontava Elisa, mentre bevevano un caffè annacquato con biscotti nel soggiorno di Caterina Maria. “A dire il vero, è la mia bisnonna, ma io la chiamo nonna. Vive in paese, con la mia nonna, mamma e papà. Io invece studio qui, all’ospedale, per diventare infermiera. Anche lei mi chiama cara, proprio come fai tu. Sapete, somigliate così tanto a lei che all’inizio pensavo foste la stessa persona! Lei non ha mai cercato di scoprire i suoi veri familiari, quelli di sangue?”
“Elisa, cara, come potrei trovarli? Non ricordo quasi nulla di loro. Né cognome, né da dove venivo,” raccontava Caterina Maria, accarezzando la gatta che si era rannicchiata sulle sue ginocchia. “Ricordo il bombardamento, quando viaggiavamo su un carro, poi i carri armati…”
E io correvo, correvo così forte da non ricordare nulla! Che paura! Un terrore che non mi ha mai lasciato! Poi mi trovò una donna, e fu la mia mamma per sempre! Dopo la guerra, arrivò suo marito, diventando il miglior padre del mondo! Di mio mi è rimasto solo il nome. La mia vera famiglia, probabilmente, è perita sotto le bombe. Mamma e Marietta…”
Non si accorse che, a quelle parole, Elisa si scosse e la guardò con occhi grandi e azzurri:
“Caterina Maria, hai un neo a forma di foglia sulla spalla destra?”
Caterina si bloccò per la sorpresa, la gatta la fissava curiosa.
“Come fai a saperlo?”
“Anche la mia bisnonna ha lo stesso neo,” disse piano Elisa. “Si chiama Maria. Ancora oggi piange quando ricorda la sua sorellina gemella, Caterinetta. Sparì sotto un bombardamento, durante l’evacuazione. Quando i fascisti bloccarono la strada, dovettero tornare a casa, dove vissero l’occupazione. Ma Caterinetta scomparve. Non l’hanno mai trovata, per quanto abbiano cercato…”
La mattina successiva, Caterina Maria non sapeva come contenere l’agitazione. Camminava da una finestra all’altra, aspettando ospiti. La gatta tigrata non si allontanava da lei, scrutando con ansia il suo viso.
“Non preoccuparti, Margot, va tutto bene,” rassicurava la gattina. “È solo il cuore che batte un po’ più forte…”
Finalmente, il campanello suonò. Emotivamente, Caterina Maria aprì la porta.
Due donne anziane, paralizzate, si fissavano muti con occhi pieni di speranza. Era come se vedessero uno specchio che rifletteva la stessa sfumatura di azzurro degli occhi, i riccioli grigi e le rughe amare agli angoli delle labbra.
Alla fine, l’ospite emise un profondo sospiro, sorrise, fece un passo avanti e abbracciò Caterina:
“Ciao, Caterinetta!”
E sulla soglia, asciugandosi le lacrime di gioia, stavano familiari ritrovati…