Conflitto

Alessandra rilesse una volta ancora la lettera e cliccò su “invia”. Bene, adesso poteva andare a prendere un caffè. Si risedette sull’ufficio, si appoggiò risentì per un momento, poi chiuse la posta, si alzò dalla scrivania e uscì dall’ufficio.

Nel soggiorno c’era solo Beatrice, che soffiava per schiarirsi il naso. Alessandra non si era mai interessata troppo alle preoccupazioni altrui. Probabilmente il capo le aveva urlato addosso per gli errori. Accese il bollitore, prese il suo bicchiere dalla mensole, vi versò un cucchiaio di caffè solubile e aspettò l’acqua bollente.

Beatrice sospirò e si girò verso la finestra.

“Che succede? Il capo non ha accettato la tua traduzione? Ti è andata male?” chiese Alessandra.

“Chi te lo fa fare?”

“Non so, forse volevo offrirti aiuto.”

“Non serve.”

“E allora perché piangi?”

Alessandra ricordò che non molto tempo prima aveva visto Beatrice salire su una macchina, gli occhi pieni di trionfo, mentre guardava con sufficienza coloro che stavano fuori dall’ingresso dell’ufficio. Ovviamente il padrone di quel fuoristrada se n’era andato senza salutare, e adesso questa sciocca scoppiava a piangere per i sogni infranti.

L’acqua ebollì, Alessandra versò il liquido fumante nel bicchiere e si sedette di fronte a Beatrice. Le spostò vicino le salviette.

“Ordinati. Non vorrai che tutta l’ufficio sappia che hai problemi. E smettila con l’aborto.”

“Dove l’hai…” Beatrice alzò il viso gonfio.

“Capisco. Diceva di amarti, prometteva montagne d’oro, e invece sparito, non risponde. E adesso hai due linee in positivo. Vecchio come il mondo,” sorrise Alessandra.

“Oppure vuoi tenere il bambino? Rifletti. Lo parti, di notte traducri per non morire di fame, poi lo dovrai dare in una scuola e tornare a lavoro. Punteranno sempre a pause brevi e traduzioni poco importanti. Impazzirai, finirai a insegnare in un liceo, a dare lezioni private come si fa per sopravvivere.”

“Zitta! Non sai niente,” la interruppe Beatrice.

“C’è molto da sapere? Sono cresciuta in una famiglia simile. Ho solo disegnato la tua vita. Pensa.”

“Tu… sei crudele!” mormorò la ragazza e uscì, lasciando alcune salviette piegate e bagnate sul tavolo.

Alessandra bevve il caffè. Un’altra sciocca che s’era innamorata pazientemente. O forse faceva male a parlare così? Forse lei avrebbe avuto una vita diversa? Forse quell’uomo con lo scooter sarebbe tornato, l’avrebbe sposata… Ma probabilmente era sposato già, o cercava una scelta migliore.

“Alessandra, il signor Bianchi la cerca,” disse la segretaria Eva entrando.

“Arrivo,” rispose Alessandra, bevendo il caffè, lavando il bicchiere e mettendolo nel lavello, poi andò dal capo.

“Allora, ha davvero deciso di andarsene? Bene. Là avrai più opportunità. Ma non dimenticarci. Scrivi le dimissioni. Farò in modo che la contabilità le consegni rapidamente. Non devi nemmeno lavorare le ultime settimane. In bocca al lupo…”

Dicevano tutti che Alessandra fosse ambiziosa, che ci fossero invidia. Gli incarichi più allettanti andavano a lei, lodavano le sue traduzioni. Sapeva essere lontana dagli insulsi imprenditori o dai padroni arroganti. Appariva fredda e calcolatrice. Gli si davano pettegolezzi, da stravaganti a banali. Che l’avesse lasciata qualcuno, che nella vita privata avesse perso interesse per l’amore, che ora non si avvicinasse agli uomini. Di quell’ultima parte sapeva solo lei.

Aveva preso una decisione da molto tempo: prima la carriera, e poi le altre cose. Avrebbe contato sempre solo su sé stessa, non sul famoso “spalla forte maschile”. Non c’è stato un triste esperienza né amarezze nella vita privata. Le aveva aiutato una vecchia lite che c’era stata tra i suoi genitori…

***

Fino a recentemente, i genitori litigavano quasi ogni giorno. La madre sempre aveva motivo per iniziare un incontro. E qualsiasi inizio, finiva con rimproveri sull’insufficienza economica, sull’averle mancato le aspettative, sull’essere un fallito che le aveva rovinato la vita…

Un tempo, il padre provò a intraprendere un business, ma un partner glielo sottrasse. Non cadde nell’alcolismo, si diede al lavoro da insegnante presso un istituto professionale, dove era stimato. Ma la madre non ne fu soddisfatta, le sembravano sempre inadeguati i soldi, lo accusava soprattutto quando lui non proponeva un cambiamento di lavoro. Il padre non voleva più rischiare.

Per protesta, la madre cercò un lavoro supplementare e presto rimase fuori casa per lunghe ore. Quella sera tornò tardi. Alessandra dormiva. Si svegliò per il rumore: la madre aveva rovesciato qualcosa in ingresso, gridando.

“Zitta tu, sveglierai tutta la casa. Sai che ora è? Non dirmi che sei di lavoro…” sentì Alessandra voce del padre.

La madre rispose indecipherabilmente.

“Sei ubriaca? Se ci pensi almeno a tua figlia. Ormai è grande, capisce tutto.”

“Stai zitto. Sono stanca,” rispose vaga la donna.

“Come no…”

Alessandra si alzò e uscì piano nel corridoio per sentire meglio.

“Hai qualcosa da dirmi? Se non sei riuscito a trovare un lavoro decente, tocca a me. Con la tua paga non sopravviverebbe. Della figlia puoi preoccuparti come vedi? A lei servono uno zaino da scuola, vestiti. E da tempo non mi riservo niente.”

“Lo so dove lavori,” rincarò il padre con un epiteto.

“Cos’è? Se ci pagano, posso fare qualsiasi altra cosa. Tu lucrati su di me, siediti a casa. E non sei in grado? Allora taci. Sei un fallito, un nulla. Ti ricordi le promesse? Che ti saresti dedicato a tutto per me? Dove è finito il tuo ‘spalla fidata’? Su cui appoggiarti non c’è niente. Un debole. Un senza valore. Io, stupida, ci credo…”

“Ormai è tardi. Parliamone domani,” chiese il padre.

“Non importa, siano tutti al corrente del tuo stato. Non sarà utile per te. Dove andrai? ‘L’uomo via, la donna si alza di morale’, le tue risate ubriache echeggiarono per l’appartamento. Poi si interruppero bruscamente. Alessandra udì lo schiaffo, dopo urla e insulti, lui veniva cacciato.

“Vai, non ti serve niente. Io mi arrangio senza di te. C’è qualcun altro che si preoccupa per me…”

Le sue gambe erano fredde attraverso la linoleum freddo. Alessandra aveva già ascoltato abbastanza, messo il naso in cose che non le spettavano. Ascoltò ancora un momento, poi tornò piano in camera, si infilò sotto le coperte.

I genitori litigavano spesso, ma così mai… Quella sera Alessandra capì che la madre aveva un altro uomo. La mattina, quando si svegliò, il padre non c’era. La madre sembrava stanca, non la guardò nemmeno.

“Dov’è papà?” chiese Alessandra mentre lui non era tornato a dormire.

“In viaggio…”

La madre tornò di nuovo tardi. Alessandra si mise alla finestra, aspettando. Vide il fuoristrada fermarsi, la madre scese, ma non immediatamente. L’auto se ne andò, e Alessandra si nascose sotto le coperte fingendo di dormire.

Il giorno dopo chiese:

“Siete separati? Hai un altro? L’ho visto…”

“Sei grande. Spero che un giorno capirai.”

Alessandra non capì, non voleva capire. Il padre era buono, non beveva, da bambino scorrazzavano insieme sulle montagne innevate, faceva volare i draghi. Anche se d’estate beveva un po’, si faceva allegro. E quell’altra persona era migliore? E Alessandra disse che non voleva capire la madre, che voleva stare con il padre. Davvero andò a trovarlo all’istituto.

“Hai ragione. Non sono mai riuscito a darti la vita che desideravi. Forse lui è davvero chi è giusto. Succede. Ti vorrei prendere con me, ma vivo da zio Gianni. Ha un appartmento con due camere, due bambini, io dormo in cucina. Non c’è posto.”

Fu lì che Alessandra prese la decisione: non ci sarebbe mai contato su qualcun altro in vita sua, né su un “spalla fidata”. Avrebbe tutto raggiunto da sola. L’amore non c’è, se il sentimento passa così facilmente. I soldi sono più importanti. Solo così. Sua figlia non sarebbe mai stata testimone di litigi, di rimproveri e di scenate. Mai.

Provò a ignorare gli orari tardi della madre. Finito il liceo, si iscrisse a un corso universitario a distanza, si trovò lavoro all’ateneo, dove c’erano molti libri e metodi e trascorse ogni momento libero a leggerli, guardare video senza tradurre. Tornò a casa solo a dormire. Ancora studentessa si mise a insegnare a lezioni private.

I genitori si separarono, la madre andò a stare con un altro. Il padre visse da una donna, diceva di noleggiare uno spazio. Si sistemò, divenne sobrio, tranquillo. Alessandra lo invitò a stare da lei, ma lui rifiutava, diceva di non volerle pesare.

Con il padre manteneva comunque contatto, gli telefonava, talvolta andava a trovarlo. Invece con la madre si parlava poco. Entrambe si offendevano. Alessandra non perdonava la madre per le bugie, la madre si incolpò della scelta della figlia di stare con suo padre. Così vissero. Alessandra lavorò come traduttrice e insegnante privato.

L’amore? C’erano ragazzi, ma Alessandra capì che si interessavano non solo a lei, ma anche alla sua casa. Conveniente, non bisognava faticare, era facile raggiungere Alessandra con l’appartmento. Ma lei non voleva.

Un giorno, in città c’era una fiera con aziende straniere. La chiamarono per collaborare. Le piacque. L’invitarono a Roma. Chiese un periodo per riflettere. Oggi ha preso la decisione finale.

***

Dopo il lavoro si era decisa a visitare suo padre.

“Papà, vado a Roma. L’appartmento è vuoto, puoi tornare. Promettimi che, se ti serve qualcosa, me lo dirai. Prometti?”

“Non mi serve niente, non vado nemmeno. Potrebbe decidere di vendere l’appartmento. Son già abituato qui. Ma telefonami comunque.”

“Io lo farò, prometto.”

“E non pensi di sposarti?”

“Per il momento no. Se mi sposassi, ti inviterei alla cerimonia,” promise Alessandra.

“E corretto, non correre. Hai fame? Maria ha preparato uno strudel?”

“Maria ha preparato? – chiese di nuovo Alessandra e sorrise al padre. – Va bene, non ti imbarazzare. Sono felice per te.”

“Vai da tua madre. Hai ancora rancore?”

“No papà, devo andare. Devo preparare le mie cose. Tornerò a salutare.” Alessandra lo abbracciò e lo baciò sulla fronte. Lei era cresciuta alta ormai.

Alessandra tergiversava, ma alla fine aveva voluto salutare anche sua madre. I loro rapporti erano freddi e tesi.

La vide mentre si avvicinava all’edificio. Camminava piano, con due sacchetti e bassa in basso. Alessandra voleva raggiungerla, ma uscì un uomo di casa. L’uomo chiese qualcosa alla madre.

“Non ti do! Ancora ubriaco… Che ti serve?”

Alessandra girò i tacchi e si allontanò. Telefonerò dopo. Ricordò quella scena dei suoi genitori. Bene, la madre cercava un “spalla fidata”, ma ci trovò peggio. Probabilmente anche lui le promise una vita migliore. Il dolore per la madre non svanì mai, benché la pietà fosse reciproca.

Se non avesse vissuto quella litigata dei genitori, forse oggi Alessandra si sarebbe innamorata di un uomo, sposato, avrebbe avuto figli. La sua vita sarebbe cambiata: nessuna Roma, nessuna carriera… Niente. Le sarà tutto bene, la carriera e un appartmento a Roma. Ma la “spalla fidata”… Senza di essa, non farà mancare nulla.

I genitori, troppo presi dai propri problemi, non si accorgono dei loro figli, pensando che non vedano, non capiscano. Ma i figli ascoltano ogni parola detta in fretta, ad ogni minuto trascorso e costruiscono la propria vita seguendo lo schema dei genitori o scegliendo l’opposto, rifiutando l’allegria semplice del vivere.

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