Conflitto

Federica rilesse una volta ancora la mail, digitò il tasto “invia” e si lasciò andare sulla sedia girevole. Finalmente, poteva andare a prendersi un caffè. Si staccò dallo schermo, chiuse la finestra della posta, si alzò con un sospiro e uscì dallo studio.

La stanza comune dell’ufficio era in penombra. Giovanna era seduta sola al tavolo, si asciugava le lacrime con le mani. Federica non aveva mai amato ficcare il naso nei guai altrui. Probabilmente era ancora scottata per le critiche del capo. Accese la macchinetta, prese la sua tazza impilata sugli scaffali, aggiunse un cucchiaio di caffè in polvere e aspettò che l’acqua bollisse.

Giovanna emise un singhiozzo soffocato e voltò la testa verso la finestra.

– Che succede? Il capo ti ha rimproverato di nuovo? Hai sbagliato qualcosa? – chiese Federica in tono distaccato.

– Che ti importa?

– Nulla. Solo volevo offrirti un aiuto.

– No. Preferisco stare sola.

– Allora smettila di piangere come una fontana. – La voce di Federica si fece di ghiaccio. – Ricordi quando ti ho visto salire su quell’Alfa Romeo? Quell’espressione trionfante con cui hai guardato tutti gli altri in strada. Questo tuo imbecille è sparito senza nemmeno un arrivederci, e tu qui piangi per le tue sciocche speranze.

L’acqua iniziò a gorgogliare. Federica la versò nella tazza, si sedette di fronte a Giovanna e spostò il pacchetto di tovaglioli.

– Pulisciti. Non vogliamo che tutta l’azienda si metta a chiacchierare di te. E smettila di rimandare le scelte. Se sei incinta, non illuderti. Quegli amori a due ruote finiscono sempre sui giornali: un figlio, una casa, una vita che va a rotoli. E adesso dimmi, cosa farai? Dormirai su una sedia reclinabile e farai traduzioni a orario? Penserai a tuo figlio mentre ti distruggi in una gabbia di debiti? Diventerai un’assistente scuola, ti butterai via per un professore annoiato, e tuo marito ti schiaccerà con la sua indifferenza. Pianterà la famiglia e scompare, come lui. E tu resterai sola, arruginita, a insultarti ogni sera.

Giovanna alzò il viso gonfio. – Non sai niente! Sei solo crudele!

– E invece lo so. – Federica fece una risatina amara. – Mia madre ha vissuto questa commedia. Ho preso come esempio la sua vita per te, nient’altro.

Il caffè era ormai freddo. Federica lasciò Giovanna con i tovaglioli stracciati e la paura negli occhi. L’ufficio odorava di tristezza e caffè bruciato.

– Federica, ti cerca il direttore – bussò Luisa, l’assistente con un grembiule rosso.

– Vengo subito – disse con un sospiro. Pulì la tazza e si diresse alla stanza di Vittorio.

– Allora hai deciso di andare? Bravo. Ti servirà. Qui non c’è futuro – disse lui camminando avanti e indietro. – Te lo auguro davvero. Aprirsi un ufficio a Milano è un passo importante. Non dimenticarti di noi. Scrivi la lettera di dimissioni. Tre giorni e ti trasferiamo. Non importa se hai promesse. Le trai da sola, vai.

Federica non rispose. Il commento sconcertante del capo la imbarazzava. Era famosa per aver rifiutato amori, finanziamenti, anche il denaro di suo padre. Gli uomini la cercavano per le sue traduzioni, per la spocchia trattenuta dentro l’aria fredda dell’ufficio. Le voci la tacciavano di disamore, di una decisione di vita sbagliata. Ma solo lei sapeva come aveva deciso di vivere solo per sé, come un coniglio in una gabbia dorata, protetta dalla vergogna del suo passato.

Gli anni della sua infanzia a Verona erano pieni di gridi e lacrime. Suo padre era un insegnante di matematica stanco, che aveva perso un affare in un quartiere romagnolo, e sua madre un’impiegata che cercava di mascherare tutto con risate falsi e vestiti appesi a un filo.

La scena peggiore si era consumata in una notte oscura. Sua madre era entrata in casa con un vestito verde perla, stropicciando le dita dei piedi su un pavimento freddo. Il padre l’aveva sentita gridare, imprecare, urlando di essere una donna abbandonata. Federica, svegliandosi, si era trascinata in corridoio: il padre sferrava colpi, e sua madre raccoglieva posate sanguinolente.

– Lui ti tradisce. Non conta un cazzo. Ti porterà via il lavoro, i soldi, la dignità. Lavoriamo insieme, non in due stanze diverse. Non meritiamo questo! – urlava lui.

– Sei un fallito. Io non starò con un uomo che non cancella le debiti. Mi darà un futuro! – gridava lei.

Federica aveva capito allora che non avrebbe mai voluto quel destino. Suo padre era tornato a insegnare, sua madre si era sposata un uomo ricco, ma dietro pettegolezzi e accuse di corruzione. Federica non aveva mai dimenticato l’odore di dolore e finte promesse. Aveva scelto la lingua come armi, le traduzioni per costruire un forte attorno a sé e alla sua indipendenza.

Adesso era Milano. Una città di vetrate e di opportunità. Il padre viveva a Napoli, lui stesso la visitava raramente. L’ultima volta, le aveva portato un cappello di lana verde.

– Ti piace? È fatto da Maria, mi piace molto – aveva detto lui, rosso in viso.

– Bella, domani andrò a trovarla – aveva risposto Federica.

Quella era l’unica volta che il padre aveva sorriso davvero.

Prima di partire, visitò sua madre a Verona. La donna aveva un nuovo marito, più vecchio, con un debole per le sue linee snelle e le storie d’amore impossibili. La vide uscire da un negozio con le buste della spesa, salutò una donna in un vestito rosso, e sorrise tra sé. La madre non si era mai accontentata. Era sempre nelle pratiche, nelle elezioni, negli affari, mentre Federica aveva coltivato solo la sua vita.

“Meglio così” si disse, mentre saliva sull’aereo diretto a Milano. Aveva un piano per ricostruire l’editing, per guadagnare in fame, non in relazioni. Aveva perso la sua innocenza da anni, ma aveva guadagnato la sua libertà.

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