“Conosco la verità su di te”: come le bugie distruggono l’infanzia e si curano con l’amore
Giulia stava per andare a letto quando dalla cameretta sentì dei singhiozzi soffocati. Si alzò di scatto e corse dal figlio.
— Piccolo, cos’è successo? — si sedette sul bordo del letto, accarezzandogli la spalla.
Matteo si scostò bruscamente, infilò il viso nel cuscino e borbottò:
— Vattene. Non ti voglio vedere.
Le parole del bambino la colpirono come una scossa.
— Che dici, Matteo? Perché?
— Perché tu… sei cattiva! — il bambino si sollevò, gli occhi pieni di lacrime. — Papà mi ha detto tutto! Io so la verità su di te!
Le tornò in mente l’inizio di tutto, quella frase che Luca ripeteva ad ogni litigio:
— Se sei così intelligente, divorziamo!
E ogni volta lei abbassava lo sguardo, ingoiava l’orgoglio e restava. Perché così le avevano insegnato: la donna deve sopportare, tenere unita la famiglia, portare il peso, anche se non vive più, ma sopravvive.
Ma quella volta qualcosa si spezzò dentro di lei. Guardò il marito negli occhi e per la prima volta non cedette.
— Va bene — disse con calma Giulia.
Lui rimase stordito. Poi, come sempre, sorrise sarcastico:
— Dormici su e cambierai idea.
Ma lei non cambiò idea. Passò la notte al buio, ricordando ogni anno vissuto con lui. Le discussioni. Le umiliazioni. L’ombra della suocera in casa sua. Nessuna decisione, nessuna scelta veniva presa senza il consenso della madre di Luca. E quando capì che persino suo figlio vedeva in nonna e papà le figure principali, comprese: lei non esisteva più lì dentro.
La mattina dopo raccolse i documenti in silenzio. Luca urlava, strappava le tende, portava via il ferro da stiro, le pentole, i cuscini. Persino la tenda della doccia — tutto ciò che era stato comprato insieme, veniva portato via.
— Vivi ora senza di noi e senza le nostre cose! — gridò la suocera alla fine, stringendo una busta pesante.
Giulia rimase nell’appartamento vuoto senza versare una lacrima.
Il tribunale si svolse senza di loro — né Luca né sua madre si presentarono. E, con sua sorpresa, due anni dopo nessuno cercò di riprendersi Matteo. Lei lavorava, cresceva il figlio, non cercava l’amore, ma l’amore bussò alla sua porta.
Alessandro arrivò senza pretese. Non faceva promesse, non cercava di forzare niente, stava semplicemente al suo fianco. Ascoltava.
— Capisco — diceva. — Hai un figlio e lui viene prima di tutto. Ed è giusto così. Io e lui diventeremo amici.
Giulia ancora non sapeva come quelle parole semplici e sincere potessero un giorno essere usate contro di lei.
All’inizio tutto andò bene. Matteo e Ale giocavano insieme, parlavano di macchinine, costruivano garage coi mattoncini. Ma da qualche tempo il bambino si era fatto più distante. Evitava lo sguardo, rispondeva a monosillabi. E quella notte le aveva detto di andarsene.
— Tu vuoi darmi via! — gridò, saltando giù dal letto. — Avrai un altro bambino e io non servirò più a nessuno! Mi manderete in orfanotrofio!
Il cuore di Giulia si gelò.
— Chi ti ha detto questo, Matteo?
— Papà! Ha detto che hai già deciso di farmi prendere da lui perché gli do fastidio!
Tratteneva a stento le lacrime mentre lo abbracciava e sussurrava:
— Mai, capisci? Mai ti lascerò. Sei mio, il più importante.
Lui all’inizio si divincolò, ma poi ricambiò l’abbraccio. Solo che nei suoi occhi rimase una traccia di paura. Dubbi. E quello era la cosa peggiore.
Passarono alcuni giorni. Matteo tornò da suo padre raggiante — raccontò di una gita in barca, di un pesce pescato. Poi, due ore dopo, era seduto in silenzio, gli occhi bassi.
— Eri così felice poco fa. Cosa c’è?
— Niente — rispose secco, voltandosi.
— Matteo — si avvicinò, — per favore, dimmi…
— Sei stata tu a chiederglielo, vero? — scattò lui. — Di prendermi perché vi do fastidio!
Non era solo dolore, era una pugnalata al cuore.
Giulia prese il telefono. La voce di Luca era rilassata, quasi annoiata.
— Che vuoi? È con te, tutto a posto.
— Voglio che smetta di mentire. Se provi ancora a mettere mio figlio contro di me, non lo vedrai mai più. Chiaro?
— Mi stai minacciando? — rispose roco. — È tutta un’invenzione tua!
— Davvero? E Matteo si è inventato che lo manderò in orfanotrofio se avrò un altro figlio?
Silenzio.
— In due anni hai pagato gli alimenti tre volte. Vuoi che ti denunci? Credo che il giudice troverà interessanti le tue “storie”.
Altro silenzio.
— Bada a come parli, Luca. Non provarci più.
Riattaccò e respirò profondamente. Tremava, ma al suo fianco c’era Alessandro. Lui le posò una mano sulla spalla.
— Tutto bene? — chiese piano.
— Ora sì — annuì lei. — Ora non mi fermerò.
Quella notte restò accanto a Matteo, accarezzandogli i capelli mentre dormiva. Era ancora turbato, ma nel suo sguardo tornava un po’ di luce. E lei sapeva: era solo l’inizio. L’ex marito non si sarebbe arreso, ci sarebbero stati altri tentativi di seminare paura e rabbia nel bambino.
Ma ora non era più sola.
Era forte. E aveva qualcuno che non chiedeva di dividere il suo amore, ma era pronto a condividerlo.