Contrattacco

LA RISPOSTA

– Chi è quella donna, Caterina? – chiese sottovoce Marco per non farsi sentire dai compagni di viaggio.
– Quale donna? – Caterina si staccò dal telefono; stava scrivendo un messaggio a un’amica.
– Quella là… Vedi, seduta vicino all’ultimo finestrino, ci fissa continuamente. Direi che ci sta proprio fissando senza nessuna vergogna.
Caterina si alzò leggermente per vedere chi intendesse il marito e subito cambiò espressione. Poi si ricompose, facendo finta di nulla e con indifferenza disse:
– Non lo so.

– Non mentire, – si arrabbiò Marco, – ho visto che sei impallidita appena l’hai vista. Chi è?
– È mia madre, – rispose Caterina dopo una breve esitazione. In un attimo decise che era meglio dire la verità, per ogni evenienza.
– Tua madre? – Marco era sorpreso, – avevi detto che tua madre non c’era.
– Ed è così…
– Non capisco, – Marco fissava il volto della moglie con curiosità, – vuoi spiegarmi?
– Parliamone a casa…

– E non vuoi andare da lei? Vive qui? Nella nostra città?
– Marco, ti prego, parliamone a casa, – Caterina lo supplicò con le lacrime agli occhi.
– Va bene, – disse lui amaramente e si voltò verso il finestrino, offeso.
Caterina non cercò di consolarlo. Era felice che, almeno per un po’, l’avesse lasciata in pace.
Ma quale pace? I ricordi dell’infanzia iniziarono a riaffiorare…
***
Caterina non ricordava suo padre. Sapeva solo dalle parole di sua madre che era una persona “terribile”.

Inoltre, la mamma diceva che Caterina era stata molto fortunata: nella sua vita c’era un uomo meraviglioso. E quello era il patrigno.
Caterina lo ricordava bene dai suoi otto anni. Ma non capiva cosa ci fosse di così meraviglioso in lui.
Burbero, cattivo, avaro. “E perché la mamma lo ama tanto?” – pensava la piccola Caterina nascosta in un angolo per non farsi trovare dallo zio Pietro.
No, non la picchiava mai apertamente, non la maltrattava.
Ma non la considerava nemmeno una persona. Non la chiamava mai per nome. La guardava come se fosse invisibile.

Quando parlava con sua moglie di Caterina, diceva cose tipo:
– La bambina non sa comportarsi…
– Tua figlia mi disturba quando mi rilasso…
– Spiegale che è troppo presto per uscire con i ragazzi.
– Hai visto il suo diario? Guardalo! Mi vergogno che viva a casa mia!
“Casa sua! E non importa che questa sia l’appartamento di me e mamma?!” pensava Caterina da adolescente. Ricordava bene che lei e sua mamma si erano trasferite in quell’appartamento dopo la morte della nonna.
Una volta, quando il patrigno ripeté questa frase per la millesima volta, Caterina sbottò e gli disse chiaramente in faccia:
– Non sono io che vivo a casa sua! Se non le piace, se ne vada! Nessuno piangerà!

Il patrigno volò verso di lei come per chiudergli la bocca, ma si fermò all’ultimo momento. Si girò bruscamente verso sua moglie e tra i denti disse:
– Fallo in modo che non la veda mai più!
La mamma afferrò Caterina per mano, la trascinò fuori dalla stanza dicendo:
– Certo caro, sarà come vuoi tu…
Lei lo guardava sempre come se fosse un dio. Si sottometteva senza discutere, lo serviva, parlava con voce zuccherosa e cercava di compiacerlo in ogni modo.
Perché? Caterina non capiva.
Di una cosa era certa: se il patrigno lo desiderava, la madre l’avrebbe facilmente buttata fuori di casa.
– Ma ti rendi conto di quello che fai? – sibilò la mamma a Caterina quel giorno, – non permetterti di parlare così con tuo padre!

– Non è mio padre! – gridò Caterina, – e non lo sarà mai!
– Non importa! Lui ti dà da mangiare, da bere, ti veste, e tu… Ingrata!
– Non ti ho chiesto io di mettermi al mondo! – urlò Caterina in lacrime, – e non ti ho chiesto di crescerci! Dovevi darmi a qualcun altro, per non soffrire!
– Dovevi! – rispose sua madre, – ma nessuno ti ha preso! E tuo padre è sparito non appena sei nata! Mi hai rovinato la vita!
Sentendo quelle parole dalla madre, Caterina provò un così forte odio che la spinse con tutte le sue forze e corse fuori dall’appartamento.
Nessuno la inseguì. E per tutta la settimana che mancò, nessuno si interessò a dove fosse e cosa stesse facendo.
Allora Caterina aveva quindici anni…
Cosa poteva fare? Niente.
Le amiche la ospitarono a turno per qualche giorno, ma ciò non risolse il problema. Dovette tornare.
Con le mani tremanti, Caterina aprì la porta…
– Sei tornata? – fu tutto ciò che disse sua madre, – vai nella tua stanza e non muoverti fino a quando non ti chiamo…

“Forse è riuscita a convincerlo”, pensò Caterina e velocemente sgattaiolò nella sua stanza.
Da quel giorno il patrigno non parlò mai più di Caterina. Si comportava come se non esistesse…
La mamma, ovviamente, lo sostenne in questo: non chiamava la figlia a tavola, non si interessava dei suoi affari, non cercava di parlare con lei.
Caterina sapeva bene: avevano già preso una decisione su di lei. Forse aspettavano solo che terminasse la scuola…

E non sbagliava. Appena Caterina ebbe il diploma, la mamma le suggerì che era arrivato il momento di prepararsi per una vita autonoma.
– Appena compi diciotto anni, te ne andrai per la tua strada, – dichiarò e tornò a tacere.
Caterina ci pensò su e decise di iscriversi all’università. Primo, avrebbe liberato la famiglia dalla sua presenza, secondo – lì i non residenti ricevevano un alloggio. Questo significava che per almeno i prossimi cinque anni avrebbe avuto un posto dove vivere…
Non fu ammessa all’università. O meglio, fu ammessa, ma a un corso a pagamento. Sapeva che nessuno avrebbe pagato per i suoi studi, ma lo disse comunque:
– Mamma, congratulati con me, sono diventata studentessa.
La mamma la guardò con indifferenza:
– E allora?
– Però bisogna pagare per i corsi… Nemmeno tanto…
– Non ci pensare nemmeno. Non otterrai un centesimo per queste sciocchezze! Non abbiamo già investito tanto in te, tuo padre e io?! E in cambio ci hai solo dato dei grattacapi! Ora dovremmo pure pagare i tuoi studi?!
– Mi dispiace. Certo, non dovreste, – rispose Caterina, – avrei fatto meglio a non dirlo.
– Esattamente: meglio non dire nulla. Cerca un appartamento per te.
– Mamma, ma non ho come pagarlo…

– Trova un lavoro, pensa di stare a studiare. Ti do un altro mese… Poi – fuori.
– Un mese è poco, – Caterina cercò di impietosire la madre, – posso stare con voi almeno altri sei mesi?
– Quanto? Sei mesi? Assolutamente no. Ho già dovuto convincere tuo padre a sopportare la tua presenza. E poi abbiamo pianificato dei lavori. Vogliamo fare della tua stanza una camera da letto. Insomma: un mese, non di più…

E Caterina trovò un appartamento. Chiamarlo tale era un eufemismo. Una piccola dependance in periferia. Senza servizi. Con una stufa. Ma – economico…
Quando se ne andò di casa, la madre le diede una forchetta, un cucchiaio, un piatto, una tazza, un coltello da cucina e una piccola pentola. Poi ci pensò su e aggiunse: un asciugamano e un vecchio set di lenzuola.
– Tieni anche questo, – disse nascondendo lo sguardo e porgendo a Caterina un piccolo sacchetto, – buona fortuna, figlia mia. Spero che crescerai e mi capirai.
– Grazie, mamma, – rispose Caterina, – posso prendere le mie cose invernali più tardi?
– Ma non temporeggiare troppo, altrimenti potrebbe non trovarle qui…
– Le butterai via?
– Non io, ma a papà potrebbe non piacere. Sai com’è…
– Capisco, – Caterina abbracciò la madre, – beh, allora vado…
Così, a diciotto anni, Caterina cominciò la sua vita autonoma.
Con la benedizione della madre…

Il denaro che le diede bastò fino al primo stipendio. Caterina risparmiava ogni spicciolo. Non usava nemmeno i mezzi pubblici: andava a piedi fino alla fabbrica.
Ricevendo il primo stipendio, si sentì milionaria! Comprò cereali e pasta, una bottiglia di olio d’oliva e un sacchetto di patate.
Doveva ancora acquistare shampoo, sapone, dentifricio…
Fatte le spese indispensabili, contò il denaro rimanente e, mettendo da parte una piccola somma in una bella busta, decise: pian piano, ma risparmierò per una casa.

Andò a trovare la madre dopo circa un mese: per salutarla (credeva ancora ingenuamente che mamma sarebbe stata felice di vederla) e prendere i vestiti caldi: l’estate era finita e faceva fresco.
Le aprì la porta un ragazzo.
– Ehilà, hai sbagliato porta? – chiese allegramente.
– In realtà sono qui per mia madre, – disse Caterina smarrita.
– Ah… Sei Caterina? Entra. Mamma non c’è ma puoi aspettarla.
– La aspetto, – rispose decisa Caterina entrando in cucina.
Il ragazzo cercò di parlare con l’ospite, ma Caterina lo guardò in modo tale che lui si affrettò a ritirarsi.
Arrivò la madre. Non sembrava contenta di vederla. Alla domanda di Caterina sul giovane, rispose:
– È Claudio. Il figlio di mio marito dal primo matrimonio.
– E perché vive con voi? Non avevi pianificato i lavori?
– È solo per poco. Si sistemerà in città, troverà un lavoro e si trasferirà in appartamento privato.
– Capisco, – disse Caterina, – ho preso le mie scarpe e la giacca…
– Prendi tutto. Non lasciare nulla. Sono stufa di spostare le tue cose da una parte all’altra.
– Da quanto, mamma? Mancavo solo da due mesi.
– Non fare la saputella, – si innervosì la mamma, – sei venuta – porta via tutto.
– Non chiedi nemmeno come sto?

– Non mi interessa, – la mamma sembrava incapace (forse lo era involontariamente) di parlare davanti a Claudio.
– Beh, non mi hai sorpresa, – rispose Caterina e si diresse verso l’ingresso…
– Vuoi che ti accompagni? – si offrì Claudio, – come farai con quella borsa gigante?
– In qualche modo, – disse Caterina e uscì dall’appartamento…
Dopo qualche mese tornò di nuovo. Ora per il piumino. E ancora una volta le aprì Claudio. Questa volta la mamma era in casa. Alla domanda di Caterina:
– Vive ancora qui? – la mamma esplose:
– Non sono affari tuoi! Vivrà qui quanto vorrà! Alla fine è venuto da suo padre!
– E io ero qui con mia madre, – osservò Caterina, – solo che a salvare me non servì.
– Non confrontarti! È diverso!
– Diverso in che senso? – chiese Caterina decisa, – in cosa consiste la differenza?
– Non devo rendere conto a te! – rispose urlando la mamma, – è casa mia e decido io chi ci abiterà.

– Capisco.
– Cosa capisci?!
– Che un estraneo ti è più caro di una figlia, – Caterina parlava in modo calmo e sicuro, provocando nella madre una reazione furiosa.
– Non ho nessuna figlia! – esclamò, – e Claudio è il figlio del mio uomo adorato! Lui per me è più di un figlio!
– Auguri, – Caterina guardava sua madre come se fosse un’estranea, – in tal caso, non ho più una madre.
Se ne andò.
Con la certezza che fosse per sempre.
Per quattro anni Caterina non diede sue notizie. Non chiamava, né andava.
E ora questo incontro…

***
Mentre Caterina riaffiorava nei ricordi, la madre si alzò e si avvicinò a lei.
Marco si alzò per cederle il posto.
– Ciao, – Caterina sentì la voce familiare che cercava di dimenticare.
– Ciao, – rispose lei a malapena.
– Chi è? – chiese la madre indicando Marco.
– Mio marito.
– Auguri.
– Grazie.

– Anche noi stiamo bene. Papà lavora, Claudio ha trovato una ragazza. È così carina, tranquilla. Ci sposiamo tra un mese. Sai, diventerò nonna presto. Che felicità! Abbiamo deciso di dedicare la tua stanza al bambino. Abbiamo iniziato a ristrutturarla. Abbiamo comprato la carta da parati – la più costosa con motivi per bambini. E abbiamo deciso con papà che compreremo una casetta. Da qualche parte qui vicino. Il bambino ha bisogno di aria fresca, vitamine. Stiamo cercando: qualcosa di economico, ma con una casa abitabile e un fiume o un lago accanto…
Caterina ascoltò quelle parole senza capire perché questa, in fondo, estranea le stesse raccontando tutto ciò.
– Ti sei sposata da tanto?
– Due anni fa, – rispose meccanicamente Caterina.
– Pensate ai figli?
– Nostro figlio ha quasi un anno.
– Ho un nipote?

– Avete? – Caterina si voltò finalmente verso sua madre.
– Ho, – disse la mamma con un lieve turbamento, – sei mia figlia.
– Ha confuso qualcosa, signora. Mia madre è morta quattro anni fa…
La madre impallidì. Si alzò senza parole e si avviò verso l’uscita.
Caterina si voltò verso il finestrino: non provava affatto pietà per… quella donna.
Marco osservava attentamente, ascoltando la conversazione.
Poi capì: erano completamente estranei!

Decise che non avrebbe mai chiesto alla moglie del passato. Aveva paura di guardarci dentro.

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