**Una Conversazione Profonda**
Si avvicinava un altro Capodanno. In tutta la città regnava il solito caos: i centri commerciali erano pieni di luce e calore, la gente si affrettava tra i reparti per comprare gli ultimi regali. Dalle casse risuonava la solita canzone natalizia, ascoltata ormai milioni di volte.
Ma per Elisabetta non c’era gioia. Quell’anno, trascorso con la madre Rosa, era stato difficile: avevano dovuto imparare a vivere senza suo padre. Elisabetta non abitava più con i genitori, era una donna adulta, sposata, con un figlio di dieci anni, Matteo.
**Il padre**
Un anno prima, alla vigilia di Capodanno, suo padre era morto. Elisabetta aveva sofferto così tanto che non si era resa conto subito di quanto la madre stesse peggio.
Vittorio Rossi era stato un marito e padre affettuoso, gentile e premuroso. Insegnante di economia all’università, trattava tutti gli studenti con rispetto e diceva spesso:
“Sono tutti come figli per me. Non mi arrabbio mai con loro, e loro mi ricambiano con la stessa gentilezza. In tutti questi anni d’insegnamento, non ho mai avuto un solo conflitto con uno studente. Certo, c’erano dubbi, ma li risolvevamo insieme, e tutti erano contenti: loro e io.”
“È vero, papà, tutti ti rispettano,” concordava la figlia.
Vittorio amava guardare i vecchi film, rideva di gusto e adorava passeggiare con Elisabetta quando era piccola. A volte andavano insieme al cinema, al parco, e in vacanza viaggiavano sempre in tre.
Elisabetta aveva visto quanto il padre amasse la madre, e per questo aveva cercato un marito simile a lui. E ci era riuscita: era felice con suo marito, Luca. Dopo il matrimonio, si erano trasferiti in un appartamento regalato dai genitori.
Tutto sembrava perfetto. Ma tre anni prima, a Vittorio era stato diagnosticato un tumore. Rosa ed Elisabetta erano sconvolte, ma lui le rassicurava.
“Non preoccupatevi, mie care, non sarà così facile liberarsi di me,” scherzava, anche se il suo sguardo era spento.
Un anno fa, se n’era andato.
**Non posso vivere senza di lui**
“Nella mia memoria rimarrà per sempre il rumore della terra gelata che batteva sulla bara, le lacrime di mamma, il suono triste dei piatti e dei bicchieri durante il pranzo funebre,” pensava spesso Elisabetta.
Adesso viveva nella paura costante per la madre. Quando erano tornate a casa, dopo il funerale, Rosa era entrata nella stanza senza togliersi il cappotto e si era seduta lentamente sulla poltrona di suo marito. Era rimasta immobile, lo sguardo fisso nel vuoto, mentre Elisabetta non trovava parole, schiacciata dal dolore.
“Non posso,” sussurrò la madre.
La figlia si accovacciò davanti a lei, prendendole le mani fredde.
“Cosa non puoi fare, mamma?”
Rosa la fissò come se non capisse la domanda, poi mormorò:
“Vivere senza di lui. Non posso.”
Fu allora che Elisabetta capì: per quanto soffrisse, la madre stava peggio.
**Aspettando che il dolore passasse**
Era passato un anno esatto. Rosa ed Elisabetta avevano imparato a vivere senza Vittorio. La figlia si abituava a non sentire più la sua voce al telefono. Prima, quando andava a trovarli, vedeva sempre la sua testa bianca sulla poltrona davanti alla TV, il suo posto preferito. Ora non c’era più. Dentro di lei rimaneva solo il dolore. Aspettava che quella sofferenza svanisse, ma si era aggiunta anche la paura per la madre.
“Dio, fa’ che la mamma riesca a resistere,” pensava Elisabetta, svegliandosi di notte.
Prendeva il telefono e chiamava Rosa, non a mezzanotte, ma al mattino, al pomeriggio, la sera. Aveva un terrore viscerale per lei.
“Elisabetta, non tormentarti,” la calmava spesso Luca. “Guarda come sei diventata: lo sguardo spento, dimagrita, sempre nervosa. Andrà tutto bene con tua madre. È passato ancora poco tempo, ma credimi, tornerà la pace.”
“Hai ragione, Luca. Ma ogni volta che la vedo, mi spavento. È cambiata, è silenziosa e distante. Chissà in che cosa pensa sempre? Dovrei invitarla da noi.”
Elisabetta chiamò la madre, che rispose con un filo di voce.
“Sì, figlia mia…”
“Mamma, vieni da noi. È sabato, potremmo andare al parco con Matteo. Non stare sempre chiusa in casa.”
“No, cara, grazie. Non ho voglia di uscire. E poi, non sono sola: nei miei pensieri sono sempre con tuo padre.”
“Proprio per questo! Voglio distrarti, mamma. Vieni.”
Ma Rosa rifiutò. Elisabetta guardò Luca, disperata.
“Come faccio a farla uscire? Quando vado da lei, è felice, ma non vuole muoversi.”
“Pazienza, Elisabetta. Bisogna aspettare che passi il tempo.”
**L’angoscia**
Quel giorno segnava l’anno esatto dalla morte di Vittorio. Tra due giorni sarebbe arrivato Capodanno. La vita sarebbe continuata. Elisabetta chiamò la madre al mattino, ma non rispose. Richiamò più volte: il telefono squillava, ma Rosa non rispondeva.
Prese le chiavi della macchina e corse fuori. Il cuore le batteva forte mentre saliva le scale.
“Dio, fa’ che non sia successo niente,” mormorò, aprendo la porta con la sua chiave.
**Leggeva e rileggeva quel biglietto**
Appena entrata, capì che qualcosa non andava. La casa era silenziosa, perfettamente in ordine. Sul tavolo della cucina c’era un biglietto: *”Mia cara figlia, sai quanto ti amo e non voglio farti soffrire. Qualunque cosa accada, ricordati che ti voglio bene.”*
Elisabetta si aggrappò al tavolo, le gambe le cedettero. Rileggeva il biglietto, anche se le lettere le ballavano davanti agli occhi.
“Ho sempre saputo che ciò che temi, accade,” pensò infine.
Notò una tazza di te sul tavolo, ancora calda.
“Allora è appena uscita. Forse non è ancora accaduto nulla.”
Afferrò di nuovo le chiavi e corse giù per le scale.
“Dove può essere andata? Forse è uscita a fare spese, ma quel biglietto…”
Chiamò di nuovo, ma sentì solo la suoneria. Guidò per la città, le idee confuse, finché un pensiero le attraversò la mente:
“Fermati. So dove devo andare. Al cimitero.”
Arrivò ai cancelli e corse verso la tomba del padre. Il cimitero era deserto, chi ci sarebbe venuto alla vigilia di Capodanno? In lontananza, vide una figura curva accanto a una tomba. Era Rosa.
“Mamma!” gridò Elisabetta.
Corse verso di lei, ogni secondo prezioso. Non si accorse nemmeno delle lacrime che le rigavano il viso. Quando la raggiunse, si abbracciarono.
“Mamma, ma come hai potuto? E io?” ripeteva Elisabetta.
**Alla fine, ha pensato a sua figlia**
Le mani calde di Rosa le accarezzarono il viso, asciugandole le lacrime.
“Perdonami, tesoro. Non volevo farti male. Credevo di farcela, ma mi manca troppo tuo padre… Ma alla fine ho pensato a te.”
“Mamma, non devi nemmeno pensarci. Ti prego, non farlo mai. Ce la faremo insieme. Io non resisterei se ti succedesse qualcosa.”E quel Capodanno, mentre la neve scendeva silenziosa sulle strade di Roma, madre e figlia si strinsero l’una all’altra, trovando nella reciproca presenza la forza per iniziare un nuovo anno, sapendo che l’amore di Vittorio sarebbe rimasto sempre con loro, come una stella che li guidava nel buio.