Correzione degli Errori

**15 Ottobre, Roma**

L’ambulanza sfrecciava per le strade di Milano con le sirene spiegate. Le auto si accostavano ai marciapiedi, lasciando libero il centro della carreggiata.

“Papà, ti prego, perdonami… Resta con me, non lasciarmi…” sussurrava la ragazza seduta accanto alla barella.

Lui non la sentiva. Davanti a sé vedeva un’altra donna. Sorrideva, e dai suoi occhi scaturiva una luce calda e accogliente. Quel bagliore lo attirava, lo chiamava a sé. Non poteva resistere, né voleva. Desiderava soltanto volare verso quella luce, fondersi con essa. Si sentiva leggero, come se il suo corpo non esistesse più.

Ma qualcosa lo tratteneva, lo tirava indietro, lontano da quella pace. Tentò di dire “Lasciami”, ma le parole non uscirono. All’improvviso, un dolore lancinante lo colpì al petto, respingendolo brutalmente. Il volto della donna svanì, la luce si spense, e il suo corpo divenne pesante come pietra. Ma la pietra può soffrire?

Piano, i suoni tornarono: un pianto soffocato, qualcuno che lo chiamava, una mano che stringeva la sua. Voleva ancora chiedere di lasciarlo andare, di raggiungere quella che ormai era solo un’ombra—Vittoria—ma in quell’istante sprofondò in un vuoto più nero del buio. Non c’era più nulla. Neppure lui.

***

**Il giorno prima**

“Papà, posso andare al mare con Alice e Giulia? I parenti di Giulia hanno una casa in Puglia. Mi servono solo i soldi per il viaggio e qualcosa per le spese.” La voce di mia figlia era implorante, quasi supplichevole.

Marco sapeva sempre quando mentiva. A volte fingeva di crederle, ma non quella volta. Appoggiò il giornale che stava leggendo e la fissò negli occhi. Sì, mentiva. Le orecchie rosse, lo sguardo sfuggente, le dita che nervosamente tormentavano l’orlo della gonna.

“E per quanto tempo?” chiese con calma.

“Due settimane,” rispose subito Sofia, illuminandosi. “Aria di mare, sole… Sono stufa di stare in questa città polverosa.”

“Con Alice e Giulia, quindi?” ripeté lui.

Sentendo il sarcasmo nella sua voce, Sofia capì che la bugia non aveva funzionato.

“Non sai mentire. Ieri ho parlato con il padre di Giulia. Loro vanno in Trentino, in tre.”

Le guance di Sofia non erano solo rosse—erano in fiamme. L’imbarazzo le copriva il viso, il collo. Sollevò lo sguardo, sfidante.

“Lo sapevo che non mi avresti lasciato andare con Luca, per questo ho mentito. Sua zia vive davvero in Puglia.”

“Hai capito bene. Non ti lascerò andare,” replicò lui, impassibile. “Capisco l’infatuazione, certo. Ma davvero pensi che basti per partire con un ragazzo per il mare?”

“Lo amo,” disse Sofia, la voce spezzata. Adesso era pallida.

“E lui ama te? Amore e desiderio sono cose diverse. Sono un uomo, so cosa vuol dire quando un ragazzo invita una ragazza in vacanza. Non è mai quello che lei crede. Di certo non è amore.”

“Quindi non mi permetti di andare?”

“No. Tra un mese avrò le ferie, andremo insieme.”

Sofia si morse il labbro, riflettendo. Il mio cuore si strinse. Quanto assomigliava a sua madre! Anche lei si mordeva le labbra quando era nervosa, arrabbiata o insicura. Mia figlia era ormai grande. Come spiegarle che avevo perso così tanto, che non potevo rischiare di perderla anche lei?

“Papà, ti prego. Saremo soli solo in treno. Poi staremo con i parenti di Luca.” Gli occhi di Sofia erano pieni di speranza.

“No. Se vuoi, possiamo andare a trovarli tra un mese,” tagliò corto Marco.

“Non credevo fossi così…” esplose Sofia. “Avrei potuto non chiederti il permesso, lasciarti un biglietto e partire. Sono maggiorenne. Ma ho voluto essere corretta.”

“Se non l’hai fatto, significa che la mia opinione conta per te. E se è così, ascoltala,” disse, riprendendo il giornale. Ma non lo aprì, lo tenne sulle ginocchia.

“Credimi, col tempo guarderai a questa discussione con occhi diversi.”

“Papà, lasciami andare. Ci amiamo.” Un ultimo tentativo.

“Tu forse lo ami. Ma lui? Se ti amasse, non ti avrebbe spinta a mentire.”

“Tu sai sempre tutto? Di lui, di me? E tu invece…” Sofia si bloccò, capendo di aver superato il limite.

“Proprio per questo ti parlo. Gli errori della gioventù si pagano per tutta la vita,” rispose filosofico.

“Ah, sì. Dimmi anche quanto è stato difficile crescermi da solo. Come hai rinunciato alla tua felicità per me… Ti sono grata, papà, ma posso decidere io se commettere errori o no. Ti prego.” Le sopracciglia aggrottate, gli occhi supplici.

“No,” concluse lui, alzando il giornale.

Sofia sbuffò, girò sui tacchi e si chiuse in camera, sbattendo la porta.

Marco riappoggiò il giornale. Con quel casino in testa, come faceva a leggere?

***

Quanti anni erano passati? Sembrava ieri quando cercava di convincere Vittoria a partire per Firenze per quel weekend. Si era mai chiesto se avesse mentito ai suoi genitori? Loro l’avevano lasciata andare.

Era stata una gita meravigliosa. Tornarono felici, cambiati. Così gli era parso. Poi Vittoria partì per Bologna, si iscrisse all’università. Lui rimase in città, al politecnico, dove conobbe Elena. Perse la testa, dimenticò Firenze, Vittoria, le promesse. No, in verità non aveva mai parlato di amore eterno. Ne era sicuro.

Poi Vittoria tornò e gli disse che era incinta. Lui ebbe paura. Non della gravidanza, ma di perdere Elena. Vittoria era venuta direttamente dalla stazione. Lui la implorò di abortire. Balbettò qualcosa sulla giovinezza, sul non essere pronto, su quanto fosse sicuro…

Vittoria piangeva. “Sono già tre mesi.”

“E allora perché hai aspettato?” urlò, furioso. “Perché non sei venuta prima? A tre mesi si può ancora—”

Lei se ne andò. Lui era certo che avesse abortito, perché per tre anni non seppe più nulla di lei. Se avesse partorito, lo avrebbe saputo. I suoi genitori sarebbero venuti a chiedere conto.

Sposò Elena, organizzò la luna di miele in Sardegna: biglietti pronti, valigie quasi fatte. Un squillo alla porta cancellò tutto. Marco non la riconobbe. O meglio, ci mise un attimo a realizzare che era lei—Vittoria, pallida, smagrita, con una bambina per mano.

“Ciao,” sorrise a fatica.

Lui rimase immobile.

“Chi è?” chiamò Elena dalla stanza.

Capì che la moglie era dietro di lui dallo sguardo perso di Vittoria. Si voltò.

“Chi è?” Elena fissava la bambina.

Marco guardò di nuovo Vittoria. Nei suoi occhi tremava un dolore antico. Si sentì sporco, in colpa. Non aveva ucciso nessuno, eppure si sentiva un criminale scoperto.

“Siamo andati a scuola insieme,” riuscì a dire con voce ferma.

“Non lasciare i tuoi ospiti sulla porta,” disse Elena, gentile.

Vittoria entrò, esMentre teneva la bambina tra le braccia, sentì che forse, dopo tutti quegli anni di paura e rimpianti, era finalmente arrivato il momento di smettere di fuggire dagli errori del passato e imparare ad abbracciarli, perché erano anche quelli che lo avevano portato fino a lì, a quell’attimo di pace, con sua figlia al suo fianco.

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