Correzione degli Errori

**18 Luglio, Milano**

L’ambulanza sfrecciava per le strade con le sirene accese, le auto si accostavano ai marciapiedi per lasciarle spazio.

“Papà, ti prego, perdonami. Resta con me, non andartene…” sussurrava Beatrice, seduta accanto alla barella.

Lui non la sentiva. Davanti a sé vedeva un’altra ragazza. Sorrideva, e dai suoi occhi scaturiva una luce calda, avvolgente. Quella luce lo chiamava, lo attirava a sé. Non poteva resisterle, non voleva. Voleva volare verso di lei, fondersi in quell’abbraccio luminoso. Sì, poteva farlo, perché il suo corpo era leggero, quasi inesistente.

Ma qualcosa lo tratteneva, lo tirava indietro, lontano dalla luce. Cercò di dire: “Lasciami”, ma le parole non uscirono. Un dolore improvviso lo colpì al petto, lo scaraventò nell’oscurità. Il volto svanì, la luce si spense, e il suo corpo divenne pesante, come pietra. La pietra può sentire dolore?

Poi, i suoni tornarono: un pianto, una voce che lo chiamava, una mano che stringeva la sua. Voleva ancora chiedere di lasciarlo andare, di raggiungere quella figura perduta—Lisa. Ma ora sprofondò in un vuoto dove nemmeno il buio esisteva. Non c’era più nulla. Nemmeno lui.

***

**Il giorno prima**

“Papà, posso andare al Sud con Giulia e Sara? I parenti di Sara hanno una casa lì. Mi servono solo i soldi per il viaggio e qualcosa per le spese.” La voce di Beatrice era suadente, quasi supplichevole.

Marco sapeva sempre quando mentiva. A volte fingeva di crederle, ma non stavolta. Appoggiò il giornale e la fissò. Sì, mentiva. Le orecchie arrossate, lo sguardo sfuggente, le dita che tormentavano l’orlo della gonna.

“E per quanto starete via?” chiese, calmo.

“Due settimane,” rispose Beatrice, vivace. “Aria di mare, un po’ di sole. Sono stanca di questa città grigia.”

“Con Giulia e Sara, dici?” ribatté lui, un filo sarcastico nella voce.

Beatrice capì che la bugia non aveva funzionato.

“Non sai mentire. Ieri ho parlato col padre di Sara. Partono in tre per le Dolomiti.”

Le guance di Beatrice si infiammarono, il rossore le salì fino al collo. Alzò lo sguardo, sfidante.

“Sapevo che non mi avresti lasciato andare con Matteo, per questo ho mentito. Sua zia vive davvero al Sud.”

“Hai capito bene. Non te lo permetto,” rispose lui, fermo. “L’innamoramento, lo capisco. Ma credi davvero che basti per partire sola con un ragazzo?”

“Lo amo,” disse Beatrice, la voce spezzata. Ora era pallida.

“E lui ama te? Amore e desiderio sono cose diverse. Io sono un uomo, so cosa passa per la testa di un ragazzo che invita una ragazza in vacanza. Non è affetto, fidati.”

“Quindi, niente?” chiese lei.

“No. Tra un mese avrò le ferie, andremo al mare insieme.”

Beatrice si morse il labbro, pensierosa. Il cuore di Marco si strinse. Somigliava tanto a sua madre! Anche lei lo faceva quando era nervosa o incerta. Sua figlia era ormai grande. Come spiegarle che aveva perso troppo, che non poteva rischiare di perderla anche lei?

“Papà, ti prego. Saremo soli solo in treno. Poi staremo coi parenti di Matteo.” Lo sguardo era pieno di speranza.

“No. Se vuoi, li visiteremo tra un mese,” tagliò corto Marco.

“Non credevo fossi così…” esplose Beatrice. “Avrei potuto andarmene senza chiedere, sai? Sono maggiorenne. Ma ho voluto essere onesta.”

“Se non l’hai fatto, significa che la mia opinione conta per te. Allora ascoltala,” disse Marco, riprendendo il giornale. Ma non leggeva.

“Un giorno ripenserai a questa discussione con occhi diversi.”

“Papà, lasciami andare. Ci amiamo.” Un ultimo tentativo.

“Tu forse sì. Lui? Se ti amasse, non ti avrebbe spinta a mentire.”

“Tu sai tutto di lui? Di me? E tu invece—” Beatrice si bloccò, realizzando di aver oltrepassato un limite.

“Proprio perché l’ho vissuto, ti parlo. Gli errori della gioventù si pagano per sempre,” osservò Marco, filosofico.

“Ah, sì? E dimmi pure quanto è stato difficile crescermi da solo. Quanto hai rinunciato per me… Ti sono grata, ma posso sbagliare anch’io. Ti prego.” Le sopracciglia contratte, gli occhi lucidi.

“No.” Marco alzò il giornale, segnando la fine della discussione.

Beatrice sbuffò, girò sui tacchi e sbatté la porta della sua stanza.

Marco riprese il giornale. Come fare a concentrarsi ora?

***

Quanti anni erano passati? Sembrava ieri quando aveva convinto Lisa a scappare a Firenze per un weekend. Non aveva mai saputo se avesse mentito ai suoi genitori. Loro l’avevano lasciata partire.

Era stata una gita meravigliosa. Tornarono felici, cambiati. O almeno, così gli era parso. Poi Lisa partì per Roma, si iscrisse all’università. Lui rimase a Milano, al Politecnico, dove incontrò Elena. Ne perse la testa, dimenticò Firenze, Lisa, le promesse. No, in verità, non le aveva mai detto “ti amo”. Ne era certo.

Poi Lisa tornò, annunciando di essere incinta. Lui ebbe paura. Non della gravidanza, ma di perdere Elena. Lisa arrivò direttamente dalla stazione. Lui la spinse ad abortire, balbettando scuse: troppo giovani, non pronti…

Lisa piangeva. “Sono già tre mesi.”

“E perché hai aspettato?” urlò lui, furioso. “A tre mesi si può ancora—”

Lei se ne andò. Per tre anni non seppe più nulla. Era certo che avesse abortito. Altrimenti i suoi genitori sarebbero venuti a reclamare giustizia.

Sposò Elena, organizzò la luna di miele al mare: biglietti pronti, valigie fatte. Un suono alla porta cancellò tutto. Non la riconobbe subito. Lisa, pallida, magra, con una bambina per mano.

“Ciao,” sussurrò lei, forzando un sorriso.

Marco si irrigidì.

“Chi è?” chiamò Elena da dentro.

Capì che la moglie era dietro di lui dallo sguardo perso di Lisa. Si voltò.

“Chi è?” Elena fissava la bambina.

Marco guardò Lisa. Nei suoi occhi tremava un dolore antico. Si sentì sporco, in colpa. Non aveva ucciso nessuno, ma si sentiva un criminale.

“Eravamo compagni di scuola,” disse, con una sicurezza finta.

“Non lasciamoli sulla porta! Entrate,” disse Elena, gentile.

Lisa avanzò, esitante. Marco notò una borsa a terra. Capì: erano i vestiti della bambina.

“Parti o arrivi?” chiese, forzando un tono scherzoso.

“Parto. Non posso portarla con me.” Lisa abbassò lo sguardo sulla figlia. “Non ho nessuno a cui lasciarla. Mio padre è morto, mia madre… non importa. Tu non sei un estraneo per lei. Se torno, la riprendo.”

Voleva dirle che anche loro stavano per partire, ma invece chiese: “Dove vai?”

“Lontano. Nella borsa ci sono i documenti di Beatrice e i suoi vestiti. Una lista di cosa non può mangiare”Dopo un attimo di silenzio, Marco prese la bambina tra le braccia mentre il suo sguardo incrociava quello di Elena, capendo che da quel momento in poi la loro vita sarebbe cambiata per sempre.”

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