**Sistemare la vita privata**
“Mamma, ma perché ti agiti tanto? Denis mi ha detto che mi ama. Ci sposeremo, mamma,” disse Gaia, calma come non mai.
“Come non agitarmi? Sei incinta, non sei sposata, non hai ancora finito l’università, e quel tuo ragazzo non l’ho mai visto in faccia! Pensi che un bambino sia un giocattolo? Quello Denis deve presentarsi qui oggi stesso e guardandomi negli occhi promettere che si assumerà tutte le responsabilità, hai capito?”
“Ma non strillare così, credevo saresti stata felice di un nipote. Ora vado a chiamare Denis, tornerà presto dal lavoro, ho le chiavi della sua stanza in residence. Aspetterò lì, sei troppo nervosa,” ribatté Gaia offesa, svicolando fuori di casa agitando la borsetta con noncuranza.
Maria Elisabetta si portò una mano al cuore, si sedette pesantemente sullo sgabello e guardò il ritratto del marito.
“Ecco il frutto dell’assenza di un padre!” sussurrò al ritratto. “Oh, Domenico, perché ci hai lasciate così presto? Non sono riuscita a proteggere nostra figlia. Gaia è cresciuta troppo in fretta. E se quel ragazzo la lasciasse? Come faremo a vivere? Il mio stipendio è misero, e chi assumerebbe Gaia incinta? Mancano ancora sei mesi alla laurea. Che disastro!”
Maria Elisabetta affondò il viso nel grembiule e pianse. Il peso della vita l’aveva schiacciata da giovane: il marito morto in un incidente in fabbrica, la figlia di soli due anni, la periferia di Milano. Solo l’amica di sempre e i vicini sapevano quanto aveva sofferto. Il boccone più buono lo dava sempre alla bambina, e intanto tirava avanti con la casa. Ora che la vita sembrava più stabile, la figlia le aveva riservato una sorpresa del genere.
“Va beh, devo preparare l’impasto per la crostata, tanto verrà il genero. Eh, Gaia, Gaia…”
Quando la tavola fu apparecchiata, Maria Elisabetta indossò un vestito più elegante e si mise a lavorare a maglia per passare il tempo in attesa.
Poi, il colpo secco della porta d’ingresso. Gaia rientrò, ma dietro di lei non c’era nessuno.
“Dov’è il genero? L’hai lasciato sulla soglia?”
“Era qui, ma è sparito,” singhiozzò Gaia. “Mi ha lasciata.”
“Come sarebbe?” Maria Elisabetta cadde sulla sedia, sbalordita.
“Così! Si è licenziato, ha preso le sue cose e se n’è andato chissà dove. Così ha detto l’amministratore del residence…”
Gaia era sconvolta, gli occhi pieni di lacrime. Diventare una madre single non era nei suoi piani.
“Che faccio adesso, mamma?”
Maria Elisabetta avrebbe voluto dirle “Te l’avevo detto,” ma si trattenne. Il cuore di una madre non è di pietra.
“Partorisci, che altro puoi fare? Non si risolve da solo,” rispose. “Quando nascerà?”
“A luglio, giusto in tempo per la laurea,” sospirò Gaia accarezzandosi la pancia.
…Gaia partorì nei tempi previsti. Era una bambina, che chiamarono Giulia. E così cominciarono a vivere in tre, come i tre cipressi di San Siro.
La piccola cresceva forte e allegra, con occhioni intelligenti che osservavano il mondo. Maria Elisabetta la adorava, mentre Gaia mostrava un certo distacco. Giulia, sfortunatamente, somigliava al bugiardo di Denis: stessa capigliatura rossa e riccia, stessi grandi occhi verdi.
“Arriva la mamma!” A sei anni, Giulia correva alla porta non appena intravedeva Gaia dalla finestra, pronta ad abbracciarla.
“Che mi hai portato?” Si aggrappava al braccio della madre, fiduciosa.
“Niente,” rispondeva Gaia, cupa e stanca.
“Perché? Voglio il gelato! Me l’avevi promesso ieri!”
“Lascia stare! Sono stanca!” Gaia la allontanò e sparì in camera.
Giulia rimase ferma in mezzo alla stanza, piangendo. Aveva atteso la mamma, sperando in un gesto d’affetto, e invece era stata respinta. E poi, all’asilo, le avevano fatto disegnare la famiglia. Lei ne aveva disegnate tre: sé stessa, la mamma e la nonna. I compagni avevano riso, dicendole che era “senza papà”.
Maria Elisabetta cercò di consolarla, ma un nodo di dolore scatenò una crisi di pianto.
“Papà dov’è? Perché la mamma è cattiva?” urlava Giulia, singhiozzando.
Maria Elisabetta la strinse a sé.
“Non tutti hanno un papà, tesoro. Ma ce la facciamo lo stesso! Ci saranno più crostate per noi. Vieni, andiamo a prendere il gelato.”
Al suono della parola magica, Giulia si calmò.
“Lo prendiamo anche alla mamma?”
“Anche alla mamma.”
L’8 marzo in casa di Maria Elisabetta era sempre una festa. Dopotutto, erano tutte donne. La tavola era stracolma, Gaia invitava le amiche, e si scambiavano regali. Ma quell’anno, Gaia portò con sé un uomo, senza avvertire la madre.
Sulla soglia comparve un uomo distinto, molto più vecchio di Gaia, in un costoso completo.
“Mamma, ti presento Alessandro. Lavoriamo insieme, è il mio capo. Presto sarà trasferito in un’altra città per una promozione. Ci sposeremo.”
“Cosa?” Maria Elisabetta si bloccò.
“Oddio! È il mio papà?” Giulia, affacciata dalla sua stanza, era esultante.
“No, piccola, io non sono tuo padre,” sorrise Alessandro. “Guarda che bambola ti ho portato.”
Giulia distolse lo sguardo, rifiutando il regalo. Quell’uomo non le piaceva.
La serata trascorse fiacca. Alessandro non si sforzò di piacere, mentre Gaia si affannava a compiacere il futuro marito e rimproverava la figlia.
“Siediti composta! Cosa penserà di noi lo zio Alessandro? Smettila di agitarti!”
Maria Elisabetta taceva, a disagio. Alessandro, invece, godeva della sua superiorità, convinto di fare loro un favore. Parlava solo lui, Gaia annuiva.
“Nel nostro settore abbiamo ottenuto risultati eccellenti. Presto sarò direttore di una filiale. Peccato sia a tremila chilometri da qui. Dovremo trasferirci. Gaia viene con me. Abbiamo già una villa su due piani con giardino.”
“Verrò anch’io? Com’è l’asilo lì?” chiese Giulia.
Alessandro tacque, fissando Gaia. Lei capì subito.
“Mamma, com’è il lavoro? Magari licenziati, è ora che ti riposi.”
“La pensione è lontana, e con cosa vivremmo?”
“Io e Alessandro ti daremo i soldi. Non ti mancherà nulla.”
“Perché mai?”
“Bambina, vai a giocare in camera con la tua nuova bambola,” ordinò Alessandro, cacciando Giulia.
La bambina guardò la nonna, che annuì, e se ne andò, lasciando la bambola sulla soglia.
“Mamma, il fatto è che… non vogliamo portare Giulia con noi. Appena ci sistemiamo, la riprendiamo.”
“Ma perché? Avete detto che la villa è grande! Cosa vi dà fastidio?”
“È scomodo con un bambino piccolo,” rispose Alessandro. “E non sarà gratis badarle.”
“Ha un nome,” ribatté Maria Elisabetta. “Ecco perché mi offrite soldi, per liberarvi di vostra figlia?”
“Mamma, è temporaneo,” sorrise Gaia. “Non è educato impGiulia, ormai adulta, strinse la mano della nonna guardando i suoi occhi pieni d’orgoglio, e insieme lasciarono la casa senza voltarsi indietro, mentre Gaia e Alessandro rimanevano sulla soglia, incapaci di comprendere che alcune cose non si comprano con il denaro.