Pensò che fosse solo un povero mendicante storpio! Gli dava da mangiare ogni giorno con quel poco che aveva… Ma una mattina, tutto cambiò!
Questa è la storia di una ragazza povera di nome Fiammetta e un mendicante storpio di cui tutti ridevano. Fiammetta aveva appena ventiquattro anni. Vendeva cibo in una piccola bancarella di legno lungo la strada a Napoli. Il suo chiosco era fatto di vecchie assi e lamiere arrugginite, sistemato sotto un grande albero dove la gente si fermava per mangiare.
Fiammetta non aveva molto. Le sue scarpe erano consumate e il vestito rattoppato. Ma sorrideva sempre. Anche quando era stanca, salutava tutti con gentilezza. «Buonasera, signore. Prego», diceva a ogni cliente.
Si svegliava all’alba ogni giorno per cucinare riso, fagioli e polenta. Le sue mani lavoravano veloci, ma il cuore batteva piano per la tristezza. Fiammetta non aveva famiglia.
I suoi genitori erano morti quando era piccola. Viveva in una stanzetta vicino alla bancarella, senza luce né acqua corrente.
Solo lei e i suoi sogni. Un pomeriggio, mentre puliva il banco, passò la sua amica Zia Rosina. «Fiammetta», le disse, «perché sorridi sempre quando stai male come noi?» Fiammetta sorrise ancora. «Perché piangere non riempie la pentola».
Zia Rosina rise e se ne andò, ma quelle parole rimasero nel cuore di Fiammetta. Era vero. Non aveva niente.
Ma continuava a dar da mangiare alla gente, anche quando non potevano pagare. Non sapeva che la sua vita stava per cambiare. Ogni pomeriggio, accadeva qualcosa di strano alla sua bancarella.
Un mendicante storpio appariva all’angolo della strada. Arrivava lentamente, spingendo la sua vecchia sedia a rotelle con le mani. Le ruote cigolavano sulle pietre.
Scricchiolio, scricchiolio, scricchiolio. La gente che passava rideva o si tappava il naso. «Guarda quel poveraccio», disse un ragazzo.
Le gambe dell’uomo erano bendate. I pantaloni erano strappati alle ginocchia. Il viso era coperto di polvere.
Aveva occhi stanchi. Alcuni diceva che puzzava. Altri che fosse pazzo.
Ma Fiammetta non distolse lo sguardo. Lo chiamava Nonno Gino. Quel pomeriggio, sotto il sole cocente, Nonno Gino spinse la sedia a rotelle e si fermò vicino al chiosco. Fiammetta lo guardò e disse piano: «Sei qui di nuovo, Nonno Gino. Ieri non hai mangiato».
Nonno Gino abbassò lo sguardo. La sua voce era flebile. «Ero troppo debole per venire», disse.
«Non mangio da due giorni». Fiammetta guardò il tavolo. Restava solo un piatto di fagioli e polenta.
Quello che voleva mangiare lei. Esitò. Poi, senza dire una parola, prese il piatto e glielo mise davanti.
«Mangia», gli disse. Nonno Gino guardò il cibo e poi lei. «Mi dai il tuo ultimo piatto di nuovo?» Fiammetta annuì.
«Cucinerò di nuovo quando torno a casa». Le sue mani tremavano prendendo il cucchiaio. Aveva gli occhi umidi.
Ma non pianse. Abbassò la testa e cominciò a mangiare lentamente. La gente che passava li fissava.
«Fiammetta, perché dai sempre da mangiare a quel mendicante?», chiese una donna. Lei sorrise. «Se fossi io sulla sedia a rotelle, non vorrei che qualcuno mi aiutasse?» Nonno Gino veniva ogni giorno, ma non chiedeva mai nulla.
Non chiamava la gente. Non tendeva la mano. Non chiedeva cibo né soldi.
Stava solo seduto in silenzio accanto al chiosco di Fiammetta, con la testa bassa e le mani appoggiate sulle gambe. La sedia sembrava sul punto di rompersi, una ruota storta.
Mentre altri lo ignoravano, Fiammetta gli portava sempre un piatto caldo. A volte riso, a volte fagioli e polenta.
Glielo dava con un sorriso grande. Era un pomeriggio afoso. Fiammetta aveva appena servito risotto a due scolari quando alzò lo sguardo e vide di nuovo Nonno Gino, seduto al solito posto.
Le gambe erano ancora avvolte in bende sporche. La camicia ora aveva più buchi. Ma lui stava lì, in silenzio.
Fiammetta sorrise e preparò un piatto di risotto fumante. Aggiunse due pezzetti di carne e gli si avvicinò. «Nonno Gino», disse dolcemente.
«È pronto». Nonno Gino alzò lentamente lo sguardo. Gli occhi erano stanchi.
Ma vedendo Fiammetta, si ammorbidirono. «Ti ricordi sempre di me», disse. Lei si inginocchiò e posò il cibo con cura sullo sgabello accanto a lui.
«Anche se il mondo ti dimentica, io no». In quel momento, una grande auto nera si fermò davanti al chiosco. La portiera si aprì e ne uscì un uomo.
Indossava una camicia bianca immacolata e pantaloni scuri. Le scarpe luccicavano come appena lucidate. Era alto, con occhi profondi.
Fiammetta si alzò in fretta e si pulì le mani sul grembiule. «Buonasera, signore», disse. «Buonasera», rispose l’uomo.
Ma non guardava lei. Fissava Nonno Gino. Senza battere ciglio.
Nonno Gino continuava a mangiare, ma Fiammetta notò qualcosa di strano. Aveva smesso di masticare. L’uomo fece un passo avanti e inclinò la testa, come per ricordare qualcosa.
Poi si voltò verso di lei. «Un piatto di risotto, per favore. Con carne». Fiammetta lo servì in fretta e glielo porse.
Ma mentre mangiava, l’uomo guardava ancora Nonno Gino. Questa volta, insicuro. Apri la portiera, salì in auto e se ne andò senza una parola.
La mattina dopo, Fiammetta si svegliò presto. Spazzò davanti al chiosco e pulì il tavolo come sempre. All’alba, non smise di guardare la strada.
«Presto arriverà», sussurrò. Ma passarono le ore. Nessuna sedia a rotelle.
Niente Nonno Gino. A mezzogiorno, il cuore cominciò a batterle forte. Si affacciò alla strada e guardò il vicolo. «Dov’è?»
Chiese a Zia Rosina, la venditrice di verdura. «Hai visto Nonno Gino oggi?» Zia Rosina rise. «Quel vecchio? Forse si è trascinato da un’altra parte».
Fiammetta non rise. Chiese ai ragazzi che vendevano acqua in bottiglie. «Avete visto il vecchio in sedia a rotelle?» Scossero la testa.
Chiese anche al ciclista parcheggiato lì vicino. «Signore, lo ha visto stamattina?» L’uomo sputò per terra. «Forse si è stufato di stare sempre nello stesso posto».
O forse se n’è andato. Il petto di Fiammetta si fece pesante. Si sedette vicino alla pentola di riso e fissò il posto vuoto di Nonno Gino.
Tutto il giorno. Passarono altri due giorni.
Niente. Nonno Gino era sparito. Fiammetta non sorrideva più. Serviva i clienti, ma il viso era triste. Non mangiava.
Persino l’odore del suo risotto le dava nausea. Pensava sempre a Nonno GinoMa il quarto giorno, mentre affettava cipolle con le lacrime agli occhi, una limousine nera si fermò davanti a lei, e dall’auto scese un uomo elegante che sorridendo le disse: “Fiammetta, Nonno Gino ti aspetta per restituirti tutto il bene che gli hai offerto, moltiplicato per mille”.