Credevo di essere diventata moglie…

Mentre Chiara pagava la spesa, Marco se ne stava in disparte. Quando iniziò a riempire le borse, lui uscì dal supermercato. Chiara lo raggiunse sul marciapiede mentre fumava una sigaretta.
“Marco, prendi le borse per favore,” chiese, porgendogli due sacchetti stracolmi.
Marco la fissò come se le avesse chiesto di compiere un reato, domandando con tono sprezzante: “E tu?”
Chiara rimase interdetta. Perché chiedere “e tu?”? Uomini veri aiutano sempre con carichi pesanti. Era inaccettabile vedere una donna affannarsi mentre l’uomo passeggia a mani vuote.
“Marco, sono pesantissime,” replicò.
“E quindi?” ribatté lui ostinato.
Vedeva l’ira sul volto di Chiara, ma rifiutava per principio. S’incamminò veloce, sapendola impossibilitata a seguire. “Prendi le borse?! Ma chi credi di essere? Non sono un facchino né un dominato! Decido io quando aiutare! Si stancherà un po’, non muore mica…”, pensava Marco. Quel giorno aveva voglia di “educare” la moglie.
“Marco, dove vai? Prendi le borse!” gridò Chiara, la voce rotta dall’emozione.
I sacchetti erano effettivamente pesanti – Marco stesso aveva riempito il carrello al Conad. In via dei Giardini l’appartamento distava cinque minuti, ma con quel carico la via sembrava chilometri.
Chiara avanzò a fatica trattenendo le lacrime, sperando in un ritorno di Marco. Invano. Avrebbe voluto abbandonare la spesa, ma continuò come in trance.
Giunta al portone, crollò su una panchina esausta. La voglia di piangere per l’umiliazione era forte, ma in strada provava vergogna. Marco l’aveva offesa deliberatamente, ricordandole com’era premuroso prima del matrimonio.
“Salve, Chiaretta!” la voce di Nonna Maria la riscosse.
“Salve, Nonna Maria,” rispose con un filo di voce.
Maria Rossi, vicina del secondo piano, era stata amica della nonna defunta di Chiara. Orfana di padre e con la madre lontana, Chiara la considerava la sua unica famiglia.
Decise all’istante di regalarle tutta la spesa: prosciutto crudo, olive farcite, acciughe sott’olio e pesche sciroppate – prelibatezze che la pensionata raramente poteva permettersi.
“Andiamo, Nonna Maria, l’accompagno,” disse rialzandosi a fatica.
Arrivati a casa della donna, Chiara depositò i sacchetti. Nonna Maria, commossa fino alle lacrime, la abbracciò forte.
Tornata nel suo appartamento, Marco la attendeva in cucina masticando un panino.
“Dove sono i sacchetti?” chiese con finta innocenza.
“Quali sacchetti?” replicò Chiara gelida. “Quelli che hai aiutato a portare?”
“Ma smettila! Ti sei offesa per così poco?”
“No,” rispose placida. “Ho semplicemente tratto le mie conclusioni.”
Marco s’irrigidì: si aspettava urla, non questa calma inquietante.
“Quali conclusioni?”
“Non ho un marito,” sospirò. “Credevo d’essermi sposata, ma ho scoperto d’aver adottato un deficiente.”
“Non capisco,” fece Marco fingendosi oltraggiato.
“Cosa c’è da non capire?” lo fissò negli ochi. “Voglio un marito che sia un uomo. Tu invece vuoi una moglie che faccia l’uomo. Allora ti serve un marito.”
Marco arrossì per la rabbia. Chiara, ignara, iniziò a riempire la sua valigia nella stanza. Lui protestò fino all’ultimo, incredulo:
“Tutto questo per delle borse della spesa? Stavi così bene!”.
Sorriderà mentre gettava i suoi indumenti nel bagaglio.
“La valigia spero la porterai da solo,” tagliò corto Chiara senza ascoltare.
Sapeva che sarebbe stato il primo di molti soprusi. Se avesse ceduto, le umiliazioni sarebbero peggiorate. Lo cacciò sbattendo la porta, aprendo invece per sé la strada della dignità. Imparò che l’amore vero non disdegna il
Chiara capì che un matrimonio senza rispetto reciproco è come una cappuccino senza schiuma: soltanto un’illusione amara.

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