MIA CUGINA CRISTINA
La mia cugina Cristina era per me un modello da seguire quando eravamo piccole. Cristina viveva a Milano, io a Verona. Ogni estate i nostri genitori ci mandavano in campagna dai nonni. Lì, io e Cri passavamo le giornate e le notti insieme. Erano momenti di pura felicità.
Tutto di mia cugina mi affascinava: la sua figura, i suoi capelli ricci e lucenti, i vestiti eleganti che portava da città. Eppure, oggi, con l’esperienza degli anni, posso dire che Cristina non fosse proprio una bellezza.
Guardando le sue foto da bambina, vedo una ragazzina bassa, paffutella, con lineamenti irregolari. E poi, ricordo, aveva una dizione terribile. Ma il suo carisma e il suo ottimismo compensavano ogni difetto. Intorno a lei c’era sempre un codazzo di ragazzi.
Cristina avrebbe potuto essere una capobanda, tenere tutti sotto controllo. I bambini la obbedivano senza fiatare. Era una di quelle ragazze vivaci e temerarie. Aveva un carattere irrequieto, e spesso il suo comportamento mi metteva in allarme. Io, invece, ero tranquilla e remissiva…
Una volta, Cristina si impossessò di un libro nuovissimo su Winnie the Pooh. Lo aveva preso in prestito dalla biblioteca del paese e, a fine estate, lo portò con sé a Milano. Io tremavo come una foglia. E se la verità fosse venuta a galla? Avevamo otto anni. Per me quel gesto era incomprensibile. Eravamo brave bambine, oneste! Eppure, nel segreto, la mia anima infantile ammirava e si vantava di una cugina così! Alla fine, il libro dovemmo restituirlo. Nostro nonno insistette, e in più ci fece una predica infinita. E nonna, per “rafforzare” le sue parole, ci diede una sculacciata con una frusta di ortica. Quel giorno di “scoperta” fummo severamente punite e, senza appello, private della razione quotidiana di caramelle. Io soffrii per aver taciuto quel che nonna definì un “crimine inaudito”:
«Voi, ragazze, non lo sapete? In campagna i muri sono di vetro! Basta che una notizia arrivi alle lingue delle donne, e in un attimo si sparge in ogni cortile! Non puoi mettere un cancello davanti alla bocca degli altri! Le nipoti di un professore, ladre! Ma si è mai visto?»
Insomma, fu un evento di portata familiare. Forse è per questo che lo ricordo ancora.
Cristina sapeva nuotare benissimo, saltare col paracadute (frequentava un corso per giovani paracadutisti), e picchiarsi alla pari con i maschi. Insomma, i tre mesi estivi mi bastavano per avere ricordi fino alle vacanze successive. Io e Cristina eramo inseparabili, anche se di carattere totalmente opposto. Lei, una vera scalmanata; io, come si dice, “l’acqua cheta”…
Nostro nonno era un insegnante. Ogni estate ci “torturava” con dettati e temi. Ricordo che io, la secchiona, non facevo un solo errore e avevo una calligrafia elegante; Cristina, invece, aveva pagine piene di sbagli, lettere storte e disordinate. Ma non se ne preoccupava minimamente. Nonno si indignava:
«Come può la nipote di un maestro scrivere così male e in modo così sciatto?»
Cristina scrollava le spalle, come a dire: lasciatemi in pace. Nonna la ammoniva:
«Vedrai, la mia Antonietta diventerà direttrice, e tu, Cristì, spazzerai i marciapiedi!»
Che dire…
Gli anni passarono, e noi crescemmo. Non vedevamo l’ora che arrivasse l’estate per rivederci. D’inverno ci scrivevamo lettere. All’inizio condividevamo segreti da bambine, poi da ragazze. Come si dice, tra cugine scorre l’acqua.
Arrivò il tempo di “sistemarsi”. Per me arrivò presto: mi sposai a 17 anni, e non me ne sono mai pentita. A 18 ebbi una figlia. Mi laureai al Politecnico. Cristina invece finì la scuola a stento, con voti appena sufficienti. Si iscrisse a un istituto magistrale. A dirla tutta, non capii mai questa scelta. Con quella dizione traballante e quei voti bassi… Zia Lucia (la mamma di Cristina) dovette fare innumerevoli “regali” ai professori perché sua figlia, con gran fatica, ottenesse il diploma.
Tuttavia, più tardi, Cristina avrebbe tentato di scrivere una tesi di laurea. Ma la salute la tradì, e dovette abbandonare l’idea. Non mi stupirei se, una volta in pensione, tornasse su quel progetto… Che forza di carattere!
A 20 anni ebbi la possibilità di visitare la capitale grazie a un biglietto di un giorno. Andai soprattutto per rivedere Cristina. Non ci vedevamo da anni. Volevo anche conoscere suo marito, Vincenzo. Non ero potuta andare al loro matrimonio. Ma mai avrei immaginato come sarebbe finito quel tanto atteso incontro!
Prima andai da zia Lucia con dei regali. Subito si mise a piangere, parlando del genero:
«Antonietta, eravamo tutti contrari a questo matrimonio affrettato. Avevo un bravo giovane pronto per Cristina. Tutto sembrava procedere per il meglio! Poi spuntò lui, Vincenzo! Un tiranno, un possessivo, un donnaiolo! Quando il diavolo ti prende per il naso… Cristina lo ha seguito come un coniglio ipnotizzato da un serpente! Oh, ne soffrirà, vedrai! Sono sicura che alza anche le mani! Eh, insegnare agli stupidi è come curare i morti! Ma dobbiamo sopportare. Aspettiamo un nipote. Non possiamo privare il bambino di un padre», si lamentava zia Lucia.
Dopo aver ascoltato i suoi lamenti e, preparata dal suo discorso, andai a trovare Cri. Era incinta, eppure era fiorita. Ma nei suoi occhi nuotava una tristezza infinita. Ci sono donne a cui piace interpretare il ruolo della vittima…
Dopo aver parlato con Vincenzo, capii perfettamente il punto di vista di zia Lucia. Ma Cristina… La mia cugina fiera e indomabile era completamente sotto il controllo del suo “tiranno”!
Lo guardava con adorazione, attenta a ogni sua parola. E le parole di Vincenzo non erano certo poetiche… Rimasi sorpresa da un cambiamento così radicale. Ma, come si dice, moglie e marito sono come serpenti nella stessa tana. Vincenzo si vedeva come un re, con una moglie così remissiva. Si crogiolava nel suo amore, totale e incondizionato.
Ma lui, la amava? Non lo so. Dubito. A onor del vero, Vincenzo era un bell’uomo, alto e ben proporzionato, davvero gradevole alla vista.
Probabilmente, sognato da molte fanciulle. Questo non si poteva negare. “Bello fuori, brutto dentro”. Da lui sentii solo comandi. Finii per compatire Cristina, ma lei mi rispose seccamente:
«Antonietta, non fare come mia madre. Non ho bisogno della tua pietà! Sto benissimo! Sono felice con mio marito!»
Be’, ognuno ha la libertà di scegliere…
Quella sera invernale festeggiammo il mio arrivo con dello spumante. Chiacchierammo, ricordammo le monellerie di un tempo, scherzammo. Decidemmo di fare una passeggiata per Milano, tutti e tre. Era freddo, ma l’atmosfera era allegra. Quando tornammo, Vincenzo ordinò (sì, proprio ordinò) a Cristina:
«Riposati, moglie. Vai a dormire. Io e Antonietta faremo ancora un giro.»
Io, ovviamente, protestai. Ma Vincenzo mi strinse il polso con tale forza cheE mentre mi allontanavo nel buio, compresi che certe storie, come certe famiglie, trovano la loro pace solo quando il tempo ha lavato via ogni orgoglio e ogni rancore.