**Cuori Pregati: Felicità nonostante tutto**
Le sorelle di Anna si erano sposate presto, trasferendosi in città diverse, facendo figli. Le loro case erano piene di risate, mentre Anna rimaneva sola nella casa dei genitori, a Canicattì. Gli anni passavano e la speranza di trovare l’amore svaniva come neve al sole. Tutti ormai l’avevano data per spacciata: «Chi vorrebbe una come lei, e per di più in un paesino?» Ma Anna non si arrendeva. Teneva la casa in ordine, allevava galline e capre, coltivava l’orto. Raccoglieva i frutti della terra e li mandava alle sorelle, perché i loro bambini mangiassero verdure fresche. Il suo pane a lievitazione naturale era famoso: chiunque glielo chiedeva, e lei non negava mai una pagnotta.
Anna non si lamentava. Accettava il suo destino con umiltà, trovando gioia nell’accudire i nipoti che venivano d’estate. Le loro voci allegre riempivano la casa di vita, ma quando partivano, il silenzio sembrava ancora più pesante. Anna non aveva perso la speranza, ma in fondo al cuore si preparava a una vecchiaia solitaria.
Ma il destino aveva altri piani.
Una giornata di luglio, arrivarono degli operai nella casa accanto per costruire una dependance. Anche Anna aveva bisogno di aiuto: il tetto del ripostiglio era da sistemare, la canna fumaria della stufa da sostituire, e mille altre piccole cose che si accumulavano. Senza le mani di un uomo, in campagna era dura, anche se Anna sapeva usare martello e scalpello. Uno degli operai, Marcello, si offrì di darle una mano. Era divorziato, senza figli, con occhi stanchi ma buoni.
All’inizio chiacchieravano solo: della vita, del paese, di quanto fosse pesante stare soli. Poi lui cominciò a passare più spesso, aiutandola con le faccende, mentre Anna gli preparava la cena. L’amicizia si trasformò in qualcosa di più. A quarant’anni, Anna si sposò. Il matrimonio fu semplice, ma i suoi occhi brillavano così tanto che nessuno avrebbe osato dirla brutta. Marcello, tre anni più grande, la guardava come se fosse un miracolo.
A quarantadue anni, Anna diede alla luce Luca. Marcello, ormai quarantacinquenne, non mostrava stanchezza—solo felicità. Tre anni dopo nachoe Giulia. I bambini erano la loro benedizione, la loro luce. Nonostante le battute e i pronostici, affrontavano tutto con serenità. Ogni momento con loro era una gioia: i primi passi, le prime parole, i primi disegni.
«Sei stanca, amore mio?» chiedeva Marcello ogni sera, stringendola a sé.
«Un pochino» rideva Anna, e il suo volto si illuminava.
Venti anni sono volati via in un soffio. Luca era cresciuto e sposato, Giulia studiava a Milano. Anna e Marcello aspettavano i nipotini. Lui, tuttofare, aveva già costruito in cortile un piccolo parco giochi—altalene, scivolo, sabbionaia. La loro casa era piena di calore, anche se non di ricchezza. Anna non si sentiva più insignificante. Come poteva pensare male di sé, quando lui la stringeva così forte, chiamandola «amore»?
Ma a volte, nelle sere silenziose, Anna ripensava agli anni di solitudine. Le parole cattive delle vicine, gli sguardi di pietà, il giudizio muto. Aveva superato tutto, ma il suo cuore non si era indurito. Sapeva che la sua felicità non era fortuna, ma un dono conquistato con anni di attesa.
Anna guardava Marcello, la loro casa, le foto dei figli, e le venivano le lacrime. Non di dolore, ma di gratitudine. Per l’amore, per la famiglia, per averle dato tutto ciò che sognava quando ormai quasi non ci credeva più.