Cura te stesso, gestisci e guadagna! Non sono la tua serva, – gridai mentre lasciavo la casa.

“Vuoi salsicce o uova?” chiese Caterina, mentre teneva in braccio la piccola Beatrice che russava dolcemente. Alessandro era seduto a tavola, immerso nello schermo del telefono.

“Salsicce. Ma senza i tuoi tentativi creativi,” borbottò senza guardarla.

Caterina respirò profondamente. Con la bambina tra le braccia, cucinare era un gruppo circense.

“Puoi prendere Bea un attimo?” chiese posando lo sguardo su di lui.

“Un momento, finisco qui,” rispose, scrollando le spalle.

Beatrice cominciò a piagnucare. Caterina cercò di calmarla, mentre voltava le salsicce. Una prese fuoco.

“Di nuovo bruciata?” fece Alessandro, arricciando il naso. “Non potresti stare più attenta?”

“E tu non potresti dare un mano?” ribattè lei, girandosi di scatto.

“Ecco, ricomincia… Io, tra l’altro, lavoro per mantenere questa famiglia.”

“E io cosa faccio? Lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro. Senza ferie.”

Caterina gli posò il piatto davanti senza parlare. Una volta erano una squadra. Adesso sembrava tirare il carro da sola.

I giorni si trascinavano identici. Una sera, decise di parlarci seriamente:

“Alessandro, dobbiamo parlare. Sei sempre occupato con il lavoro, i giochi, il telefono. E io? E Beatrice?”

“Caterina, sempre la stessa storia? Faccio tutto per voi.”

“Ma non basta! Una famiglia non sono solo soldi. È cura, attenzione, aiuto.”

“È il tuo dovere,” rispose lui, alzando le spalle.

“Voglio che tu sia parte di questa famiglia. Sono stanca di fare tutto da sola.”

“Io mi spremo al lavoro, Caterina. Ho bisogno di tempo per me.”

“E io no?” La voce le si spezzò in gola.

In quel momento, un pianto provenne dalla camera di Beatrice. Alessandro non si mosse.

Uscita dal congelamento lavorativo, Caterina trovò un nuovo impiego. Ora le sveglie suonavano alle cinque. Alessandro, però, non contribuiva.

Quella sera, dopo un ritardo in ufficio, rientrò verso le nove. L’appartamento era in penombra, il lavello pieno di piatti sporchi. Alessandro era sdraiato sul divano.

“Prepari la cena?” le chiese, invece di un saluto.

“Scherzi? Sono in ritardo e tu non hai nemmeno lavato un piatto?”

“Sono stanco.”

“Dov’è Beatrice?”

“Dorme. Le ho ordinato una pizza.”

Caterina andò in cucina in silenzio. Le mani le tremavano. Un giorno, controllando il conto, scoprì che Alessandro aveva prelevato tremila euro dai suoi risparmi per un nuovo computer.

“Ma sono soldi miei,” si stupì lui. “In famiglia il budget è condiviso.”

“Condiviso? E quando ti chiedo aiuto, tiri fuori il tuo contributo?”

L’ultima goccia fu il compleanno di Beatrice. Caterina aveva preparato tutto per una settimana. Lui promise di arrivare presto per aiutare.

*Scusa, mi trattengono al lavoro. Spero tu sia in grado,* scrisse un’ora prima.

Caterina fissò il messaggio. Dentro di lei, qualcosa si spezzò. Quella sera, mettendo a letto la piccola, prese la decisione.

Alessandro rientrò più tardi del solito.

“Caterina, stira la mia camicia per domani. E perché non c’è cena?”

Lei si girò lentamente verso di lui.

“Cucina, pulisci e guadagna tu! Non sono la tua domestica.”

Si diresse verso la camera, tirando fuori una borsa già pronta.

“Dove pensi di andare?” lui le sbatté davanti.

“No, anzi. Finalmente torno in vita. Non ce la faccio più.”

“Ma cosa c’è che non va? Viviamo come tutti…”

“Come tutti? Soli in due? Tu non ci sei più, Alessandro. Sei un fantasma, e io… solo l’aiuto domestico.”

Entrò nella camerina, sollevò delicatamente Beatrice assonnata.

“Aspetta!” lui le sbarrò la strada. “Abbiamo una famiglia, una figlia…”

“Famiglia? Siamo l’ombra di una famiglia.”

“Basta. Ho deciso.”

La piccola stanza in affitto li accolse in silenzio. Il telefono squillò senza posa. Alessandro passò dalle minacce alle suppliche.

“Cambierò, prometto.”

“No, Alessandro. Non puoi. Non capisci nemmeno cosa cambiare.”

I giorni diventarono settimane. Caterina, piano piano, riprese fiato. Cominciò a sorridere al mattino, senza più quel peso sul petto.

Alessandro continuò a chiamare, ma sempre meno. Una volta si presentò al suo lavoro con dei fiori.

“Riprova con me. Ho capito tutto.”

“Troppo tardi,” scosse la testa Caterina. “Non credo più nelle promesse.”

Presto si accorse di quanto tempo e spazio avesse ritrovato. Si iscrisse a un corso, uscì con le amiche. Soprattutto, imparò ad ascoltarsi. Ora, addormentandosi in quel piccolo monolocale, non si sentiva più sola.

Finalmente era sé stessa. E quella libertà valeva ogni paura.

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