Da quando i figli mi chiamano ogni giorno, ma sento che non è per affetto, bensì per l’eredità.
Ginevra Marchetti è alla finestra, osservando il cortile innevato e grigio. Nella sua casa regna il silenzio, rotto solo dal ticchettio lento dell’orologio. In pensione da anni, i suoi pensieri tornano spesso ai figli adulti: due figlie e un figlio. Oggi è il suo compleanno. Verranno a farle gli auguri? O almeno ricorderanno e telefoneranno? Ma, a dirla tutta, Ginevra non si fa più illusioni.
“Ricordo trent’anni fa, quando mio marito mi lasciò sola con tre bambini piccoli,” riflette con amarezza. “Non voleva responsabilità: era stanco del pianto, del disordine, dei soldi che non bastavano mai. Avevo appena trent’anni, i più grandi erano appena iniziati a scuola, il piccolo ancora usava i pannolini. Dovevo sfamarli, vestirli, educarli…”
Ginevra non si arrese. Lavorò come poté: donna delle pulizie, commessa, babysitter. Pur di tirare avanti. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una vita sua. Il suo unico sogno era che i figli non mancassero di nulla, che non si sentissero diversi dagli altri.
Ora, guardando indietro, capisce che forse sbagliò a mettere i soldi al primo posto, anziché l’affetto. I suoi figli avevano bisogno non solo di cibo e vestiti, ma anche di una madre accanto, con un libro in mano e una parola dolce.
In quei tempi difficili, nessuno le diede sostegno. Suo marito se ne andò come se avesse cancellato la famiglia dalla sua vita. “Fu una sua scelta,” pensa ora senza rancore. “Ognuno ha la sua strada.”
I figli sono cresciuti, hanno costruito le loro vite. Lei è rimasta sola. La pensione è modesta, ma Ginevra ha sempre messo da parte qualcosa “per i figli”. Soldi per i matrimoni, per le case, per i nipoti…
Ma oggi, dopo anni, si ritrova con i risparmi, il suo appartamento di due stanze nel centro di Firenze, e un vuoto nell’anima. Non c’è nessuno con cui scambiare due parole.
Una settimana fa, un dolore improvviso al petto l’ha costretta a chiamare l’ambulanza. In ospedale, dopo gli esami, i medici le hanno detto ciò che temeva: una malattia seria, prognosi incerta.
Il personale ha avvisato i familiari. E allora è successo l’impensabile: tutti e tre i figli sono arrivati in corsia quasi insieme.
La vicina di letto le ha detto, invidiosa:
“Che fortuna avere figli così premurosi! Non ti lasciano un attimo…”
Ginevra ha risposto con un sorriso amaro. Conosce troppo bene i suoi figli per illudersi.
Dopo la dimissione, le telefonate quotidiane sono iniziate.
“Mamma, come stai oggi?”
“Mamma, hai bisogno di qualcosa?”
“Mamma, hai pensato a fare testamento? Così evitiamo discussioni dopo…”
Tutto sembrava premuroso, ma nelle parole c’era una falsità gelida. Nessuna vera preoccupazione, solo un copione recitato. Ginevra lo sentiva: non era amore, né nostalgia. Era solo questione di soldi. Del suo appartamento in centro. Dei risparmi che ha accumulato per loro.
Il suo cuore si spezzava: era davvero ridotta a questo?
In questi giorni, Ginevra ha riflettuto più che mai. Guarda le finestre buie dei palazzi vicini e realizza che la sua vecchiaia non è come l’aveva sognata. Immaginava serate accanto al camino, a leggere favole ai nipoti, feste con i figli… Invece, c’è solo solitudine e telefonate calcolate, piene di avidità nascosta.
Comincia a chiedersi: vale davvero la pena lasciare tutto a loro, dopo una vita di sacrifici?
Una nuova idea, crudele e liberatoria, le passa per la mente: donare i risparmi in beneficenza. E l’appartamento, forse, lasciarlo alla vicina Valeria Rossi, quella che ogni sera viene a trovarla, le porta la spesa, le chiede “Come stai, Ginevra?” senza secondi fini.
La decisione non è ancora presa. Ma nel suo cuore cresce una certezza: l’amore non si compra con regali, case o soldi. L’amore c’è, o non c’è.
La vita è una. E la vecchiaia pure.
E se deve viverla sola, almeno che le sue ultime scelte siano sincere, non dettate dal dovere verso chi l’ha dimenticata quando aveva più bisogno del loro calore.