Come mia suocera è finita in ospediale “per il cuore” ed è tornata… con una bambina
Con Davide siamo sposati da quasi sette anni. Ci siamo conosciuti all’università a Firenze – vivevamo in stanze vicine dello stesso studentato. Allora lui portava spesso da casa sacchetti pieni di cibo – barattoli, contenitori, dolci fatti in casa. Sua madre, Bianca Francesca, cucinava divinamente e, a quanto pare, faceva di tutto perché suo figlio non avesse mai fame.
Quando Davide mi ha chiesto di sposarlo, la prima cosa che ha fatto è stata portarmi a conoscere sua madre. Ero un po’ nervosa, ma fin dall’inizio ci siamo trovate benissimo. Bianca Francesca si è rivelata una donna intelligente, aperta e gentile. Aveva avuto Davide a 18 anni e, dopo appena sei mesi, aveva perso suo marito. Ma non si era arresa. Aveva cresciuto suo figlio da sola, facendone un uomo vero, senza un grammo di rancore verso la vita.
Lavorava senza sosta per non dover dipendere da nessuno e per garantire a Davide tutto ciò di cui aveva bisogno. Non c’erano stati altri uomini dopo suo marito – non ne aveva avuto il tempo. Quando l’ho conosciuta, aveva 41 anni ma ne dimostrava al massimo 35 – tonica, curata, con una mente vivace e un gran senso dell’umorismo.
«Ebbene, ora tocca a te prenderti cura del mio ragazzo» mi ha detto sorridendo quando abbiamo annunciato il fidanzamento.
Io e Davide abbiamo finito l’università, ci siamo sposati e siamo rimasti a Firenze – lui aveva trovato un buon lavoro. Mia suocera ha subito chiarito che non sarebbe stata d’intralcio: «Sono abituata a fare da sola, ho i miei ritmi, non ho bisogno di assistenza». Abbiamo preso un appartamento non lontano dal suo, a due fermate di autobus.
Bianca Francesca passava spesso a trovarci – sempre con dei regali, impeccabile, sorridente. Non dava mai consigli non richiesti, ma se glieli chiedevo, mi aiutava, lodava le mie torte e a volte si offriva persino di darmi una mano con le pulizie. Una suocera da sogno, senza dubbio.
Andavamo spesso da lei: ci invitava per un caffè, per un dolce, semplicemente per chiacchierare. Aveva moltissime amiche e correva sempre da una parte all’altra – a teatro, al cinema, a prendere un cappuccino. Era una donna piena di energia. E quando è nato nostro figlio, Matteo, è stata la nostra salvezza – ci ha insegnato come lavarlo, come nutrirlo, lo portava a spasso col passeggino, mi permetteva di dormire un po’. Poi lo accompagnava persino all’asilo quando noi, dopo il lavoro, non facevamo in tempo.
Ma un giorno è semplicemente scomparsa. Per giorni nessuna telefonata, nessuna visita, nessuna risposta ai messaggi. Ero preoccupata, ma Davide mi ha detto che sua madre gli aveva chiamato per avvisare che sarebbe stata a Siena da un’amica per un paio di mesi. Tutto bene. Mi è sembrato strano – perché non avvisare prima? Non era da lei. Pazienza.
Ci sentivamo solo in videochiamata. Chiedeva di vedere il nipotino, ma non si mostrava mai in camera. Scherzava, evitava. Alle mie domande rispondeva svagata: «Ma dai, cosa vuoi che sia!»
Una volta, però, ho chiamato io – e ha risposto proprio Bianca Francesca, dicendomi all’improvviso: «Sono all’ospedale cittadino, il cuore non regge». Mi sono spaventata. Le ho proposto di raggiungerla, ma ha rifiutato. «Quando mi dimetto, vi chiamo, ci vediamo allora» ha detto, asciutta.
Sono passati alcuni giorni. Una sera ci ha invitati a casa sua – aveva una notizia importante. Siamo andati. Ad aprirci la porta… c’era un uomo sconosciuto. Sono rimasta di sasso. E dietro di lui, c’era Bianca Francesca. Raggiante. E… con una bambina in braccio!
«Vi presento, questo è Federico, il mio marito. E questa è nostra figlia, Sofia. Scusatemi per il segreto. Avevo paura che non avreste capito. Ho 47 anni e non sapevo come l’avreste presa. Ma ora che tutto è finito, voglio che facciate parte della nostra nuova famiglia».
Ero senza parole. Ma poi ho visto nei suoi occhi la stessa cura, lo stesso calore e la stessa speranza che avevo visto tanti anni prima, quando mi aveva affidato Davide. Mi sono avvicinata, l’ho abbracciata e le ho detto: «Ti meriti tutta la felicità del mondo. E noi ci siamo, come ci sei sempre stata tu per noi».
Ora la aiuto con la piccola Sofia, proprio come lei ha aiutato me con Matteo. Usciamo insieme, ridiamo, cuciniamo. Ora siamo due famiglie, ma con un unico, grande cuore. E forse la vera felicità è proprio questa – amare, perdonare e vivere, nonostante gli anni, gli stereotipi e le paure.