Io, Alessandro Rossi, mi trovavo in cucina quando la mia moglie, Ginevra Bianchi, mi lanciò: «Ascolta, Lina La mamma ha portato una pentola nuova». Ho alzato lo sguardo dalla stufa, grattandomi la nuca. «Ha detto che è buona, in acciaio inox, tedesca».
«Fammi indovinare. Ora le dobbiamo qualcosa?», ha risposto Ginevra senza voltarsi, continuando a tagliare linsalata.
«Eh sì, più o meno», ho balbettato, imbarazzato.
«E metterà lo scontrino sul coperchio, così non dimentichiamo», ha stroncato lei, con un sorriso ironico. «Inizia a stringere i denti con i suoi regali».
«Ma dice che la nostra vecchia è ingombrante», ha tentato di difendersi la suocera.
«Alessandro, sai che abbiamo una decina di pentole, tutte a posto», lho rimproverata. Lei è rimasta in silenzio, ha sospirato e si è ritirata nella camera. Non era la prima cortesia. Prima i tovaglioli, poi i bicchieri, le tende per il bagno, il cesto per la biancheria tutto di cuore. Poi venivano i conti e le lamentele sulla pensione non è di gomma.
Rosa Bianchi, la madre di Alessandro, era entrata nella nostra vita da poco. Prima viveva a Napoli e conosceva il nipote solo dalle foto su WhatsApp. Quando Pietro è nato, ha chiamato una volta, ha chiesto il nome e poi è sparita. Ginevra aveva pensato: «Meglio così, piuttosto di una suocera che ti ficca il naso dove non vuole».
Lestate scorsa però tutto è cambiato. Rosa è scivolata davanti al condominio e si è rotta lanca. Dopo lintervento, ha capito che da sola non ce la farebbe. Non aveva più parenti, così Alessandro le ha proposto di venire a stare da noi.
«Starà qui per qualche settimana, finché non si rialza. Forse due, forse un mese».
Il mese è diventato tre. Rosa si è ambientata piano ma con decisione: ha occupato il divano, ha telefonato alle amiche, ha alzato il volume della TV al massimo. Poi ha iniziato a dispensare consigli, apparentemente benevoli ma con una certa pressione.
«Perché il secchio dellimmondizia è così piccolo?», chiedeva. «Avete cambiato le tende della camera? Che colore triste! E le pareti del salotto, non le rifareste?».
Poco a poco è comparso un elenco di acquisti: una cuociriso, un ferro da stiro, una padella. Tutto ciò che la non le è più comodo. Rosa non avvertiva nessuno, semplicemente portava unaltra scatola. Se non fosse stato per il suo commento finale:
«Se vi serve, me lo restituite. Io non sono unintruso, aspetto. È per il vostro benessere».
Non riuscivamo più a stare dietro alla generosità della suocera. Il flusso di consigli e regali con fatture non si fermava nemmeno quando si era trasferita in un appartamento in affitto, in un quartiere limitrofo.
«Alessandro, le hai restituito i soldi per la cuociriso?», ha chiesto Ginevra quella sera.
«Sì, a rate».
«E per il ferro da stiro?».
«Quasi. Mi resta ancora un migliaio di euro».
Ginevra ha scosso la testa in silenzio. Non aveva energia per litigare con una madre estranea; aveva già abbastanza da gestire: lavoro, casa, il figlio da preparare alla scuola. Tutte le discussioni passavano da me, ma finivano sempre allo stesso punto. Ho provato a essere più duro, a contraddire, ma Rosa tirava fuori il discorso della pressione alta, delle pillole care, della pensione stretta, e io cedevo.
«Cosa dovevo dire?», mi difendevo. «Mia madre si sta impegnando. Crede di fare tutto per noi».
«Non si sta impegnando, Alessandro. Sta solo facendo pressione, ma con un sorriso dolce».
Sono rimasto in silenzio, perché sapevo che Ginevra aveva ragione. Dentro di me lottavano labitudine e la ragione. Avevo paura di ferire la madre.
Il vero terrore, però, era per Ginevra. Guardando il marito, vedeva Pietro e pensava: «Lui vede tutto questo. Che cosa ne trarrà? Che bisogna tacere quando gli adulti, con fare importante, si intromettono nella tua vita? Che bisogna ringraziare per un aiuto non richiesto?».
È allora che ha capito che non si poteva più continuare. Non per la pentola o per i soldi, ma perché quando il figlio sarà grande dovrà capire che una cortesia senza rispetto non è benevolenza, ma un controllo mascherato.
Loccasione per dimostrarlo è arrivata da sola, ma a quale prezzo?
Pietro è tornato dalla passeggiata insolitamente silenzioso. Lo seguiva Rosa, raggiante come una lampada da ufficio, con due sacchetti in una mano e uno zaino stracolmo nellaltra.
«Ecco, abbiamo sistemato tutto per la scuola!», ha esclamato dalla soglia. «Non sarà peggio degli altri!».
Ginevra è rimasta interdetta. Ieri avevamo girovagato per tutti i negozi, scegliendo insieme a Pietro: astuccio, zaino, quaderni con Batman.
«Che cosa avete comprato?», ha chiesto, sospirando.
«Due divise, per crescere, con un po di margine. Una giacca, cara ma ben imbottita. Scarpe bianche, stivaletti in offerta di pelle. E un sacco di piccole cose: un astuccio con una bestia rossablu, come piace a lui».
Pietro ha abbassato lo sguardo, lespressione non era felice. Rosa se ne è andata con il petto gonfio di orgoglio e la promessa di chiamare più tardi per parlare del conto. Ginevra ha chiamato il figlio in cucina per parlare.
«Pietro, hai scelto tutto tu?».
«No», ha balbettato sul sedile. «Mamma ha detto che è più esperta. Ho preso lastuccio di Superman. Quando ho detto che non mi piace, ha alzato la mano. E le scarpe mi stringono».
«Allora perché le avete prese?».
«Rosa ha detto che si allargheranno».
«Perché non hai chiamato? Perché non hai detto nulla?».
«Non lo so. Nessuno mi ha chiesto».
Pietro ha abbassato la testa, le parole gli hanno trafitto il cuore più di qualsiasi colpo al bilancio familiare. Sembrava aver capito che a volte è più facile tacere, sopportare, sorridere educatamente anche quando è spiacevole. Ora lui soffre come Ginevra: un cattivo esempio è contagioso.
La sera il telefono ha squillato.
«Allora, facciamo la divisione», ha detto Rosa con allegria. «Abbigliamento, zaino, scarpe, cancelleria ventimila euro. Forse un po di più. Invierò separatamente lo scontrino per la giacca».
Ginevra ha sentito il desiderio di urlare, ma si è trattenuta.
«Rosa Bianchi, non avete pensato di consultare noi o almeno il nipote? Abbiamo già comprato tutto prima di voi. Lastuccio di Batman è stato scelto da Pietro. Le scarpe non gli fanno male».
«Certo, ho fatto del bene e ora mi sputate addosso? Volete fare di me la capra sacra? So meglio di tutti cosa serve a mio nipote! Chi lo porterà a scuola? Io! Lo presenterò al mondo! Accidenti, che ingrati!».
Rosa ha chiuso il telefono. Ginevra è sospirata, ma la tensione non è diminuita; la testa le pulsava come se un cerchio la stringesse.
«Domani andrò da lei», ha detto Alessandro, mentre discutevano. «Parlerò. Non però nutrirò grandi speranze».
Ci è andato davvero, ma è tornato dopo poche ore con le spalle alzate.
«Non mi ha lasciata parlare», ha riferito. «Ci siamo dette che labbiamo usata. Lei si sforza, noi siamo così».
«E cosa le hai risposto?», ha chiesto Ginevra sottovoce.
«Ho detto che avevi ragione. Che anchio ho sopportato cose simili da piccolo. Che non si può ficcare il naso nella nostra vita».
Lo sguardo di Ginevra si è addolcito. Anche senza lunghi discorsi sentimentali, ha capito che finalmente era dalla sua parte. Con due persone, le cose sarebbero cambiate, non perfette ma senza un senso di colpa acido.
Una settimana di silenzio è passata. Rosa non ha più chiamato, non ha più fatto sorprese a pagamento. La tensione invisibile è svanita. Ginevra si è accorta di non stringersi più ad ogni suono della porta o di un messaggio.
Hanno deciso di mettere in vendita metà dei regali scolastici. Alcune cose le hanno messo su Subito.it: lo zaino, parte della cancelleria, uno dei completi. Qualcosa è finita tra amici. La giacca è finita alla sorella di Ginevra per la nipote. Solo gli stivaletti sono rimasti, con unetichetta luccicante «novità». La scatola è rimasta nellangolo del soggiorno, dentro un sacchetto, intatta, come se contenesse una storia pesante.
Tutto si sarebbe sistemato se Pietro non fosse uscito dalla sua stanza con il telefono in mano. Il viso era teso, le labbra serrate, le sopracciglia aggrottate.
«La nonna mi ha scritto», ha detto, guardando altrove. «Dice che ha un regalo per me: un set da costruzione».
Ginevra ha preso il telefono e ha visto la foto: un colorato robot. Proprio quello che Pietro sognava. Lavrebbero comprato, ma era troppo costoso, così lo avevano rimandato a grandi occasioni, alle cospicue bollette della suocera.
«Ha scritto qualcosaltro?», ha chiesto Ginevra, incrociando le braccia.
«Sì. Che mi aspetta a casa e che devo chiedere di portarmelo nei weekend. Ma solo se vengo. Dice che labbiamo offeso».
Alessandro, dietro Ginevra, ha sospirato. La voce di Pietro non tradiva entusiasmo, solo una lotta interiore.
«Vuoi andare?», ha chiesto.
«Non molto», ha abbassato lo sguardo. «Ma non la voglio deludere. E poi devo dire grazie? Anche se non lo sento».
Ginevra si è inginocchiata accanto a lui, parlando piano.
«Caro, ringraziamo quando ci danno qualcosa con amore, non quando ci guardano come se avessimo un debito. Se ci danno qualcosa con condizioni, non è un regalo, è un affare o una trappola».
Alessandro si è seduto accanto a loro.
«Ascolta, Pietro. Non devi nulla a nessuno, nemmeno a una nonna. Se ti senti a disagio, dillo a noi. Siamo sempre qui».
«Allora non voglio. Che si arrabbi, ma io non posso», ha risposto piano.
Ginevra ha guardato Alessandro. La sua voce era calma, però negli occhi cera qualcosa di personale, come se parlasse a se stesso, a quel bambino che non aveva mai capito la differenza tra gentilezza e manipolazione.
Più tardi, di notte, mentre Pietro dormiva, si sono seduti in cucina. Alessandro ha guardato fuori dalla finestra e ha detto:
«Da piccolo pensavo fosse normale. Che quando ti danno qualcosa devi subito restituire. Che il bene è un debito. Se non lo fai, sei un figlio cattivo. Ho portato questo peso per anni».
Si è voltato verso Ginevra, scuotendo la testa. È stato difficile parlare, ma alla fine lo ha scaricato:
«Non voglio che Pietro viva con questa colpa. Che sappia che lamore non è una vendita. Che la famiglia non è una lista di debiti».
Il mattino dopo Pietro è tornato da Ginevra con il telefono. Ha scritto: «Grazie per la foto, ma non verrò. Non voglio regali che richiedono qualcosa. Sto bene a casa». Ha inviato il messaggio, Rosa lo ha visto ma non ha risposto.
Il cuore di Ginevra si è gonfiato di orgoglio. Il figlio di sette anni ha capito ciò a cui molti adulti non arrivano mai: a volte il rifiuto è protezione, non capriccio.
Non hanno risolto tutto con Rosa in un colpo solo, ma hanno fatto la cosa più importante: hanno difeso il loro bambino e gli hanno insegnato che non è necessario diventare comodi per un amore che porta con sé obblighi imposti.






