Dal suo mensile, oltre ai pagamenti necessari e agli acquisti alimentari scontati, si concedeva un piccolo lusso: un pacchetto di caffè in chicchi.

Con la pensione, Signora Lucilla Rossi, oltre ai pagamenti obbligatori delle bollette e agli acquisti di cibo in offerta all’ingrosso, si concedeva un piccolo regalo: un pacchetto di caffè in grani.

I chicchi erano già tostati e quando ne apriva un angolo, sprigionavano un aroma irresistibile. Bisognava inspirare con gli occhi chiusi, dimenticando tutti gli altri sensi tranne l’olfatto, ed ecco che si compiva il miracolo! Insieme al profumo inebriante, sembrava entrare in corpo una nuova energia, riaffioravano i sogni d’infanzia su paesi lontani, immaginava le onde dell’oceano, il rumore di una pioggia tropicale, i misteriosi sussurri della giungla e le grida selvagge delle scimmie che si arrampicavano sulle liane…

Non aveva mai visto nulla di tutto questo, ma ricordava i racconti del padre, spesso in viaggio per spedizioni di ricerca in Sud America. Quando era a casa amava raccontare a Lucilla delle sue avventure nella valle dell’Amazzonia, sorseggiando caffè forte, e quell’aroma le ricordava sempre lui, asciutto, muscoloso e abbronzato viaggiatore. Sapeva da sempre che i suoi genitori non erano quelli naturali.

Ricordava come all’inizio della guerra, lei, una bimba di tre anni che aveva perso i suoi cari, fosse stata accolta da una donna che divenne sua madre per tutta la vita. Poi, tutto come per tutti: scuola, studi, lavoro, matrimonio, la nascita di un figlio e infine la solitudine. Il figlio, circa vent’anni prima, accettando le insistenze della moglie, aveva scelto di vivere in un altro paese e prosperava con la sua famiglia nella città di Haifa. In tutto questo tempo aveva visitato il paese natale solo una volta. Si sentivano al telefono, il figlio le mandava mensilmente del denaro, ma lei non lo spendeva – lo metteva da parte su un conto appositamente aperto. In vent’anni aveva accumulato una somma considerevole, che un giorno sarebbe tornata al figlio. Poi…

Ultimamente non la lasciava in pace il pensiero di aver vissuto una vita buona, piena di affetti e amore, ma – non sua. Se non fosse stato per la guerra, avrebbe avuto un’altra famiglia, altri genitori, un’altra casa. Quindi, anche un destino diverso. Non ricordava quasi nulla dei suoi genitori naturali, ma spesso rivedeva una bambina della sua età che stava sempre accanto a lei in quegli anni quasi infantili. Si chiamava Maria. Sembrava ancora sentirli chiamare: – “Mariuccia, Lucilluccia!” Che legame avevano? Amica, sorella?

I suoi pensieri furono interrotti dal breve segnale del cellulare. Guardò lo schermo: la pensione era stata accreditata sulla carta! Benissimo, proprio al momento giusto! Poteva fare una passeggiata fino al negozio, comprare il caffè – l’ultimo pacchetto era stato consumato ieri mattina. Con cautela, picchiettando sul marciapiede con il bastone, evitando pozzanghere autunnali, si avvicinò all’ingresso del negozio.

Alla porta si era rannicchiata una gattina grigia e tigrata, che guardava cautamente i passanti e le porte di vetro. La compassione le mosse il cuore: – “Poverina, starà congelando, e magari sarà anche affamata. Ti porterei a casa con me, ma… chi si occuperà di te dopo di me? A me ormai rimane… Non oggi, ma domani”. Ma, impietosita, le comprò un economico pacchetto di cibo per gatti.

Versò con cura la massa gelatinosa in un vassoio di plastica, mentre la gatta aspettava paziente e guardava la sua benefattrice con occhi pieni d’amore. Le porte del negozio si aprirono e sulla soglia comparve una donna robusta, con un’espressione sul volto che non lasciava presagire nulla di buono. Senza parole, scalciò il vassoio con il cibo, sparpagliando la gelatina sul marciapiede:

– Te lo dico, te lo dico – non serve a niente! – sbraitò. – Non dovremmo nutrirli qui! – e si allontanò nervosamente.
La gatta, lanciandosi occhiate attorno, iniziò a raccogliere i bocconi dal terreno, e Lucilla Rossi, soffocata dall’indignazione, avvertì un primo accenno di un attacco in arrivo. Si affrettò verso la fermata dell’autobus – solo lì c’erano delle panchine. Sedutasi su una di esse, frugò frenetica nelle tasche, sperando di trovare le pillole, ma invano.

Il dolore impietoso incalzava a ondate, la testa sembrava stretta in una morsa, le veniva buio davanti agli occhi e un lamento le sfuggiva dal petto. Qualcuno le toccò la spalla. Aprì faticosamente gli occhi: una giovane ragazza la guardava spaventata:
– Si sente male, nonna? Come posso aiutarla?
– Qui, nel sacchetto. – Signora Lucilla mosse debolmente la mano. – C’è una confezione di caffè. Prendila e aprila.

Si chinò sul pacchetto, respirò l’aroma dei chicchi tostati una volta, due. Il dolore non passò, ma si attenuò.
– Grazie, ragazza mia. – Mormorò debolmente Lucilla Rossi.
– Mi chiamo Paola, ma ringrazi la gatta. – Sorrise la ragazza. – Era lì con lei e miagolava così forte!
– E grazie anche a te, cara. – Lucilla Rossi accarezzò la gatta che era lì, sulla panchina con lei. Proprio quella tigrata.
– Cosa le è successo? – chiese premurosa la ragazza.
– Un attacco, ragazza mia, un’emicrania. – Confessò Lucilla Rossi. – Mi sono agitata troppo, succede…

– La accompagno a casa, da sola sarebbe difficile arrivare…
– … Anche mia nonna soffre di attacchi di emicrania. – Raccontava Paola, mentre bevevano un caffè leggero con latte e biscotti nell’appartamento di Lucilla Rossi. – In realtà, lei è la mia bisnonna, ma la chiamo “nonna”. Vive in un paesino, insieme a mia nonna, mamma e papà. Io studio qui, alla scuola per infermieri. La nonna mi chiama sempre “ragazza mia”. E poi – lei le somiglia così tanto, che all’inizio ho pensato fosse lei! E non ha mai cercato i suoi parenti, quelli veri?

– Paola, mia cara, come potrei trovarli? Non li ricordo quasi per niente. Né il cognome, né da dove vengo. – Raccontò Lucilla Rossi, accarezzando la gatta che si era addormentata calda sulle sue ginocchia. – Ricordo il bombardamento, durante un viaggio su un carro, poi i carri armati…

E io correvo, correvo così forte che non ricordavo me stessa! Un orrore! Un orrore per tutta la vita! Poi una donna mi raccolse e l’ho sempre chiamata mamma, e anche adesso è mia madre. Dopo la guerra è tornato suo marito e è diventato il miglior papà del mondo! Ho solo un nome dal mio passato. E probabilmente la mia famiglia è perita lì, sotto le bombe. E mia madre, e Mariuccia…
Non si accorse che dopo quelle parole Paola ebbe un sussulto e la guardò con grandi occhi blu:

– Lucilla, ha una voglia sulla spalla destra che sembra una foglia?
Alla padrona di casa andò di traverso il caffè, e la gattina la fissò attentamente.
– Come lo sai, cara mia?
– Mia nonna ha una voglia identica. – Sussurrò Paola. – Si chiama Maria. Non smette mai di piangere quando ricorda la sua sorellina gemella, Lucilluccia. È scomparsa sotto il bombardamento, durante l’evacuazione. Quando i fascisti tagliarono la strada, furono costretti a tornare a casa, dove subirono l’occupazione. E Lucilluccia scomparve. Non l’hanno mai trovata, per quanto hanno cercato…
Fin dalla mattina, Lucilla non riusciva a stare lontano dalla porta, aspettando ospiti. La gatta grigia e tigrata non la abbandonava neanche per un momento, guardandola ansiosa in volto.

– Non preoccuparti, Marghe, sto bene, – tranquillizzava la padrona la gatta. – È solo il cuore che batte…
Infine, il campanello della porta suonò. Lucilla, nervosa, aprì la porta.
Due donne anziane, ferme, si guardavano negli occhi pieni di speranza. Come in uno specchio vedevano non perduta l’azzurra semplicità degli occhi, i riccioli grigi dei capelli e le rughe di tristezza agli angoli delle labbra.

Infine, l’ospite tirò un sospiro di sollievo, sorrise, fece un passo avanti e abbracciò la padrona di casa:
– Ciao, Lucilluccia!
E sulla soglia, asciugandosi lacrime di felicità, stavano i suoi cari…

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