Con la pensione, oltre a pagare le spese essenziali e comprare generi alimentari nei mercati all’ingrosso, Maria Rosaria poteva permettersi un piccolo regalo: un pacchetto di caffè in grani. I chicchi erano già stati tostati e, quando tagliava l’angolo del pacchetto, emanavano un aroma straordinario. Respirarlo era un rituale che svolgeva ad occhi chiusi, immergendosi solo nel mondo degli aromi, e lì avveniva la magia! Con quel profumo incantevole, sentiva una forza risalire il suo corpo, portando alla memoria sogni giovanili di terre lontane, l’immaginazione di onde oceaniche, il suono della pioggia tropicale, fruscii misteriosi nella giungla e i richiami selvaggi delle scimmie che si affannavano tra le liane…
Non aveva mai vissuto nulla di tutto questo, ma ricordava i racconti di suo padre, sempre impegnato in spedizioni di ricerca in Sud America. Quando tornava a casa, adorava condividere con Maria Rosaria storie di avventure nella valle dell’Amazzonia, sorseggiando un caffè forte, il cui aroma la riportava ogni volta alla figura di quel viaggiatore snello e abbronzato. Era consapevole che i suoi genitori non fossero naturali. Ricordava bene come, all’inizio della guerra, una donna l’avesse raccolta e adottata come figlia, facendole da madre per tutta la vita. Poi, la vita è scorsa come per tanti: scuola, studi, lavoro, matrimonio, la nascita di un figlio, e infine, la solitudine. Vent’anni prima, il figlio aveva accettato le insistenze della moglie e si era trasferito in un altro paese, vivendo felice con la sua famiglia a Firenze. In tutto quel tempo, era tornato nel paese natio solo una volta. Si sentivano regolarmente al telefono e il figlio le inviava mensilmente dei soldi, che lei conservava su un conto aperto appositamente. In vent’anni, si era accumulata una somma considerevole, che intendeva restituirgli.
Di recente, non poteva fare a meno di pensare che avesse vissuto una bella vita, piena di amore e cura, ma era una vita che non le apparteneva. Senza la guerra, avrebbe avuto una famiglia diversa, altri genitori e un’altra casa. E quindi anche il destino sarebbe stato diverso. Dei veri genitori ricordava poco, ma spesso pensava a una bambina della sua età, che le era sempre accanto in quegli anni lontani, quasi infantili. Si chiamava Maria. Talvolta rivive il richiamo di quei tempi: “Mariuccia, Mariuccina!” Chi era per lei? Un’amica, una sorella?
I suoi pensieri vennero interrotti da un breve segnale del cellulare. Guardò lo schermo – la pensione era arrivata sulla carta! Benissimo, era il momento giusto! Potrebbe andare a fare una passeggiata al negozio e comprare il caffè – l’ultimo l’aveva preparato la mattina precedente. Camminando piano e attenta a non bagnarsi nelle pozzanghere autunnali con il bastone, si avvicinò all’entrata del negozio.
Accanto alla porta, una gattina grigia e tigrata guardava con apprensione i passanti e le porte di vetro. La pietà le toccò il cuore: “Poverina, starai mica al freddo e affamata. Ti porterei a casa, ma poi… A chi servirai dopo di me? Io ormai… Oggi o domani.” Con questo pensiero, comprò un pacchetto economico di cibo per gatti.
Versava attenta il contenuto di gelatina in un piccolo piatto di plastica, mentre la gatta aspettava pazientemente con occhi pieni di gratitudine. Le porte del negozio si aprirono e una donna corpulenta uscì, con un’espressione sul volto che non prometteva nulla di buono. Senza una parola, scalciò il piatto con il cibo, spargendo le crocchette sul marciapiede: “Te lo dico sempre – niente da fare se continui a nutrirli qua!” sbottò, allontanandosi nervosa. La gatta, guardandosi intorno con timore, cominciò a raccogliere le crocchette dal pavimento, mentre Maria Rosaria, sconvolta dall’indignazione, sentì il primo colpo di un imminente attacco. Veloce si diresse verso la fermata dell’autobus – solo lì c’erano delle panchine. Sedendosi su una di esse, frugò febbrilmente nelle tasche alla ricerca delle sue pillole, ma inutilmente.
Il dolore la pervase senza pietà, la testa sembrava tra le morse, gli occhi si oscuravano e un gemito straziato le usciva dal petto. Qualcuno le toccò delicatamente una spalla. Aprì faticosamente gli occhi – una ragazza giovane la guardava spaventata: “Non si sente bene, signora? Come posso aiutarla?” “Nel sacchetto, c’è un pacchetto di caffè. Aprilo, per favore.” E così fece, inspirando una volta, poi un’altra volta l’aroma dei chicchi tostati. Il dolore non scomparve, ma si attenuò. “Grazie, cara.” disse debolmente Maria Rosaria. “Mi chiamo Sofia, ma ringrazi la gatta. Era vicino a lei e miagolava così forte!” sorrise la ragazza. “Grazie anche a te, cara mia.” Maria Rosaria accarezzò la gattina che era accanto a lei sulla panchina, la stessa, tigrata. “Che le è successo?” “Un attacco, cara, un’emicrania. Mi sono agitata troppo, capita…” “L’accompagno a casa, è meglio non andare da sola…”
“…Anche la mia nonna ha attacchi di emicrania spesso,” raccontava Sofia mentre gustavano insieme un caffè leggero con latte e biscotti a casa di Maria Rosaria, “In realtà, è la mia bisnonna, ma la chiamo nonna. Lei vive in un paese vicino con mia nonna, i miei genitori vivono lì, mentre io studio qui, a Firenze, al corso di infermieristica. Lei mi chiama sempre cara, proprio come fa lei. Siete così simili che all’inizio ho pensato che foste la stessa persona! Ha mai provato a cercare i suoi parenti veri?” “Sofia, cara, come potrei trovarli? Non li ricordo quasi. Né il mio cognome, né da dove vengo. Ricordo solo il bombardamento, quando viaggiavamo su un carro, poi dei carri armati… E correvo, correvo, fino a dimenticare chi ero! Un incubo! Un incubo che mi ha segnato per tutta la vita! Una donna mi raccolse allora, e per me è sempre stata la mamma, così come ancora oggi. Dopo la guerra, il marito tornò a casa diventando il mio papà, il migliore del mondo! Dell’origine mi resta solo il nome. Ma credo che la mia vera famiglia sia perita là, sotto le bombe. E con loro, Maria…”
Non si rese conto che a quelle parole Sofia ebbe un sobbalzo, guardandola con grandi occhi azzurri: “Maria Rosaria, ha una voglia a forma di foglia sulla spalla destra?” La padrona di casa si fermò nel mezzo di un sorso di caffè, mentre la gatta alzava uno sguardo curioso verso di lei. “Come lo sai, cara?” “La mia bisnonna ne ha una identica.” disse piano Sofia. “Si chiama Maria. Non riesce a trattenere le lacrime quando parla della sua sorellina – la gemellina, Mariuccina. Dispersa durante il bombardamento, nell’evacuazione. Quando i fascisti bloccavano la strada, dovettero tornare a casa e lì vissero l’occupazione. Ma Mariuccina non si trovava più. Non l’hanno mai trovata, per quanto l’abbiano cercata…”.
La mattina seguente, Maria Rosaria non riusciva a trovare pace. Camminava su e giù dalla finestra alla porta, aspettando gli ospiti. La gattina grigia e tigrata non si allontanava mai troppo, fissando ansiosamente il volto di Maria Rosaria. “Non preoccuparti, Margot, va tutto bene con me,” rassicurava Maria Rosaria la sua gatta. “Solo il mio cuore batte forte…” Finalmente, suonò il campanello. Maria Rosaria, con ansia, aprì la porta. Due donne anziane, in silenzio, si fissarono negli occhi con speranza. Sembrava che vedessero un riflesso nei loro occhi della sua stesso blu non sbiadito, i riccioli grigi e le rughe di dolce tristezza agli angoli delle loro bocche.
Alla fine, l’ospite sospirò con sollievo, sorrise, fece un passo avanti e abbracciò Maria Rosaria: “Ciao, Mariuccina!” E sulla soglia, asciugando le lacrime di felicità, stavano i loro cari…