Desideravo una figlia, Dio mi ha dato un figlio. E ho pianto al suo matrimonio…

Desideravo una figlia, ma Dio mi ha dato un figlio. E ho pianto al suo matrimonio…

Mentre Alessandro e Beatrice celebravano il loro matrimonio, un’occasione sontuosa, vivace e piena di allegria, con ogni ospite che alzava il bicchiere in onore degli sposi, nessuno notò la donna in un angolo della sala che asciugava furtivamente le lacrime. Era la madre dello sposo, Luciana De Luca. E non piangeva per commozione. Il suo cuore si stringeva non di gioia, ma per la solitudine che sentiva avrebbe ormai accompagnato i suoi giorni.

Tanto tempo fa, sua madre le aveva detto: «Se avrai un figlio, sarai sola un giorno. Prova ancora, forse nascerà una bambina. Una figlia è per la madre, un figlio è per la moglie». Allora, Luciana aveva scrollato le spalle. Le sembrava di avere tutta la vita davanti, perché affrettarsi?

Fin da giovane, aveva sognato una figlia. Immaginava come le avrebbe lavato il visino tondo al mattino, come le avrebbe pettinato i ricci e legato i fiocchi. Aveva persino scelto il nome in anticipo: Caterina. Aveva comprato lenzuolini rosa e chiesto a un’amica di non buttare via i vestitini della sua bambina, «magari un giorno mi serviranno».

Ma il destino aveva disposto diversamente. Era nato un maschietto. Alessandro. E anche se non poteva certo chiamarlo Caterina, era così dolce, affettuoso e con tanti riccioli che Luciana a volte lo guardava e pensava: «Quasi come una bambina…»

Da piccolo, lo scambiavano spesso per una femminuccia. Poi era cresciuto, diventando un uomo forte e indipendente. Ma il suo carattere era rimasto gentile e aperto. Lei ne era orgogliosa. Eppure, dentro di sé, covava un rimpianto: e se avesse avuto davvero quella Caterina, se non avesse avuto paura, se non avesse lasciato suo marito, se non fosse rimasta sola…

Quando Alessandro portò a casa Beatrice, Luciana capì tutto al primo sguardo. I loro occhi, le risate, il modo in cui si tenevano per mano—era amore, vero e profondo. Luciana non riuscì a dire ciò che aveva in mente. Solo sussurrò: «Non tornare troppo tardi…»

Alessandro annuì, ma già nei suoi occhi si vedeva chiaramente: non era più un ragazzino. Era un uomo, e le sue decisioni ora le prendeva da solo.

Quando, sei mesi dopo, annunciò che si sarebbero sposati, Luciana rimase senza fiato.

«Magari aspettate? Almeno finisci l’università…» provò a dirgli.

«Mamma, l’amore non aspetta,» sorrise lui. «Io e Beatrice siamo una squadra. Con lei, posso fare tutto.»

Il matrimonio fu festoso, pieno di musica e balli. E proprio nel bel mezzo dei festeggiamenti, Luciana rimase in disparte, osservando il figlio. Il suo bambino. Non più il riccioluto ragazzino, ma un uomo adulto, pronto per la sua vita.

Beatrice non rimase indifferente. Si avvicinò e posò una mano delicata sulla spalla della suocera:

«Luciana, piangi? È successo qualcosa?»

«No, cara… Sono solo emozioni…» rispose, voltandosi.

Ma Beatrice insistette. E allora Luciana le raccontò tutto—del sogno di una figlia, della paura di restare sola, di quanto fosse difficile essere una madre con solo un figlio maschio. Beatrice ascoltò in silenzio. Poi l’abbracciò.

«Lasci che sia io la sua figlia,» disse. «Lo desidero davvero.»

Da allora, tutto cambiò. Alessandro e Beatrice affittarono un appartamento, poi ne comprarono uno. Vivevano per conto loro, ma invitavano sempre Luciana. Per le feste, i fine settimana. Beatrice telefonava spesso per chiedere consigli. E poi… arrivò la nipotina. Ricciuta, dolcissima—l’immagine di Alessandro e, incredibilmente, proprio la Caterina dei suoi sogni.

Quando Luciana la tenne in braccio per la prima volta, pianse. Ma questa volta, di felicità. Beatrice, vedendola, sussurrò: «Ora è nonna. La amiamo tanto.»

Passarono gli anni. Alessandro fece carriera, Beatrice aprì un’attività, e Luciana si trasferì da loro. Un grande appartamento, una stanza tutta per lei, affetto e cure—tutto ciò che una donna della sua età poteva desiderare.

Oggi, sorride ripensando a quel matrimonio e a quelle lacrime. Spesso siede in cortile con un’amica—una ha una figlia in America che chiama una volta al mese, l’altra due figli che passano a trovarla ogni giorno.

«Non importa chi nasce,» dice Luciana. «Importa come lo cresci. Volevo una figlia… ma il destino mi ha dato un figlio. E poi anche una figlia. Grazie, Signore.»

E guardando la nipotina che gioca nella sabbia, ripensa a sua madre, dicendole mentalmente: «Ti sbagliavi. Anche un figlio può essere per la madre… se è lei ad averlo cresciuto così.»

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