Destino…

Provvidenza…

Valentina

Era quasi giugno, ma il caldo estivo era già insopportabile da settimane. Valentina salì sull’autobus e subito se ne pentì. L’ora di punta, la folla, l’aria pesante. La schiacciavano da ogni lato, e il vestito le si era già appiccicato alla pelle sudata. Qualcuno le diede una gomitata nella schiena.

«Avanti, c’è gente che deve andare! E certe come te dovrebbero camminare, tanto spazio che occupano», borbottò una voce anziana e sgradevole dietro di lei.

«Neanche tu sei un filo di fieno, eh? Spostati!» urlò un uomo con una voce roca, spingendola così forte che le tolse il fiato.

«Mamma mia, mi hai schiacciato, brutto maledetto», piagnucolò una donna alle sue spalle.

Le porte si chiusero con un sibilo, e l’autobus partì. Dietro Valentina, la donna e l’uomo con la voce roca continuavano a litigare, spintonandosi.

«Perché sei così cattiva?»

«E tu stai zitto! Si fa già fatica a respirare, e poi c’è la tua puzza di alcol!» ribatté la donna senza peli sulla lingua.

Valentina non riusciva a vederli, non poteva nemmeno girare la testa senza sbattere contro la spalla di qualcuno. Non riusciva neanche ad aggrapparsi ai sostegni, troppo stretta tra i corpi sudati.

L’autobus procedeva a scatti, frenando e accelerando bruscamente. I passeggeri sbandavano da una parte all’altra, pigiati come acciughe in scatola. Non cadevano solo perché c’era così tanta gente da reggersi a vicenda. Quando il veicolo si muoveva, un po’ d’aria entrava dai finestrini aperti, offrendo un sollievo fugace. Ma ad ogni semaforo rosso, le liti riprendevano.

Valentina non partecipava, stringeva i denti, sognando solo di scendere, di respirare, di tornare a casa, togliersi quel vestito bagnato e lasciarsi inondare dall’acqua fresca della doccia. L’autobus ripartì, e la folla oscillò di nuovo.

«Ehi, autista, ci siamo o ci facciamo? Non stai trasportando legna da ardere!» gridò l’uomo roco. «Tu sì che avrai il ventilatore acceso, mentre noi qui soffochiamo!»

L’autobus sussultò ancora, rallentando per la prossima fermata.

«Nessuno salga più, siamo già come sardine! Qualcuno scende?» domandò l’uomo.

«Io! Io scendo! Aprite!» urlò Valentina, incapace di sopportare un altro minuto in quella bolgia.

Le porte si aprirono a fatica, lasciando uscire prima la donna, poi l’uomo, e infine lei. Prima di scomparire tra la folla, però, la donna le diede un altro colpo col gomito.

«Buffona! Solo per una fermata ci fai stare così!»

Valentina non rispose. L’autobus ripartì, lasciandola sola sul marciapiede. Decise di non aspettare il prossimo, e si incamminò verso casa a piedi, ingoiando lacrime di rabbia. Nelle orecchie continuava a rimbombare quella voce velenosa: «Buffona!»

Le avevano dato dell’elefante, dell’ippopotamo, della balena fin dalle elementari. Avrebbe dovuto farci l’abitudine, eppure ogni volta faceva male. Era colpa sua se era così grande? I medici non avevano mai trovato nulla di strano.

«Mamma, perché mi hai fatta così? Chi mi vorrà mai, con questo corpo?» piangeva, rientrando da scuola. «Se solo ti fossi sposata uno mingherlino, sarei magra come te. Invece mi tocca soffrire per sempre.»

«Non sei grassa, sei robusta. Il cuore non si comanda. Mi sono innamorata di tuo padre, punto. Era un bell’uomo, le donne lo guardavano. E tu gli somigli. Vedrai quando sarà il tuo turno», sbuffava la madre.

«Non mi sposerò mai. Chi potrebbe amarmi così?» singhiozzava.

«Qualcuno lo troverai, vedrai. Non tutti gli uomini vogliono le donne scheletriche. E poi, dopo i figli, anche le più magre si riempiono un po’», cercava di consolarla.

Valentina aveva provato tutte le diete, si era ridotta alla fame, ma non resisteva mai a lungo. Il suo corpo ribolliva di fame. Aveva anche tentato di correre al mattino, ma le ragazze snelle come gazzelle la guardavano con disprezzo, sghignazzando.

«Ah, ecco perché il marciapiede è così scivolato», commentò un ragazzo alla sua fidanzata, passandole accanto.

Valentina smise di correre, rinunciò alle diete, alla palestra, evitando perfino lo specchio.

Poi sua madre si ammalò gravemente. Nemmeno in quel periodo di angoscia perse peso. Non dimagrì neanche dopo il funerale, anche se per giorni non riuscì a mettere in gola un boccone.

Adesso aveva trentatré anni, e all’orizzonte non si vedeva né amore, né famiglia, né felicità.

«Basta autobus», decise. «Da oggi cammino.»

Ma il giorno dopo, alla fermata, un autobus quasi vuoto si fermò davanti a lei. Capita. Salì, estrasse la tessera per timbrarla, quando il mezzo partì di scatto. Valentina non fece in tempo ad aggrapparsi, e fu scaraventata all’indietro. «Stavolta cado e mi rompo la testa», pensò.

***

Luca

Quella mattina, Luca salì in macchina come sempre, girò la chiave, ma il motore non partì. Per cinque minuti provò inutilmente a farlo riprendere. Alla fine chiamò il carro attrezzi e la fece portare dal meccanico.

Arrivò in ufficio in taxi, con mezz’ora di ritardo. Non aveva fretta di tornare a casa—nessuno lo aspettava—così decise di fare due passi. Ma alla fermata passò un autobus semivuoto. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva usato i mezzi. Pensò di approfittarne.

Il numero 24 andava proprio verso l’officina, così avrebbe potuto controllare la macchina di persona. Senza pensarci su, salì.

Più tardi, ripensando a quel giorno, ne sarebbe stato certo: era stato il destino. Non un caso che la macchina si fosse rotta, non un caso che fosse salito su quell’autobus, diretto verso l’officina invece che a casa. Anche se, a pensarci bene, avrebbe potuto chiamare. Invece, tutto era successo così. E la sua vita era cambiata.

Si era sposato con una donna bellissima, un capolavoro, e ne era orgoglioso. La gente lo invidiava, i maschi la guardavano con desiderio. Elena era perfetta, una statua. Ma, purtroppo, altrettanto fredda.

La disillusione arrivò presto. La splendida Elena non amava nessuno, solo se stessa e il suo corpo perfetto.

Era ossessionata dalle diete, si privava di tutto, dimagriva anche quando non ce n’era bisogno. A Luca, invece, sarebbe piaciuto vederla con qualche chilo in più, più morbida, più femminile.

Mangiava pochissimo, solo insalate. Dopo qualche settimana, Luca capì che presto sarebbe morto di fame e le chiese di cucinare qualcosa di sostanzioso.

«Non lamentarti. Anche gli uomini devono tenersi in forma. A pranzo mangi schifezze in ufficio, la cena deve essere leggera. Se ingrassi, smetterò di amarti», diceva Elena.

Di notte, sognLuca e Valentina si sposarono qualche mese dopo, e in quel giorno di sole, circondati dall’affetto dei loro cari, capirono che la vera bellezza non stava nelle forme perfette, ma nell’amore che riempiva ogni spazio vuoto del cuore.

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