Il destino nascosto in un portafoglio smarrito
Elisabetta si asciugò le mani sul grembiule e fissò la porta chiusa della stanza della nipote. Sofia era tornata dall’università con l’aria sconsolata, e la nonna aveva capito subito che qualcosa non andava. “Sarà litigata di nuovo con Luca,” pensò, scuotendo la testa. Le loro discussioni non erano rare, ma ogni volta Elisabetta sperava che i due ragazzi sapessero risolvere le cose. Dopo un po’, decise di bussare.
“Sofi, vieni a mangiare, devi aver fame dopo le lezioni,” chiamò dolcemente.
“Non ho fame, nonna, davvero,” la voce di Sofia tremava, come se trattenesse le lacrime.
Elisabetta aprì leggermente la porta e la vide seduta sul letto, le ginocchia strette al petto. Gli occhi erano arrossati, anche se le lacrime ormai si erano asciugate. Entrò, si sedette accanto a lei e l’abbracciò. “Quei ragazzi non valgono le nostre lacrime,” sussurrò. “Andrà tutto bene, tesoro mio.”
“Come fai a sapere che ho litigato con Luca?” chiese Sofia, asciugandosi il viso.
“Per cos’altro una ragazza della tua età si dispera così?” sorrise Elisabetta. “Lascialo perdere, Sofi. Ne troverai un altro, uno vero.”
Stringendola più forte, la nonna lasciò che i ricordi affiorassero. Anni lontani, pieni di prove e gioie. Sofia, accoccolata contro di lei, chiese piano: “Raccontami della tua vita, nonna. Io so così poco, solo che nonno è mancato sette anni fa.”
Elisabetta sospirò profondamente e iniziò a raccontare, trasportando entrambe nel passato.
A vent’anni aveva sposato il vicino, Gregorio. L’amore sembrava eterno, ma il matrimonio si rivelò un incubo. La madre l’aveva avvertita: “Elisa, Gregorio non sarà un buon marito. Guarda suo padre—ubriacone e pigro. La zia del paese accanto ti vorrà dare in sposa ad Andrea, lui sì che è affidabile.” Ma Elisa non aveva ascoltato, convinta della bontà di Gregorio. Dopo un anno, lui iniziò a bere e le liti divennero quotidiane. Una volta, perdendo il controllo, la colpì. Elisa, afferrato il piccolo Michele, fuggì di casa e si rifugiò dai genitori. Suo padre affrontò Gregorio con uno sguardo gelido: “Un altro passo e te ne pentirai.” L’uomo se ne andò e non si fece più vivo.
Rimasta sola con Michele, a ventidue anni Elisa si trasferì in città dalla zia, ormai anziana e malata. La donna li accolse come figli, e Elisa si prese cura di lei fino alla fine. Le rimase il piccolo appartamento della zia. Trovò lavoro come assistente all’asilo, dove mandò anche Michele. Vivevano con poco, ma nel calore di casa. A volte Elisa portava a casa qualcosa avanzato dai bambini—una polpetta, un pezzo di pane.
Un giorno, tornando dal lavoro, entrò in un negozio. Pagando, non si accorse di aver lasciato cadere il portafoglio con quasi tutto lo stipendio. A casa, scoprendolo perso, impazzì di paura: come sarebbero arrivati a fine mese? Michele aveva bisogno di scarpe nuove. Tornò di corsa al negozio. La commessa, una donna robusta dall’aria scontrosa, borbottò: “Dovevi stare più attenta.” Poi le passò un biglietto: “Un ragazzo ha trovato il tuo portafoglio, ha lasciato l’indirizzo.”
Elisa corse fuori. L’indirizzo era vicino. Bussò alla porta di un appartamento al piano terra di una vecchia casa. Ad aprirle fu un giovane dagli occhi gentili. “Buongiorno,” sussurrò Elisa, “ho perso il portafoglio.” Lui sorrise: “Non si preoccupi, l’ho tenuto al sicuro. Mi dica la somma e il colore.” Elisa descrisse il portafoglio—blu scuro—e la cifra esatta. “È tuo, allora,” disse il ragazzo, porgendoglielo. “Mi chiamo Vittorio, e tu?”
“Elisa,” rispose, sentendo un calore nel cuore per il sollievo. “Grazie infinite, era tutto quello che avevo.”
Vittorio le fece un cenno dalla finestra mentre se ne andava, e Elisa pensò: “Devo ringraziarlo meglio.” La domenica, con Michele, comprò una torta e tornò da Vittorio. Ad aprire fu una signora anziana—sua nonna. Vittorio, imbarazzato, esclamò: “Ma perché tutto questo?” Ma li invitò a restare per il tè. Michele, stringendogli la mano con serietà, si presentò: “Io sono Michele.” Tutti risero, e l’atmosfera si fece subito accogliente.
A tavola, Elisa scoprì che Vittorio viveva con la nonna, aveva perso i genitori, aveva ventitré anni, aveva fatto il servizio militare e lavorava in fabbrica. I suoi occhi azzurri e il sorriso sincero la facevano sentire a suo agio. Persino Michele, solitamente diffidente, ascoltava Vittorio con interesse.
Iniziarono a frequentarsi. Andavano al cinema, passeggiavano al parco, a volte portavano Michele, che fece amicizia con la nonna di Vittorio, Maria. Elisa si preoccupava per la differenza d’età—lei era più grande di due anni—ma i sentimenti prevalsero. Anche Vittorio era in ansia: Michele l’avrebbe accettato come padre? Un giorno, dopo una passeggiata, fu il bambino a decidere per loro. “Mamma, quando Vittorio verrà a vivere con noi?” chiese. “E anche la nonna Maria, è così simpatica.” Maria, sentendolo, sorrise: “La bocca dei bambini dice la verità.” Vittorio, raccolto il coraggio, chiese a Elisa di sposarlo. Lei, tra risate e lacrime, accettò.
Si sposarono, e la vita diventò più luminosa. Ebbero una figlia, Anna, e Michele chiamava Vittorio “papà.”