**10 giugno**
Questa mattina di giugno cominciava tranquilla. Nella spaziosa cucina, Giulia preparava lentamente il caffè, lasciando che il suo aroma riempisse ogni angolo del loro appartamento a Milano. Amava questi attimi di silenzio—prima che il mondo iniziasse a chiederle più di quanto potesse dare.
Marco, suo marito, apparve sulla soglia, impeccabile come sempre, con quell’aria stanca da uomo d’affari. Con un secco «Buongiorno», afferrò la tazza e bevve un sorso prima di annunciare:
«Mamma ha chiesto se puoi accompagnarla domani all’ospedale. Ha una visita medica di prima mattina.»
Giulia si bloccò. Domani c’era la presentazione a cui aveva lavorato per due settimane. Saltarla significava rinunciare a ogni possibilità di promozione.
«Marco, sai che non posso…»
«Ma è mia madre», la interruppe lui, con un tono accusatorio. «Sei sua nuora, mica un’estranea. In famiglia ci si aiuta.»
Prima la suocera. Poi la chiamata di Elena, la sorella di Marco. Aveva «bisogno urgente» di una pausa dai bambini. Proprio quando Giulia aveva programmato di visitare i suoi genitori, che non vedeva da un mese.
«Dai, per favore», supplicò Elena con tono infantile. «Sei sempre così gentile. I tuoi genitori li puoi vedere dopo.»
Giulia cedette di nuovo. E ancora, nessun «grazie».
Una settimana dopo, fu Vittorio, il suocero, a chiamare:
«Giulietta, la mia macchina è rotta. Potresti prestarmi la tua per un paio di settimane?»
«Ma come farò ad andare al lavoro? Ho riunioni dall’altra parte della città…»
«Prendi la metro. Sei giovane. Siamo famiglia.»
E ancora quel «devi». E ancora quel «siamo parenti».
Più tardi, quando ricevette la promozione e ne parlò a Marco, sognando un viaggio, lui scrollò le spalle:
«I miei hanno deciso di fare dei lavori in casa. Poi c’è il matrimonio di Caterina. Visto che adesso guadagni di più, ci aiuterai, no?»
Giulia non credeva alle sue orecchie.
«Quindi cancelliamo tutto di nuovo per la tua famiglia? Erano i nostri sogni…»
«E chi se no noi? Non sei un’estranea.»
Quelle parole le rimbombavano in testa. In quel «non sei un’estranea» non c’era amore—solo obbligo.
Poi, una settimana prima del loro anniversario, Marco oltrepassò il limite:
«Devi aiutare la mia famiglia. Sei mia moglie!»
Giulia lo fissò in silenzio. Davanti a lei c’era un uomo per cui non era una compagna, né la donna che amava, ma un utensile, obbligata a soddisfare i bisogni degli altri.
Quella notte non dormì. La mattina dopo, preparò una valigia. E se ne andò.
Tornò nel piccolo appartamento che aveva comprato con i suoi soldi anni prima. Diventò il suo rifugio.
Passarono tre mesi. Marco chiamò, chiese di incontrarsi. Disse di aver capito tutto, promise di cambiare.
«Troppo tardi», rispose lei.
Non aveva afferrato la verità. Non era stato il rifiuto ad aver ucciso il loro matrimonio. Era il fatto che aveva smesso di vederla come una persona. Tutto ciò che era stato prima—cura, sostegno, famiglia—era svanito in una scia di pretese, dove lei era solo «obbligata».
Persino l’anniversario, lui l’aveva dimenticato.
Quel giorno, Giulia si comprò un mazzo di peonie, passeggiò per le vie del centro, e quella sera, seduta su una panchina vicino alla fontana, sentì per la prima volta da tempo l’aria nei polmoni più leggera. Non perché fosse più facile. Ma perché ora viveva per sé.
Il mattino dopo, comprò un biglietto. Solo andata—per Roma. Da sola. Perché non doveva più essere comoda. Bastava essere felice.
**Lezione:** L’amore non è un debito. E nessuna promessa ti lega a chi non vede l’anima oltre il ruolo.