Devi darci il bambino. Noi siamo i suoi veri genitori,” dissero gli sconosciuti sulla soglia di casa

“Voi dovete darci il bambino. Siamo noi i suoi veri genitori,” dissero gli sconosciuti sulla soglia.

“Mamma, posso non andare a scuola domani? Mi fa di nuovo male la testa!” Alessio era sulla porta della cucina, tenendosi allo stipite.

Valeria si girò dal fornello, dove stava mescolando la minestra. Suo figlio sembrava davvero pallido, con occhiaie scure.

“Di nuovo? Ale, è la terza volta questa settimana. Forse dovremmo andare dal dottore?”

“No, niente dottore. Sono solo stanco. Posso restare a casa?”

“Vediamo domattina. Intanto vai a fare i compiti.”

“Li ho già fatti.”

“Tutti? Anche matematica?”

“Anche matematica.”

Valeria si avvicinò, gli appoggiò una mano sulla fronte. Niente febbre, ma ultimamente il bambino era svogliato, assorto. Prima non stava mai fermo, ora passava ore nella sua camera a guardare fuori dalla finestra.

“Ale, a scuola va tutto bene? Nessuno ti dà fastidio?”

“Tutto bene, mamma. Solo mal di testa.”

Il bambino tornò in camera sua. Valeria riprese a cucinare, ma lansia non la lasciava. Otto anni a crescere un figlio, e quando pensi di conoscerlo come le tue tasche, ecco che qualcosa cambia, e non capisci cosa.

Quella sera tornò suo marito, Marco. Stanco dopo il turno, ma vedendo la faccia preoccupata della moglie, si allarmò.

“Che succede?”

“Ale si lamenta ancora del mal di testa. Terza volta in una settimana.”

“Allora lo portiamo dal medico.”

“Glielo dico io, ma non vuole. Forse è solo stanco? Fine del trimestre, verifiche…”

Marco andò da suo figlio. Valeria sentì che parlavano a bassa voce. Poi lui tornò, sedendosi a tavola.

“Dice che va tutto bene. Ma domani verrà dal dottore.”

“Bene. Prenoto la mattina.”

A cena, Alessio mangiò poco. Sgretolò il pane nella minestra, bevve il tè e chiese di andare a dormire. Valeria e Marco si guardarono.

“Forse si è innamorato,” ipotizzò Marco. “A quelletà capita.”

“È troppo piccolo. Ha otto anni.”

“Chi lo sa? I bambini crescono in fretta oggi.”

Valeria sparecchiò, lavò i piatti. Nella testa le giravano mille pensieri. Forse a scuola era successo qualcosa? O era malato seriamente?

Di notte entrò più volte nella stanza del figlio. Alessio dormiva agitato, si rigirava, borbottava. Valeria gli sistemò le coperte, gli accarezzò i capelli. Lui aprì gli occhi.

“Mamma?”

“Dormi, tesoro. Tutto bene.”

“Mamma, tu mi vuoi bene?”

“Certo, più di ogni cosa al mondo.”

“E se… se non fossi tuo?”

Valeria si bloccò.

“Che sciocchezze, Ale? Certo che sei mio. Ora dormi.”

Il bambino girò la faccia verso il muro. Valeria uscì, ma non riuscì a riprendere sonno. Da dove venivano quei pensieri a un bambino di otto anni?

La mattina dopo, Alessio si alzò da solo. Fece colazione, preparò lo zaino.

“Mamma, vado a scuola. Non mi fa più male la testa.”

“Sicuro? Non vogliamo andare dal dottore?”

“No, sto bene.”

E scappò prima che lei potesse fermarlo. Valeria lo guardò dalla finestra mentre attraversava il cortile di corsa, come se avesse fretta.

La giornata trascorse tra lavoro, spesa, faccende. Ma lansia non passava. Valeria pensò di chiamare la maestra, ma poi desistette. Non voleva sembrare apprensiva.

Alle tre, qualcuno suonò alla porta. Valeria aprì. Sulla soglia cerano un uomo e una donna. Sconosciuti. Lui sui quarantanni, alto, capelli scuri. Lei più giovane, carina ma con unespressione tesa.

“Buongiorno,” disse luomo. “Lei è Valeria De Santis?”

“Sì. Voi chi siete?”

“Io sono Roberto Ferrara. Questa è mia moglie, Laura. Dobbiamo parlarle.”

“Di cosa?”

Luomo si scambiò unocchiata con la moglie. Lei annuì, incoraggiandolo.

“Di suo figlio. Di Alessio.”

Valeria si irrigidì.

“Cosa cè con Ale? È successo qualcosa a scuola?”

“No, a scuola tutto bene. Possiamo entrare? È un discorso lungo.”

“Non vi conosco. Di cosa dobbiamo parlare?”

La donna fece un passo avanti. Aveva gli occhi lucidi.

“Per favore. È importante. Si tratta di… Lei deve restituirci il bambino. Siamo noi i suoi veri genitori.”

Valeria indietreggiò. Le orecchie le ronzavano.

“Cosa? Che assurdità è questa? Alessio è mio figlio!”

“Ascolti,” luomo tirò fuori una cartella con documenti. “Abbiamo le prove. Otto anni fa, allospedale, hanno sbagliato. Hanno scambiato i bambini.”

“Andate via! Subito! O chiamo la polizia!”

“Valeria, per favore, ci ascolti,” la donna singhiozzò. “Anche noi abbiamo cresciuto un bambino per otto anni. Lo abbiamo amato. Poi abbiamo scoperto…”

“Che cosa avete scoperto?”

“Nostro figlio… cioè, il bambino che abbiamo cresciuto… si è ammalato. Serviva una trasfusione. E abbiamo visto che il gruppo sanguigno non combaciava. Né col mio, né con Roberto. Abbiamo fatto il test del DNA.”

Valeria si aggrappò allo stipite. Le gambe le tremavano.

“E allora?”

“Non è nostro figlio biologico. Abbiamo indagato, cercato. Siamo tornati allospedale. Hanno controllato gli archivi. Quella notte, quando ho partorito, sono nati solo due maschi. Il nostro e il suo.”

“Devesserci un errore. Un pasticcio.”

“Abbiamo fatto il test con il bambino che abbiamo cresciuto. Poi… poi abbiamo preso un campione del DNA di suo figlio.”

“Come? Quando?”

Luomo distolse lo sguardo.

“Scusi. Lo abbiamo seguito per giorni. Abbiamo preso un bicchiere di succo che aveva buttato. Bastava per lanalisi.”

“Avete spiato mio figlio? È un crimine!”

“Dovevamo sapere la verità. Il test ha confermato. Alessio è nostro figlio biologico.”

Valeria sentì le gambe cedere. Si sedette sulla sedia nellingresso. Gli sconosciuti rimasero sulla soglia.

“Mostratemi i documenti.”

Luomo le passò la cartella. Risultati dei test, certificati dellospedale, altri fogli. Valeria li guardò, ma le lettere le ballavano davanti agli occhi.

“Non può essere vero.”

“Neanche noi volevamo crederci,” disse piano la donna. “Otto anni. Otto anni ho cresciuto il figlio di unaltra.”

“Non è il figlio di unaltra!” ribatté luomo. “Luca è nostro figlio. Non biologico, ma nostro. Lo amiamo.”

“E noi amiamo Alessio,” Valeria alzò lo sguardo. “E non lo daremo a nessuno.”

“Ma è nostro di sangue…”

“Di sangue! E chi lha cresciuto? Chi ha vegliato le notti quando gli spuntavano i denti? Chi è stato in ospedale quando ha avuto la varicella? Chi lha accompagnato a scuola, fatto i compiti, letto le favole?”

“Lo capiamo,” luomo si accovacciò accanto a lei. “Creda, lo sappiamo. Anche noi siamo

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