DIMENTICA DI ME PER SEMPRE

12 aprile 2025 Diario di Marco Bianchi

Oggi mi è tornata in mente la frase che la mia exmoglie, Giulia, mi aveva lanciato una notte prima che tutto crollasse: «Dimentica che hai avuto una figlia». Quelle parole mi hanno segnato come una spada affilata.

Eravamo sempre stati considerati una famiglia modello: amore, comprensione, sostegno reciproco. Il nostro piccolo mondo, però, è crollato in un attimo. Ginevra, la nostra figlia, aveva appena compiuto quindici anni, quelletà ribelle in cui tutto è più intenso. E poi Luca, il marito di Giulia, ha deciso di andarsene con unaltra donna. Come potevo accettare una cosa del genere? Ginevra è precipitata in un baratro di compagnie poco chiare, ragazzi sospetti e alcol.

Anche io mi sono trovato a un bivio. Che cosa fare con Luca, tornato a casa? Cacciarlo via o perdonarlo? Se lo avessi perdonato, come avrei potuto vivere senza sospetti? Non avevo risposte.

Luca era sempre stato un uomo che sapeva amare. Ci conoscevamo dalle elementari; mi aveva conquistato con gesti galanti, parole dolci. Mi ero innamorato di lui perdutamente e non ho mai pensato a nessun altro. I miei genitori lo hanno benedetto: «Non troverai un genero migliore». Abbiamo organizzato un matrimonio da favola, spettacolare come per ricordarlo per tutta la vita.

Poi è iniziata la routine. Luca cercava sempre di rendere i giorni più leggeri. Una sera, rientrato dal lavoro, trovai il letto decorato di petali di rosa. «Perché questa sorpresa, amore mio?», gli ho chiesto, baciandolo sulla guancia.
«Ti ricordi quando, in prima elementare, occupavo il tuo banco e ci siamo avvicinati», ha risposto ridendo. «Non esagerare, Luca!». Eppure il suo spirito rimaneva giovane, capace di ricordare i piccoli attimi di felicità.

Un giorno Luca è tornato da una trasferta con una valigia di creme per il viso.
«Michele, mi hanno consigliato ogni singola confezione. Scarta le pentole, ti voglio una moglie curata, non solo una cuoca», mi ha detto, invitandomi a sedermi accanto a lui sul divano. Da quel momento è stato sempre premuroso, attento, e io ne ero fiero. Ginevra lo adorava.

Abbiamo avviato insieme unimpresa familiare che andava bene; nulla ci mancava. Decidemmo poi di trasferirci a Roma, la capitale, attratti da nuove opportunità. Lasciammo i nostri beni a Firenze e ci avventurammo verso il futuro. Il business prosperò, stringemmo una partnership con Francesca Ricci, una giovane imprenditrice locale. Se avessi saputo allora cosa sarebbe accaduto, non avrei mai stretto la mano a quella donna.

Con Luca pianificammo di allargare la famiglia: un secondo figlio. Ah, che ingenuità. Un pomeriggio, Ginevra tornò da scuola e mi chiese:
«Mamma, papà è davvero in trasferta?».
«Certo, perché no?», risposi senza sospetti.
«È solo che Violetta lha visto al supermercato», aggiunse, ritirandosi nella sua stanza. Violetta, lamica di Ginevra, era una presenza fissa in casa nostra; non poteva sbagliare identità.

Chiamai Violetta:
«Ciao, Violetta, hai visto Luca al supermercato?».
«Sì, zia, era con una ragazza, ridevano molto», mi disse, dipingendo la scena con colori vividi. Luca, invece, era al suo quinto giorno di trasferta. Decisi di attendere.

Tre giorni dopo Luca rientrò, stanco ma sorridente.
«Come è andata la trasferta?», gli chiesi.
«Bene», rispose brevemente.
«So tutto, Luca! Non cè stata nessuna trasferta!», scoppiò.
«Ma perché mi accusi, Michele?», cercò di difendersi.
«Ho testimoni della tua menzogna», replicai.
«Allora, fammi mangiare qualcosa sul cammino e poi smettila di arrabbiarti», cercò di sdrammatizzare.

Il dolore era reale. Ginevra sentiva il cambiamento tra i genitori; i bambini percepiscono subito le tensioni. Non volevo scavare nel suo passato, né rovinarci la vita. Sapevo che Luca non se ne andrebbe, soprattutto ora che era in attesa.

Il destino, però, è crudele. Unimprovvisa emergenza mi portò in ospedale; la perdita del bambino fu attribuita allo stress accumulato. Il dottore spiegò: «Il trauma psicologico può provocare un aborto spontaneo». Mi sentii come un filo elettrico scoperto, pronto a rompersi.

Luca, ormai senza freni, se ne andò con Francesca, la sua compagna di affari, e con una certa spavalderia. Rimasi solo con Ginevra; il dolore ci inghiottì. Se non fosse stato per la bambina, avrei voluto spegnere la mia vita. Ma vedere Ginevra lottare, cercare di confortarmi, mi ha salvato. Ci avvicinammo più che mai in quei mesi bui.

Due anni dopo, Luca fece ritorno. Il suo volto era un ricordo amaro; non riuscivo più a guardarlo. Aveva inflitto troppa sofferenza a me e a Ginevra. Lo accolsi solo per rispetto di nostra figlia, ma il rapporto era come acqua che scivola tra le dita.

Un giorno, mentre passeggiavamo, Luca provò a chiedere:
«Come state, Michele?».
«E tu, perché torni a farci visita? Hai nostalgia?», risposi con sarcasmo.
«Ginevra è a casa?», cercava ancora un appiglio.
Ginevra uscì a guardarlo, incrociò le braccia e lo guardò con disprezzo.
«Perdonami, papà», sussurrò Luca, disperato.
«Dimentica di aver avuto una figlia», replicò Ginevra, tornando nella sua stanza. Io, ormai, ridevo amaramente di fronte a quella scena.

Gli amici comuni ci raccontarono che la nuova fiamma di Luca gli aveva rubato il business, lasciandolo a secco; per questo era tornato a bussare alla nostra porta, sperando in un perdono che non sarebbe mai arrivato.

Passarono tre anni. Ginevra studia alluniversità, io lavoro per una grande azienda. La nostra vita è tranquilla, priva di passioni travolgenti. Sogno di vedere Ginevra sposarsi con un ragazzo buono e di godermi una pensione serena. Vorrei adottare un cucciolo forse un gatto o un cagnolino per avere compagnia.

Il destino, però, ha voluto sorprendermi di nuovo. Visitatori da Istanbul spesso passavano nella nostra azienda. Un certo Fatih, un uomo turco affascinante, mi colpì con la sua eleganza e le attenzioni incessanti. Mi inondò di complimenti, mi offrì dolci turchi, mi fece sentire speciale. In poco tempo ci sposammo.

Fatih conquistò i miei genitori, inizialmente scettici per il genero straniero, ma con le sue cene di kebab, le sue battute e linvito a visitare Ankara, ottennero la loro benedizione. Anche Ginevra, vedendo la mia felicità, acconsentì al nuovo matrimonio.

«Mamma, Fatih, vi auguro una vita piena di gioia!», disse Ginevra al nostro matrimonio.

Ora, guardando indietro, capisco che la vita è un susseguirsi di scelte, tradimenti e rinascite. Ho imparato che il perdono è una strada difficile, ma necessario per non lasciarsi consumare dal rancore. La lezione più grande che porto con me è: *non si può cancellare il passato, ma si può decidere di costruire un futuro più sano, amando chi merita davvero il proprio cuore*.

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