Dimmelo, è mio figlio?

**Diario di un padre**

Mi sono svegliato con un nodo in gola oggi. Ho sognato ancora quella notte di Capodanno a Firenze, quando la neve cadeva lieve e i lampioni illuminavano il Ponte Vecchio. Era la prima volta che vedevo Beatrice. Aveva gli occhi come due stelle, e un sorriso che mi ha rubato il cuore. Suonavo la chitarra nella piazza, e lei rideva, con i capelli sciolti al vento. Poi, come un soffio, è sparita dalla mia vita.

Oggi, in ufficio, ho incontrato una donna dell’ufficio marketing. “Mi chiamo Beatrice Fiore,” ha detto, e qualcosa in quel nome mi ha fatto tornare indietro nel tempo. Ma non l’ho riconosciuta subito. È stata lei a ricordarmi quella festa, le canzoni, il bacio davanti alla sua casa. Mi ha guardato con quei stessi occhi, ma pieni di preoccupazione questa volta. Suo figlio, Matteo, è malato. Leucemia. Ha bisogno di un trapianto di midollo.

Quando ho visto la foto di quel bambino sullo scaffale, il sangue mi si è ghiacciato. Sembrava me alla sua età. “È mio figlio?” le ho chiesto. Lei ha negato, ma io so riconoscere il mio sangue. Ho insistito per il test. Se Matteo è davvero mio, non lascerò che la vita gli porti via un altro sorriso.

Sono andato a casa loro, una piccola abitazione nei vicoli di Milano. La madre di Beatrice, una donna forte con le mani rovinate dal lavoro, mi ha offerto pasta al pomodoro. “Mangia, figliolo, vedo che sei stanco,” ha detto. Mi sono sentito a casa.

Matteo era sdraiato sul letto, pallido e sottile come un ramoscello. Mi ha guardato con occhi troppo intelligenti per un bambino. “Sei tu il mio papà?” mi ha chiesto. Ho mentito. Gli ho detto che ero solo il capo di sua madre, ma ho promesso che l’avremmo curato.

Due giorni dopo, il test ha confermato quello che già sapevo. “Non sei obbligato a fare niente,” mi ha detto Beatrice. Ma come avrei potuto voltarmi dall’altra parte? Ho organizzato tutto all’ospedale San Raffaele. Il trapianto è andato bene. Matteo ha iniziato a migliorare.

Oggi, mentre guardavo i suoi primi scatti con la macchina fotografica che gli ho regalato, ho capito che non avrei più potuto fingere. “Voglio sposarti,” ho detto a Beatrice sul pianerottolo. Lei ha pianto. Sua madre ha pianto. E io, che non piango mai, ho sentito qualcosa bagnarmi le guance.

Forse la vita ci mette alla prova solo per ricordarci che il perdono esiste. E che l’amore, a volte, torna indietro quando meno te l’aspetti.

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