Diritti come un uccello

**Sulle ali della libertà**

“Nina, oggi alle sei c’è la riunione dei genitori per Matteo. Devi andare tu, perché io e Marco non riusciamo. Per sicurezza, alle cinque ti chiamo per ricordartelo,” disse la nuora Giulia dall’ingresso, aggiustandosi il rossetto.

“Giulia, perché non vai tu? Sento poco. C’è troppa confusione, tutti parlano, e io mi agito,” rispose Nina, uscendo dalla sua stanza.

“Nina, ma dai! Marco lavora fino a tardi, e io ho le scadenze. Tanto sei sempre a casa!” sbuffò Giulia, irritata.

“Non sto a casa per niente. Pulisco, faccio la spesa, preparo il pranzo a Matteo… E ho sessantasette anni,” replicò Nina con fermezza.

“Ma che vuoi, discutere fin dal mattino? Mi rimproveri perché cucini per tuo nipote? È l’unico che hai! Marco, dì qualcosa!” Giulia esplose, rivolta al marito.

“Mamma, su, vai e basta. Ascolta quello che dicono. Se chiedono soldi, scrivimi e ti mando tutto. Non capisco perché facciamo storie,” disse Marco con la sua solita calma.

“Non posso oggi. Avevo altri impegni…” mormorò Nina.

“Allora occupati pure dei tuoi impegni! Gli altri avranno i genitori, e nostro figlio sembrerà un orfano! Grazie per l’umore rovinato!” gridò Giulia, sbattendo la porta.

“Proprio così, gli altri avranno i loro genitori…” sussurrò Nina, tornando in camera sua.

Marco si sistemò la cravatta allo specchio, prese il portatile e uscì.

“Vado. Matteo, non fare tardi a scuola.” Anche lui sbatté la porta.

Silenzio.

Matteo, dodicenne, era già pronto per uscire. Gli ultimi minuti li passò a giocare con la console, le cuffie nelle orecchie. Non aveva sentito nulla.

Nina sedeva sul divano nella sua stanza, fissando la finestra. In cinque anni, aveva memorizzato ogni dettaglio della vista: l’angolo del palazzo di fronte, il ciliegio, i cespugli di rose, un pezzetto della piazzetta. Era lì che passava le sere e i weekend, sola con i suoi pensieri. Si sentiva una domestica, una baby-sitter. Ma un tempo la sua vita era stata diversa.

Nacque in una famiglia modesta. Cresciuta timida e educata, fece tutto come si deve: scuola, università, lavoro. Tornò nella sua città natale, impiegandosi in fabbrica. Lì conobbe il marito, Giovanni, caporeparto. Si sposarono, nacque Marco.

Sognava una bambina, ma il destino fu crudele. Arrivò una nuova tecnologa, Laura, chic e cittadina, mandata a sistemare la produzione. Sistemò tutto, incluso il matrimonio di Giovanni. Lui chiese il divorzio: “Ho sempre sognato la città, e Laura ha un appartamento lì.” Pagava gli alimenti, ma di Marco non gli importava.

Nina non si lamentò mai. Lavorò duramente, crescendo Marco con amore. L’unica cosa che non le piaceva era che il figlio avesse ereditato il suo carattere mite, troppo accomodante.

Marco si laureò e un giorno annunciò: “Porto Giulia a cena, sarà mia moglie.” Nina non esultò. Si era abituata alla loro vita insieme. Pregò che Giulia fosse buona.

Ma Giulia era vivace, esuberante. Non era quel che Nina si aspettava, ma non interferì.

Si sposarono, vissero in affitto, poi comprarono un bilocale. Nacque Matteo. Quando iniziò la scuola, Giulia propose: “Nina, vendi il tuo trilocale e il nostro bilocale, prendiamo un quadrilocale. Avrai la tua stanza e ci aiuti con Matteo.”

Nina esitò: “Non voglio intralciarvi. Qui sono padrona, lì sarei un ospite.”

“Ma che dici? Aiuteresti tuo figlio e tuo nipote!” insistette Giulia.

Alla fine, cedette. Vendettero tutto, traslocarono. Nina chiese di portare alcuni mobili, ma Giulia la zittì: “Sono vecchiume! Ti servono solo a ingombrare.”

Nina capì di essere caduta in trappola.

Nella nuova casa, si sentiva un’estranea. Si alzava presto ma aspettava in silenzio per non svegliarli. Pranzo e cena quando chiamavano. Il bagno? Sempre occupato da Giulia al telefono.

Passava le giornate in camera. A settembre, con tutti fuori, si sentiva più libera, ma il suo ruolo era chiaro: pulire, cucinare, badare a Matteo.

Invecchiava, si stancava. I weekend erano peggio: amici, colleghi, nessuno che la notasse. Iniziò a passeggiare al parco.

Lì incontrò Paolo, vedovo, solo come lei. La figlia viveva lontano. Scambiarono i numeri, iniziarono a vedersi. Era la sua luce.

Quel giorno, Nina aveva davvero impegni: il compleanno di Paolo. Chiamò per avvisare che sarebbe arrivata dopo la riunione.

Andò a scuola, poi da lui. Chiacchierarono, passeggiarono. Tornò a casa alle undici, serena.

Giulia le si avventò contro: “Sei impazzita? Matteo solo a casa! Ti abbiamo cercato!”

“Mi scuso, forse il telefono era scarico.”

“Scusa? È tutto? Dove sei stata?”

“Giulia, sono un’adulta. Matteo è grande abbastanza. E tu non mi chiedi mai dove vai la sera.”

Giulia rimase senza parole. Marco intervenne: “Mamma, che succede?”

“Vi volevo dire che domani vado a vivere con Paolo.”

“Ma dai!” esclamò Giulia, andandosene.

Il giorno dopo, Nina fece la valigia. Un’ultima occhiata al panorama ormai odioso, poi uscì.

“Nina, torni subito qui! Cosa fai?” urlò Giulia.

“Ieri ve l’ho detto. Vado con l’uomo che amo.”

“Mamma, ma chi è? Potrebbe essere un truffatore!” disse Marco.

“Figlio mio, quando portasti Giulia, non la insultai. Rispetta la mia scelta.”

Scese. Paolo l’aspettava. Marco e Giulia li guardarono dalla finestra.

“Andrea, tua madre è fuori di testa! A quell’età innamorarsi?” disse Giulia.

“Vado a lavorare,” borbottò Marco.

Nina restò con Paolo. Finalmente si sentiva felice. E anche se tardiva, era felicità vera.

Perché non è mai troppo tardi per volare liberi.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

twelve − 5 =

Diritti come un uccello