Diritti in fila: la lotta per la giustizia e il rispetto della precedenza in Italia

Il diritto in fila

La mattina Sergio Petrini si svegliava presto, ancor prima della sveglia sul suo vecchio cellulare. Metteva comunque la sveglia per abitudine, da quando lavorava in una fabbrica di pasta e temeva di perdere il turno. Ora non cera più nulla da temere, ma la mano ogni sera si allungava verso il telefono, impostava le sette e zero zero, e quando si metteva a letto provava una strana tranquillità al pensiero del suono dellallarme di domani.

Solitamente si alzava alle cinque e mezza. Dal corridoio sentiva le porte sbattere, il vicino di sopra, un giovane in fretta per andare al lavoro, che faceva cadere qualcosa di pesante sul pavimento. La stanza era fresca, la finestra spenta la vecchia cornice non aveva ancora i doppi vetri; non voleva spendere i pochi soldi rimasti. Sul davanzale riposava una tazza con il segno della tinta di un tè ormai secco. Devo lavarla, pensava, girandosi ancora un po prima di alzarsi.

Lappartamento gli era stato ceduto in scambio da sua defunta suocera Rosetta negli anni 80. Due camere, una cucina, un corridoio stretto. Tutto lo conosceva, anche le macchie più piccole sul linoleum. Nella camera da letto cera un vecchio credenza dove teneva piatti, foto e alcune cartelle di documenti. Non amava toccare quelle cartelle: contenevano tutta la sua vita buste paga, certificati, copie di decreti, lettere. Guardandole provava una stanchezza matura.

Si alzò, si mise un accappatoio caldo e andò in cucina. Accese il fornello, mise sul fuoco il bollitore. Sul davanzale cerano i vasi di fiori che Rosetta aveva curato un tempo; ora li annaffiava secondo un calendario che lui stesso aveva inventato e, a volte, parlava loro quando la casa diventava troppo silenziosa.

Il nipote Damiano aveva promesso di venire la sera, aiutarlo con il telefono e portare le foto della nipotina su una chiavetta USB. Damiano parlava sempre veloce, infilando parole dinglese che Sergio non capiva, ma annuiva per non sembrare troppo arretrato. Il figlio Andrea viveva in un quartiere vicino, lavorava in unofficina meccanica, veniva nei weekend con la spesa e correva sempre di fretta.

La pensione gli bastava a malapena: spese di condominio, medicine, alimenti. Quando riusciva a risparmiare comprava un po di acciughe e un pezzetto di salame. Metteva da parte qualcosa per lestate, per andare alla casa di campagna, ormai più un orto selvaggio che un rifugio. Lì, in una casetta vecchia, sentiva di poter ancora fare qualcosa con le proprie mani.

Si considerava una persona non conflittuale. Per tutta la vita aveva evitato litigi e richieste eccessive. Alla fabbrica, dove aveva lavorato per più di trentanni, lo rispettavano perché non si intrometteva e rispettava i piani di produzione. Quando fu il momento di ritirare la pensione, raccolse i moduli richiesti, li firmò senza approfondire, e tornò a casa, pensando: Ci daranno quello che deve, non chiediamo di più.

Rosetta era morta da sei anni, ma a volte lo prendeva a parlare con la sedia vuota di fronte a lui, soprattutto la sera quando accendeva la televisione per cenare. La sedia era rimasta al suo posto, e lui non trovava il coraggio di spostarla.

Quel giorno, tutto iniziò con una visita allambulatorio per ritirare i risultati degli esami. Linverno aveva messo a dura prova il suo cuore; il medico gli prescrisse delle pillole e consigliò controlli regolari del sangue. Come sempre, cera una coda alla reception. Persone sedute su sedie dure, chi bisbigliava, chi guardava il pavimento.

Sergio si mise a posto vicino al muro e aspettava. Davanti a lui due donne discutevano animatamente; una, con un cappello di lana, aggiustava una borsa.

Gli hanno ricalcolato la pensione, diceva, ora è duecento euro in più. Prima non ne avevano tenuto conto.

Davvero?, rispondeva laltra, dubbiosa. Chi lha fatto?.

Il figlio ha trovato qualcosa online, una variazione. Hanno chiesto larchivio, hanno scoperto che il suo lavoro nella cooperativa agricola non era stato registrato.

Sergio alzò appena la testa. Cooperativa, archivio, parole familiari. Ricordò i suoi primi anni in una società di costruzioni prima di tornare alla fabbrica. Quando aveva chiesto la pensione, gli avevano detto che i documenti non esistevano, che larchivio era stato distrutto, e lui aveva firmato rassegnato. Se non cè, non cè, pensò allora.

Le donne continuarono a parlare di duecento euro, cifra che, per lui, significava un mese di medicine, una bolletta invernale o, con molta fortuna, un viaggio verso la campagna in primavera. Quando uscì dallambulatorio, la neve scricchiolava sotto i piedi; alla fermata la gente si accalcava. Salì sullautobus, si appoggiò al finestrino e, quasi senza rendersene conto, ricontò le spese mensili: pillole, cibo, bollette. Quei duecento euro avrebbero potuto spostare tutto di un po.

Sciocchezze, si rimproverò. Quante volte dovrò correre da un ufficio allaltro. Arrivato a casa accese il tè, si sedette al tavolo. In TV cera un talkshow sui prezzi, ma lui non ascoltava. Il suo sguardo cadde sulla credenza, sul ripiano inferiore dove giacevano le cartelle.

Si alzò, aprì la credenza e tirò fuori la cartella etichettata Documenti. Dentro cerano buste paga, copie di decreti, il libretto di lavoro, e un foglio con i dati della pensione: Anni di servizio, coefficiente. Sfogliò fino a trovare la pagina sulla sua esperienza nella società di costruzioni; cera solo una riga vuota.

Quella sera Damiano arrivò, tolse il cappotto, starnutì rumorosamente e corse in cucina.

Ciao, nonno, come va?.

Sto pensando alla pensione, al ricalcolo.

Damiano alzò sopracciglia.

Che cosè?.

Sergio gli raccontò la conversazione in fila, la cooperativa, larchivio. Damiano ascoltò, si grattò la nuca.

Si può fare una richiesta online, sul sito dellINPS o allarchivio comunale. Però servirà qualche documento.

Se non ho i documenti?, chiese Sergio. Mi hanno detto che larchivio è bruciato.

Allora bisogna fare una domanda formale, prima allarchivio della città dove lavoravi, poi altrove. Ti aiuto, ma ci vorrà tempo.

Sergio annuì. Dentro di sé lottavano due voci: una che lo invitava a non muoversi, a vivere sereno; laltra che sussurrava: Perché stare zitto? Hai lavorato, meriti di essere riconosciuto.

Quando Damiano se ne andò, Sergio rimase a fissare il libretto di lavoro, poi lo posò su una sedia vicina, non più dentro la credenza. Era pronto a usarlo di nuovo.

Due giorni dopo partì per lINPS. Indossò calze di lana, il maglione più caldo, e scelse con cura i fogli da portare: libretto, certificati, anche la vecchia lettera della cooperativa. Lufficio era affollato, laria profumava di caffè e polvere. Al bancone una giovane donna con un bambino premuto al telefono chiedeva come ottenere il tessera. Sergio le chiese indicazioni e, con pazienza, la donna gli porse il modulo.

Buongiorno, ho una domanda sulla ricalcolazione della pensione, disse. Mi hanno detto che potrebbero non aver tenuto conto di un periodo di lavoro.

Limpiegata, una signora di quarantacinque anni con occhiali, lo guardò e annuì.

Vediamo La sua pensione è stata calcolata nel 2006, con questo coefficiente. Ha indicato un periodo non riconosciuto?.

Sergio mostrò il libretto, la riga vuota.

Senza documenti di supporto non possiamo includere quel periodo. Le è stato detto di rivolgersi allarchivio.

Lui sentì crescere la familiarità della frase: Non è il nostro compito, è il gestore. Ma questa volta sentì anche un piccolo fuoco dentro: Posso chiedere.

Posso fare una domanda di ricalcolo?, chiese.

Può, ma senza nuovi documenti la risposta sarà negativa. Posso darle il modulo.

Accettò, compilò con mano tremante, scrivendo: Chiedo di considerare il periodo di lavoro nella società di costruzioni, allego certificazione archiviata. Firmò, la donna timbrò e gli disse che la risposta sarebbe arrivata per posta entro un mese.

Tornò a casa, la sera, e telefonò a Andrea.

Papà, sei sicuro di volerlo fare? Ci vuole molta pazienza, e di solito non cambia nulla.

Mi hanno detto che è il mio diritto. Voglio che il mio lavoro conti.

Andrea rimase in silenzio, poi rispose: Va bene, ti aiuterò se serve, ma non stressarti troppo.

Le settimane passarono. Sergio andava allINPS per aggiornare la pratica, annotava i nomi dei funzionari, i numeri delle stanze. Una giovane donna gli disse una mattina: Questi casi sono difficili, ma non si arrenda. Un altro impiegato, stanco, gli rispose: Senza il certificato dellarchivio, nulla cambierà.

Nel frattempo Damiano trovò il sito dellarchivio comunale, compilò la domanda online e la inviò. La conferma arrivò: Richiesta registrata. Sergio sentì un brivido di orgoglio: aveva inviato una pratica ufficiale tramite internet, una cosa che per anni gli era ostica.

Due settimane dopo ricevette una lettera dallINPS: In base ai documenti forniti, il periodo di lavoro è stato riconosciuto. La pensione è aumentata di 150 euro. Non era la soglia di duecento euro di cui parlavano le donne in fila, ma era comunque qualcosa.

Quando Andrea lo chiamò, il figlio disse: Vedi, non è stato vano. Hai ottenuto qualcosa.

Sì, rispose Sergio, non è molto, ma è mio.

Damiano suggerì di pubblicare la sua esperienza online, così altri potessero capire come agire quando il proprio servizio non viene riconosciuto. Sergio esitò, ma poi accettò: Almeno qualcuno saprà che non è inutile lottare.

Alla fine della giornata, Sergio posò la lettera sul tavolo, accese una tazza di tè e guardò fuori dalla finestra: le luci della via si accendevano, i bambini correvano a casa, ognuno con le proprie code e i propri diritti.

Pensò a quanto fosse cambiato: da chi accettava passivamente a chi, anche con poca energia, affermava il proprio diritto. Capì che, anche se il mondo non cambia rapidamente, basta un piccolo passo per trasformare il silenzio in voce.

Il vero insegnamento è che, quando si crede di non avere più nulla da chiedere, ricordarsi che il rispetto per il proprio operato è un diritto immutabile: chi ha lavorato onestamente merita di essere ascoltato, anche se la risposta è solo un modesto aumento. In questo modo la dignità resta intatta, e la vita acquista un senso nuovo, più consapevole e più coraggioso.

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