Don Francesco Bianchi uscì sulla veranda, appoggiandosi al suo bastone di legno. Laria profumava di fiori darancio e di mare. Dietro di lui stava la signora Isabella, eretta, con un delicato ciondolo al collo e quello sguardo freddo di chi ha imparato a non mostrare il dolore.
Mi scusi, signore disse con voce liscia e glaciale. Non distribuiamo elemosine. Se ha bisogno daiuto, rivolgersi alla chiesa.
Luomo sulla sedia a rotelle alzò lentamente lo sguardo. I suoi occhi, profondi, stanchi ma gentili, incontrarono i suoi. Isabella rimase immobile per un attimo; qualcosa in quello sguardo le sembrava familiare.
Non vengo per denaro, signora mormorò. Volevo solo vederla. Una sola volta.
La serva tentò di chiudere la porta, ma Isabella alzò la mano.
Lasciatelo entrare.
Il salotto odorava di cera e di caffè. Il pavimento di marmo scintillava sotto la luce delle lampade.
Alessandro avanzava con la sedia a passo lento, come se ogni movimento pesasse quanto una vita.
Ha servito nellesercito? chiese Francesco, con tono cupo. O è stato un incidente?
Un incidente in cantiere rispose lui con calma. Paralisi. Un vecchio pescatore mi trovò quando ero bambino. Non ricordavo nulla solo un nome inciso sul braccialetto.
Isabella si avvicinò leggermente, la voce tradiva un accenno di curiosità.
E perché ha deciso di venire qui?
Ho letto sui giornali una vecchia storia su un ragazzo scomparso. Suo figlio. Io avevo otto anni allora, nello stesso anno, nello stesso luogo. Fece un respiro. Forse il destino ha giocato con me.
Francesco lo osservò sospettoso.
Vuole dire che è nostro figlio? il tono divenne tagliente. Non è la prima volta che dei truffatori portano una storia così.
Non vengo a chiedere soldi, signore. Né riconoscimenti. Volevo solo capire se nel suo cuore cè ancora spazio per quel bambino.
Tirò dalla tasca un piccolo involucro e lo aprì. Dentro cera un braccialetto arrugginito, con inciso Alessandro.
Isabella mise una mano davanti alla bocca. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Non non è possibile sussurrò. Lo abbiamo seppellito
Una bara vuota rispose lui a bassa voce.
Francesco balzò in piedi.
Basta! gridò. Allontanatevi! Non sapete cosa ha passato questa famiglia! Non permetterò che riapriate quelle ferite!
Francesco provò a fermarlo Isabella.
No! agitò il bastone contro il pavimento.
Alessandro chinò il capo.
Scusi. Ho sbagliato.
Girò la sedia e uscì lentamente. Solo il cigolio delle ruote riecheggiava nella grande dimora.
Nel cortile si fermò vicino alla fontana. Estrasse una busta recapitata a Signora Isabella Bianchi e la posò su una panchina di pietra.
Dallappartamento osservava una giovane donna Lucia, la figlia di Isabella.
Quando lui se ne andò, Isabella aprì la busta.
Allinterno cerano foto della tragedia, della riva dove un tempo era stato scorto un piccolo sagoma spaventata, sporca, con il braccialetto al polso.
Cera anche un biglietto:
«Non cerco perdono. Non voglio nulla. Volevo solo che sapeste che sono vivo. Che voi due eravate il mio unico sogno.»
Isabella pianse in silenzio.
Francesco bisbigliò. È lui. Riconosco quegli occhi.
Coincidenza lo interruppe. Non lascerò che questo uomo distrugga la nostra vita.
Che vita, Francesco, se costruita su una menzogna? rispose lei dolcemente.
Due giorni più tardi Lucia si recò a Bari.
Lo trovò al porto, intento a riparare le reti. Non la guardò, ma disse:
Non dovevi venire.
Pensavi che non avrei riconosciuto il fratello? ribatté lei.
Alzò lo sguardo. Gli occhi, come quelli della madre, puri, forti, incrollabili.
Non volevo disturbare. Avete la vostra vita. Io sono solo uno straniero.
Lucia si inginocchiò accanto alla sedia e afferrò la sua mano.
Siamo tutti stranieri finché non decidiamo di tornare a casa.
Alessandro non poté più trattenere le lacrime accumulate per anni; scivolarono sul suo volto.
Quando tornarono a Napoli, Isabella li aspettava davanti al portone.
Francesco è in ospedale disse. Vuole vederti.
Nella stanza dospedale il padre di Lucia giaceva pallido e stanco. Appena lo vide, tolse la maschera dossigeno.
Ero un codardo disse con voce rotta. Temevo che fossi tornato per vendetta. Tu, invece, cercavi solo amore.
Alessandro gli strinse la mano.
Volevo solo tornare a casa.
Francesco sorrise per la prima volta da anni.
Benvenuto, figlio mio.
Una settimana dopo, nella casa dei Bianchi tornò a riecheggiare il riso.
Dalla veranda si diffondeva laroma di caffè e di mandorle tostate. Isabella sistemò il braccialetto arrugginito in una cornice di vetro.
Nel giardino Alessandro riparava una vecchia barca portata da Bari.
Perché lhai presa? rise Lucia.
Perché mi ricorda che il mare non porta via tutto. A volte restituisce, se sai aspettare.
Alla porta comparve Francesco, appoggiato al suo bastone.
La famiglia non è ciò che resta, mormorò. Ma ciò che non lasci andare via.
Alessandro li guardò e annuì. Sapeva che il percorso era compiuto.
Quindici anni dopo, al tramonto, sussurrò parole che suonavano come preghiera:
Casa finalmente casa.
E così tutti compresero che il vero legame non è fatto di ricordi o di sangue, ma della capacità di perdonare, accogliere e restare insieme, anche quando il tempo sembra averli separati. In questo modo la vita ritrova il suo senso più profondo: la casa è dove il cuore, non il passato, trova la sua pace.






