Nel cuore della campagna veneta, tra i filari di vite che si perdono nellorizzonte, cera una casa che il tempo sembrava aver dimenticato. La gente del paese la evitava, sussurrando di strane luci notturne e di una donna senza volto. Solo gli ubriachi, nei loro vagabondaggi alticci, osavano bussare alla sua porta.
«Be, Nonna Marta, versami un goccio! Per la fortuna, per la salute, per lanno nuovo!» borbottava Felice, il vicino, mentre barcollava sulla soglia.
Marta gli riempiva il bicchiere, poi ne sorseggiava uno anche lei, sperando che il sonno arrivasse senza sogni. Ma Felice, con quella lingua sciolta dallalcol, non sapeva tacere.
«Ecco come finiamo, eh? Io e la mia vecchia come due ceppi marci nel bosco. Ma almeno noi non abbiamo nessuno da piangere. Tu invece hai una figlia!»
«Bevi e taci, vecchio ronzino! Sì, ho una figlia, anche se chissà dove sia! Ora vai a casa e lasciami in pace!» lo rimproverava, spingendolo verso la porta.
Ma Felice non si muoveva, ghignando con occhi lucidi. «Lo so perché ti arrabbi. Tutti nel paese lo sanno. Hai dato via tuo nipote, vero? Dimmi che non è vero!» La sua voce era un sibilo. «E sai cosa dicono le comari? Che quel bambino ti appare nei sogni. Che hai paura eh? Hai paura?»
Marta lo afferrò per il colletto del giubbotto sudicio e lo scacciò come un gatto randagio. «Non tornare mai più! Mai più!»
E lui rise, ma non bussò più alla sua porta. Forse per vergogna, forse per paura. Eppure, Marta avrebbe perdonato anche lui, pur di non restare sola. Perché, si sa, *lospite va sempre accolto*. Ma nessuno aveva sentito ciò che le aveva detto. Eppure, era la verità.
E la verità le bruciava dentro.
Le appariva spesso, quel bambino. Mai il volto, solo occhi luminosi come braci. Stava sulla soglia, chiedendo di entrare, ma non avanzava. Un sogno? O qualcosa di più?
* * *
Il sole era già alto quando Marta capì che Felice non sarebbe venuto. Ricordò loffesa dellanno prima e le parve di sentire ancora il tanfo della sua giacca. Si versò un bicchiere di vino. *È festa*, pensò.
Fuori, il cane abbaiò, e i gradini scricchiolarono.
«Buona festa! Posso entrare?» Sulla soglia cera un uomo giovane, ben vestito, con un sorriso incerto.
Marta si alzò di scatto. «Entri, se vuole.»
«Per la fortuna, per la salute» spargendo grano per tradizione.
Marta non lo perdeva di vista. I suoi occhi scrutavano ogni angolo della casa. *Vuole rubare?* pensò, desiderando per un attimo che Felice fosse lì.
«Cercava qualcuno?» chiese, incerta.
«Lospite va onorato, no?» rispose lui, posando sulla tavola una bottiglia di Amarone, salumi e dolci.
Marta, confusa, tirò fuori dalla stufa una pentola di patate e lardo, sedendosi di fronte a quelluomo che sembrava conoscere già la casa.
«Non è di qui. Chi cerca?»
«Lei è Marta Bianchi?»
«Sì.»
«Suo marito era Pietro Rossi?»
«Era è morto.»
«E sua figlia, Ludovica? Di lei non so nulla.»
«Sì sì»
«Allora, se è così, io sono suo nipote. Vittorio.» Tese la mano attraverso il tavolo. «Piacere di conoscerla.»
Il mondo le girò davanti agli occhi. Rivedeva il bambino dei suoi sogni, e quegli stessi occhi, pieni di luce, che la fissavano ora.
Marta emise un grido e barcollò, ma le forti braccia di Vittorio la sostennero.
«Non abbia paura. Non sono qui per giudicarla. Volevo solo vedere questa casa, e lei Mia madre è morta da poco. Prima di andarsene, mi ha raccontato tutto. Così sono venuto.»
Marta singhiozzava, raccontando per la prima volta la storia. Lui ascoltava, senza distogliere lo sguardo. Quando finì, Vittorio si alzò, sospirò, e guardò la casa unultima volta.
«Viva in pace. Dio la giudicherà non io.»
Se ne andò così, lasciandola sulla porta, mentre la neve si alzava dietro la sua auto. Marta non fece in tempo a vedere la targa, né a chiedergli dove viveva.
* * *
Ludovica era stata una figlia obbediente.
«Sarai una maestra!» aveva deciso il padre. «Niente marito finché non ti diplomi!»
E lei non ci pensava, anche se i genitori le avevano già trovato un pretendente: Andrea, un militare promettente.
«Non guardare quei buzzurri del paese» le diceva la madre. «Andrea ti farà vivere bene, in città!»
E senza bisogno di consigli, Andrea le era rimasto nel cuore. Ma era più grande, e quando tornava in licenza, le ragazze gli si affollavano attorno. Una sera, la accompagnò a casa.
«Aspettami tre anni. Non è tanto. Ci scriveremo poi ci sposeremo.»
E lei promise.
Ma essere una promessa sposa non era semplice. Una sera, conobbe un ragazzo, Marco. Con lui era tutto facile, leggero. Nessuna promessa, nessun impegno. Fino a quando, un giorno, le sfuggì di essere già promessa.
Marco cambiò in un istante. La picchiò selvaggiamente.
Ludovica si riprese a fatica, nascondendo i lividi. La madre intuì e corse da lei.
«Sei incinta!» sibilò. «Quel maledetto non ti sposerà mai!»
Ludovica non tornò al paese. Il padre la trasferì in unaltra università, lontana. Poco prima del parto, «si ammalò». I genitori la portarono in una clinica privata. Leggeva, guardava la TV. Da sola. Sotto chiave.
«Meningite» dicevano a tutti. «Non sappiamo se sopravviverà.»
Quando nacque il bambino, non lo volle vedere.
«Mamma vuole il meglio per me» si ripeteva. «Marco non è nulla, rispetto ad Andrea. Lui non saprà mai niente.»
Scrisse ad Andrea per anni, usando lindirizzo del paese. Al suo ritorno, si sposarono con gran festa.
Ma la felicità durò poco. Andrea voleva figli, e Ludovica sapeva di non poterne avere più.
«Scoprirà la verità» piangeva alla madre. «Non mi perdonerà mai.»
Le visite si diradarono. Quando il padre morì, Ludovica arrivò sola.
«Siamo separati» disse fredda. «Non è affar tuo.»
Andrea apparve poco dopo. Entrò nella casa come un fulmine.
«Bestie! Avete abbandonato un bambino! Nemmeno gli animali lo fanno!» urlò, prima di sparire per sempre.
Ludovica iniziò a vivere come voleva, con uomini diversi. Marta la rimproverava, finché anche lei smise di venire.
Dove fosse ora, Marta non lo sapeva. Se avesse saputo, avrebbe dato lindirizzo a Vittorio.
* * *
Vittorio si sentì leggero, come dopo un bagno purificatore. Finalmente sapeva.
Quando suo padre, un chirurgo, morì dinfarto, prese il suo posto in clinica. Tutti diceva






