Donna di cinquanta anni diventa madre dopo sedici anni di tentativi struggenti

Oggi voglio raccontare la mia storia, una storia di speranza e resistenza. Io, Giulia Lombardi, una donna di cinquant’anni di un paesino vicino a Verona, per sedici lunghi anni ho guardato con malinconia e invidia le altre madri. Ovunque: al parco, al supermercato, per strada. Sognavo un bambino, ma il mio corpo, traditore e fragile, non mi obbediva. I problemi di salute erano un muro tra me e la maternità, e ogni giorno quel muro sembrava più alto.

Capii che non potevo rimanere incinta naturalmente, così mi affidai alla fecondazione assistita. Il primo tentativo diede speranza, ma finì in tragedia—un aborto spontaneo. Il mio cuore si spezzò, ma non mi arresi. In sedici anni, provai altre diciassette volte. Ogni volta una nuova speranza, ogni volta un nuovo dolore. Farmaci, iniezioni, esami infiniti diventarono la mia vita, e il dolore, il mio compagno.

I medici mi supplicarono di fermarmi. Mi spiegavano che il mio sistema immunitario era il vero nemico. Le mie cellule natural killer erano troppo aggressive, attaccavano l’embrione come una minaccia, impedendogli di attecchire. “È inutile, vi state solo torturando,” dicevano. Ma io ero irremovibile. I miei occhi bruciavano di determinazione, la voce tremava di rabbia quando ordinavo: “Fate il vostro lavoro!” Spesi una fortuna—quasi centomila euro—ma l’idea di arrendermi mi era insopportabile.

Il miracolo arrivò a quarantasette anni. Dopo un altro tentativo, scoprii di essere incinta. La gioia si mescolò alla paura—che tutto potesse crollare di nuovo. Sotto controllo medico costante, vivevo nell’ansia, temendo ogni giorno. “E se domani tutto finisse?” Ma il feto cresceva, e la speranza si rafforzava con ogni battito del suo cuoricino.

“Feci un parto cesareo alla trentasettesima settimana,” ricordo, la voce ancora tremante. “Né io né i dottori potevamo rischiare. E così, con il loro aiuto, nacque il mio bambino, il mio Leonardo. Sarà un uomo straordinario, ne sono certa, perché l’ho atteso così a lungo, l’ho voluto con ogni fibra del mio essere.”

Durante la gravidanza, conobbi il dottor Marco Bianchi, fondatore del Centro di Immunologia Riproduttiva a Milano. Fu il mio angelo custode, sostenendomi passo dopo passo, accompagnandomi attraverso mesi di ansia e paure. “Senza di lui, non ce l’avrei fatta,” ammetto con gratitudine.

Ora, guardando negli occhi mio figlio, non riesco a trattenere le lacrime. “Voglio dire a tutte le donne che stanno per arrendersi: non fatelo!” dico con passione. “Solo la mia testardaggine mi ha regalato Leonardo. Ogni volta che lo guardo, sono felice di non aver mollato. La maternità è una battaglia che vale la pena combattere. Credetemi, ci sono sogni che non si possono tradire!”

La mia storia è un inno alla resistenza. Sedici anni di dolore, lacrime e fallimenti non mi hanno spezzato. Ho dimostrato che anche le notti più oscure finiscono all’alba, e la mia alba è la risata del piccolo Leonardo, per il quale ho attraversato l’inferno.

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