Una donna, distrutta dalla perdita del figlio, si rifugiò nella campagna più remota. Solo grazie al suo cane sentì di nuovo il richiamo del cuorelui la condusse a una bambina nascosta nel bosco.
Maria posò la lettera di dimissioni sulla scrivania del primario, il dottor Vittorio Bianchi. Lui si tolse gli occhiali, si massaggiò la fronte e la guardò con una tristezza così profonda, quasi paterna, che per un attimo le venne voglia di ritirare quel foglio.
“Maria, ripensaci,” disse con dolcezza. “Magari prenditi solo una pausa. Sappiamo quanto vali.”
Lei scosse la testa.
“Non posso, dottor Bianchi… Non qui.”
Il senso di colpa la divorava: come madre, non aveva protetto suo figlio; come medico, non laveva salvato. Ogni pianto di bambino nei corridoi dellospedale le strappava il cuore, ogni risata era un rimprovero muto.
Vittorio era un uomo di buon cuore, un capo premuroso, sempre capace di trovare le parole giuste. Maria aveva notato da tempo il suo sguardo affettuoso, ma lui era sempre stato discreto, mai invadente. Ora, però, nei suoi occhi cera una compassione che la feriva ancora di più.
*”Non capite? Quella Maria che conoscevate è morta insieme a Lorenzo,”* pensò, disperata.
Dentro di sé cera solo vuotogelido, assordante. Avrebbe voluto rannicchiarsi e piangere fino a non avere più lacrime, ma invece strinse i pugni, affondando le unghie nei palmi.
“Io… io vado,” mormorò, uscendo di corsa dallufficio per non scoppiare in lacrime davanti a luicosì vicino umanamente, eppure così lontano.
Lunica cosa che le martellava nella mente era fuggire. Andare dove non ci fossero volti conosciuti, sguardi compassionevoli, dove non si sentissero risate che le ricordavano la perdita irreparabile. Vendette il suo appartamento quasi regalatoal primo che si presentò, pur di liberarsene in fretta.
Il treno avanzava lentamente verso una piccola stazione sperduta tra i boschi. Maria scese sulla banchina di legno, stremata. Due anziane sedute su una panchina la osservarono con curiosità.
“Sei venuta a trovare qualcuno, cara? O ti sei persa?” chiese una, avvolta in un fazzoletto colorato.
Maria sorrise con malinconia.
“Ho sepolto mio figlio. Voglio stare sola.”
Le due donne si scambiarono unocchiata, e nei loro occhi comparve comprensione.
“Un dolore grande, figliola. La casa di Lidia è vuotalei sta per trasferirsi in città dal figlio. Una buona casa, solida. Ma… stare del tutto sola? Rischi di perderti.”
Le diedero lindirizzo, e Maria, ringraziandole, si incamminò lungo la strada polverosa verso quella che sarebbe stata la sua nuova “casa”, se così si poteva chiamare.
Lidia la accolse con diffidenza, ma quando seppe il motivo del suo arrivo, si ammorbidì:
“Restaci pure. Laffitto è poco. Cè solo Tobia, il nostro gatto. Un po selvatico, ma buon cacciatore. Non maltrattarlo.”
La prima sera in quella casa, impregnata di erbe aromatiche e legno antico, sembrò infinita. Ogni scricchiolio del pavimento, ogni fruscio fuori dalla finestra risvegliava ricordi. Lorenzo… Lui avrebbe corso per le stanze, esplorato ogni angolo.
I giorni trascorsero lenti e monotoni. Maria puliva, dipingeva, lavavacercando in ogni modo di occupare le mani e la mente. Ma il dolore non passava. La sera, seduta sulla veranda, raccontava al figlio tutto ciò che aveva fatto, e le lacrime cadevano senza freno. Qui, in quel posto dimenticato, nessuno la vedevae lei non le tratteneva.
Un giorno, quando la malinconia le strinse il cuore più del solito, Tobia, un grosso gatto grigio, le si avvicinò in silenzio. La fissò con i suoi occhi saggi, poi le si strofinò contro la gamba.
Maria si bloccò, poi gli tese una mano accarezzandolo. Tobia fece le fusa. Quel suono semplice, vitale, le scatenò un nuovo pianto. Lo strinse a sé, seppellendo il viso nel suo pelo ruvido, e pianse fino a addormentarsi sulla veranda, abbracciata allunica creatura che le si era avvicinata con tanta fiducia.
Qualche settimana dopo, una vicina le portò un cucciolometiccio, magro e curioso.
“Prendilo, Maria, altrimenti lo affogano. Ti farà compagnia e ti guarderà la casa,” disse la donna.
Lo chiamarono Ducaper laria nobile e altera che aveva. Allinizio Tobia lo guardava con sospetto, soffiando e arcuando la schiena, ma presto si abituò. Dormivano insieme vicino alla stufa, e Maria, per la prima volta da mesi, sorrise guardandoli giocare.
I paesani scoprirono che nella casa di Lidia viveva unex dottoressa, e iniziarono a chiederle piccoli aiutimisurare la pressione, fare uniniezione. Maria allinizio rifiutava, dicendo di non esercitare più, ma di fronte ai loro volti fiduciosi non sapeva dire di no. Li aiutava come poteva, evitando però confidenze.
Ogni giorno andava più spesso nel bosco. Duca correva avanti, abbaiando a ogni uccello, mentre Tobia, inaspettatamente, iniziò a seguirli, saltando agilmente sui tronchi caduti. Il bosco laccoglieva senza giudicarla, senza chiederle nulla in cambio.
*”Qui si respira,”* pensava Maria. *”Qui si può piangere senza nascondersi. Si può semplicemente essere.”*
E poco a poco, molto lentamente, il ghiaccio attorno al suo cuore iniziò a sciogliersi.
Una sera, uninquietudine strana la pervase. Qualcosa di invisibile la spingeva verso il bosco, nel punto più fitto.
“Non oggi,” cercò di ignorarlo, ma Duca iniziò ad agitarsi alla porta, condividendo la sua ansia.
Messa una giacca e presa una torcia, Maria lo seguì. Duca la guidò sicuro, più lontano di quanto fosse mai andata. In un burrone buio, sotto le radici di un vecchio abete, iniziò ad abbaiare freneticamente.
Maria puntò la luce e si bloccò: sulla terra umida giaceva una bambina, priva di sensi.
La sollevò tra le braccia, quel corpicino freddo e fragile, e corse a casa. Caterina era gelida, il polso appena percettibile. Duca e Tobia, sentendo la gravità del momento, le stavano accantole annusavano le gambe, come per aiutare.
A casa, Maria agì subito: la strofinò con alcol, la avvolse in tutte le coperte che trovò, le mise le borse dellacqua calda. Passarono due ore prima che la bambina si muovesse e aprisse gli occhiazzurri, pieni di paura.
“Dove sono?” sussurrò.
“Al sicuro,” rispose Maria con dolcezza. “Come ti chiami?”
“Caterina… Mio papà è un dottore, lui mi salverà.”
Il cuore di Maria si strinse.
“Aspetta, devo chiamare aiuto,” disse, uscendo per non farle vedere le sue lacrime.
Poco dopo arrivò il maresciallo Rossi, un uomo robusto sulla cinquantina, con una vecchia Fiat. Ascoltò il racconto





