Adele Romano si affaccendava in cucina fin dal mattino: tagliava verdure per l’insalata, preparava il minestrone, infilava il pollo all’olio e rosmarino nel forno, lucidava il vaso di cristallo per i fiori. Era già corsa due volte al supermercato ed era tornata con una torta e buste piene di cose, incrociando la vicina all’ingresso del palazzo.
«Che festa organizzi, Adele?» chiese con sorride Livia Marini, l’amica di sempre, che non si staccava mai dalla panchina sotto il portone.
«Certo che è festa! Arriva Michelina, la mia ragazza!» rispose Adele con gli occhi che brillavano, mentre, facendo uno sforzo, trascinava su per le scale le buste della spesa.
«Mah…» borbottò Livia, rimanendo seduta. «Eccola che si strazia per questa Michelina. E quella neanche si degna di chiamare la madre… Che vergogna!»
L’amica da tempo brontolava perché Adele era troppo affezionata alla figlia ormai adulta. Quella non chiamava per settimane, eppure la madre ogni giorno scrutava dalla finestra.
«Adele, su, davvero. Ti logori i nervi. Al giorno d’oggi, i vecchi sono solo d’intralcio. Avresti dovuto metterla in riga tempo fa, non correre a comprarle torte.»
Ma per Adele Romano non era così semplice. Il cuore non è un interruttore. Michelina era l’unica ragione per cui si alzava dal letto ogni mattina, anche se sapeva che quell’amore non era più ricambiato come un tempo.
Quando finalmente Michelina chiamò e disse con freddezza: «Passo stasera», il cuore della vecchia cominciò a battere come un martello. Si agitò per casa, rifacendo il letto, aggiungendo ancora un piatto alla cena… E infine, il campanello suonò.
Sulla soglia c’era sua figlia: alta, magra, distante, con occhiali scuri e un cagnolino al guinzaglio.
«Ciao, mamma», disse Michela, senza un sorriso.
«Ciao, tesoro! Entra, lavati le mani, ho già preparato tutto!»
Adele si precipitò in cucina, sbattendo pentole, sistemando frettolosamente i piatti. Michelina la seguì in silenzio, guardandosi attorno con aria distaccata.
«Siediti, ci sono le polpette, l’insalata, e la torta che piace a te!»
«Mamma, resterò solo un attimo. Sto trasferendomi in un’altra città. Per molto tempo. Venire qui sarà costoso e scomodo, perciò… non ci vedremo per almeno cinque anni. Questa è Lola. Me l’ha regalata il mio ex, non so perché. Portarmela dietro sarebbe un fastidio. Tu sei sempre sola, tienila con te. Ha un anno e mezzo. Non preoccuparti, non fa rumore.»
Adele si bloccò. La torta, le polpette, le lenzuola fresche, il latte, la marmellata… tutto d’un tratto perse importanza. Fissò sua figlia, che non si era nemmeno tolta gli occhiali.
«Va bene…» riuscì a dire.
«Grazie, mamma. Ti voglio bene.» Michela le sfiorò la guancia con un bacio, le passò il guinzaglio e sparì oltre la porta.
Qualche minuto dopo, Adele era ancora in piedi nel corridoio, con il cagnolino tra le braccia. Non aveva mai amato gli animali. Con la sua schiena malandata, la pensione misera e la stanchezza cronica, che ci avrebbe fatto con un cane adesso?
«Andiamo, Lola, da Livia… Forse la prende lei…»
Ma appena la vicina aprì la porta, sbottò:
«Ma sei impazzita, Adele? Non mi mancava altro che il tuo cagnolino! Mi rovinerà i mobili, mi porterà le pulci!»
«Ma che pulci… è di Michelina, lei è così sensibile… Per favore, Livia, tu sai come si trattano gli animali, in campagna…»
«E tu dovevi usare la testa! Te l’avevo detto: non dovevi farti la«E invece eccoci qui: abbandonata da tutti… pure dalla figlia.»