«Dopo 47 anni di matrimonio, mio marito ha improvvisamente chiesto il divorzio: le sue parole hanno spezzato la mia anima»

Quarantasette anni. Quasi mezzo secolo. Praticamente tutta la mia vita. Abbiamo passato insieme la giovinezza, la maturità, le malattie, le gioie, le perdite e le vittorie. Abbiamo cresciuto i figli, piantato alberi, costruito una casa. Abbiamo riso quando era difficile, ci siamo tenuti per mano in ospedale, siamo andati in campagna dai suoi genitori, abbiamo scelto insieme la carta da parati per la cucina, affrontato la morte di mio fratello, la nascita della prima nipotina, la prima pensione. E ora lui stava davanti a me con un’espressione indifferente e parlava come se stesse discettando del tempo:

“Chiedo il divorzio, Vittoria.”

Il mio cuore si è fermato. Il tempo sembrava essersi bloccato. Lo guardavo senza capire: uno scherzo? Stanchezza? Un attacco di demenza senile?

“Cosa…” sussurrai. “Dici sul serio?”

Mi guardò e… sorrise. Quel sorriso con cui un tempo chiedeva scusa per gli anniversari dimenticati. Ma questa volta non c’era né rimorso né calore. Solo sufficienza e distacco:

“Dai, Vittò. Non mi dirai che ti sorprende. Lo sai bene che tra noi non è andata tutto bene.”

Lo diceva con un tono così piatto, come se stesse parlando della bolletta della luce o del meteo.

“Sappiamo entrambi che tra noi è finita da un pezzo. Non c’è più passione. Solo abitudine. Non voglio finire i miei giorni in questa comoda prigione. Voglio… vivere. Sentirmi libero. Essere me stesso. E magari incontrare qualcuno… che mi ricordi cosa significhi sentirsi davvero vivo.”

Lo guardavo senza credere alle mie orecchie. Come se si fosse trasformato in un estraneo. Come se tutti quegli anni insieme fossero solo un capitolo da strappare e buttare via.

Come ha potuto? Come ha tenuto dentro questa decisione senza dire una parola? Come si fa a cancellare con così poco—le cene a lume di candela, le lettere quando era in servizio militare, la prima televisione che guardavamo su uno sgabello dai vicini, i nipoti, le nostre litigate e riconciliazioni, quel viaggio in Sicilia da giovani…

Lui stava lì, impassibile, come se aspettasse che capissi e acconsentissi. Come se le sue parole dovessero liberare non solo lui, ma anche me. Come se questo fosse un atto di nobiltà, non un tradimento.

Sentivo qualcosa spezzarsi dentro. Rabbia, dolore, disperazione, impotenza, paura. Volevo urlare, rompere qualcosa, afferrarlo per le spalle e costringerlo a ricordare—come mi stringeva la mano quando nasceva nostro figlio. Come piangeva quando è morta sua madre e solo io l’ho abbracciato. Come ridevamo quando siamo caduti in mare dalla barca. Tutto questo, per lui, non significa più niente?

E lui continuava. A parlare di libertà. Di nuove opportunità. Del tempo che gli resta e che non vuole sprecare.

“Capisci, sono stanco di essere quello che gli altri si aspettano. Non voglio essere solo ‘tuo marito’. Voglio sentirmi vivo, per me stesso. Prima che sia troppo tardi.”

Non potevo più ascoltare. Sono uscita in giardino. L’aria era diversa. Tagliente. Persino il cielo sembrava voltarmi le spalle.

Tutto ciò che conoscevo crollava. La nostra casa non era più una fortezza. Le nostre foto solo vecchie cartoline. Le nostre promesse, parole vuote. Mi cancellava come un errore di battuta nella sua biografia. Eppure, gli avevo dato la mia giovinezza, il mio corpo, il mio amore.

E ora, quando mi guardo allo specchio e vedo le rughe e i capelli bianchi—sono il segno della nostra vita. Della mia vita con lui. E lui vuole dimenticare tutto, come se fossi solo una vecchia comoda che ostacola i suoi sogni di “libertà”.

Mi sono seduta in silenzio, senza sapere cosa dire. Le lacrime scendevano da sole. Senza isterismi. Senza rumore. Semplicemente cadevano. Come brandelli dell’anima.

Sono passati tre giorni. Se n’è andato. Ha chiamato solo nostro figlio—”papà si è trasferito”. Dove sia, con chi—non lo so. Forse con quella che gli “ha ricordato come si vive”. O forse da solo, la sera, a fissare il soffitto ripensando a chi ha lasciato.

Ma so una cosa: non sono solo “l’ex moglie”. Sono una donna che ha vissuto, amato e mantenuto la sua fedeltà. Se lui non la apprezza, che se ne vada.

E io? Mi rialzerò. Piano, con fatica, ma mi rialzerò. Perché la mia vita non è un suo capriccio. È la mia storia. E ci scriverò un altro capitolo. Senza di lui. Ma con dignità.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

17 − 13 =

«Dopo 47 anni di matrimonio, mio marito ha improvvisamente chiesto il divorzio: le sue parole hanno spezzato la mia anima»