«Dopo aver causato il divorzio, la suocera implora di riavere il figlio, ma è ormai troppo tardi»

Mi chiamo Alessandra, ho trentadue anni, e da poco si è concluso uno dei periodi più dolorosi della mia vita: il divorzio da mio marito. Si chiamava Matteo. Eravamo sposati da poco più di tre anni, e a dirla tutta, non sono stati anni semplici. La ragione dei nostri litigi, dei rancori e infine della rottura definitiva non era Matteo. Era sua madre, Maria Grazia Rossi.

Fin dall’inizio non mi ha mai sopportata. Anche quando stavamo solo insieme, cercava di convincere Matteo che non ero adatta a lui, che venivo da una “famiglia sbagliata”, che ero “troppo testarda” e che “rovinavo la sua carriera”. La sua frase preferita era:

«Non ci si sposa per amore, ma per convenienza, altrimenti si vive nella miseria tutta la vita».

Quando ci siamo sposati, ho cercato di migliorare i rapporti con lei. Le portavo regali, la invitavo a casa, la assistevo quando stava male. Ma è stato tutto inutile. A ogni occasione mi lanciava frecciatine. Diceva a Matteo che non sapevo cucinare, che i nostri figli sarebbero nati deformi perché mia nonna aveva “la gobba”, e persino gli sussurrava all’orecchio di avermi vista “sorridere in modo sospetto” al vicino.

Gli riempiva la testa di veleno. Si intrometteva in ogni nostra discussione, spuntava nei momenti più scomodi, arrivava senza preavviso e inscenava melodrammi di gelosia. Lo convinceva che lo tradissi, e una volta ha persino portato a casa una ragazza con cui, si è scoperto poi, sognava di far sposare suo figlio. Aveva organizzato una cena a lume di candela nell’appartamento in cui vivevamo ancora insieme! Aveva apparecchiato tutto, preparato ogni cosa. E io, quel giorno, ero a lavoro fino a tardi.

Matteo all’inizio rideva.
«Mamma è un po’ strana, non farci caso», diceva.
Ma con il tempo diventava sempre più silenzioso, sempre meno disposto a difendermi, sempre più assente quando piangevo.

Poi non ce l’ho fatta più. Cominciai a svegliarmi di notte con l’ansia, mi vennero problemi al cuore, persi peso e a un certo punto capii: non stavo vivendo, sopravvivevo. Non sopportavo più vedere la madre di mio marito distruggere metodicamente il nostro matrimonio, mentre lui restava in silenzio. Raccolsi le mie cose e me ne andai. Senza scene. Senza urla. Solo un punto fermo.

Matteo nemmeno mi trattenne. Il giorno dopo tornò da sua madre. Lei, a quanto pare, aveva vinto.

Passarono due mesi. E poi, un sabato mattina, suonarono alla porta. Era lei. Maria Grazia Rossi. Gonfia di pianto, le mani tremanti, con una scatola di cioccolatini “per il caffè”.
«Alessandra», sussurrò, «torna da Matteo… Non è più lo stesso. Ha lasciato il lavoro, si è messo a bere. Dice che non vuole più vivere…»

All’inizio non capivo. Poi scoppiai a ridere.
«Non era questo che voleva, vero? Che divorziassimo. Che sparissi dalla sua vita. E allora goditi la compagnia di tuo figlio. Ora è solo suo. Ha lottato tanto per questo.»

Sbatté la porta. Non per vendetta. Ma perché il dolore bruciava.

Da allora mi scrive quasi ogni giorno. Mi supplica. Dice che non sapeva quanto fossi brava a tenere Matteo in equilibrio, che ero una moglie perfetta, una padrona di casa impeccabile, una “persona luminosa”. E io leggo i suoi messaggi e non ci credo. È davvero la stessa donna che per tre anni ha demolito la mia vita?

Non tornerò da Matteo. Non posso tornare in un posto dove mi hanno spezzata. Anche se lui cambiasse, anche se capisse… io non sono più la stessa Alessandra. Non vivo più nell’attesa dell’amore di qualcuno. Non cerco più approvazione. Voglio solo pace. Silenzio. Gioia. Senza rimproveri eterni, senza sguardi vuoti.

Ora Maria Grazia può gioire della sua vittoria. L’ha ottenuta. Solo che il risultato non era quello che sperava. Che ci pensi. Se ancora ne è capace.

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