«Dopo aver donato l’appartamento al figlio minore, l’anziana madre affronta la vendetta del figlio maggiore»

Ieri mattina presto, mia madre mi ha chiamato con una voce piena di preoccupazione:
“Figlia mia, per favore, vai a trovare la nostra vicina, la zia Luisa. È molto turbata e ha chiesto un consiglio legale. Non ha voluto spiegare altro, solo che sei una persona intelligente e puoi aiutarla…”

Conoscevo Luisa Mancini da quando ero bambina. Abbiamo vissuto nello stesso palazzo per anni, e anche dopo il mio matrimonio, quando andavo a trovare mia madre, la salutavo sempre alla panchina del cortile. Ha novant’anni, ma fino a poco tempo fa camminava speditamente, sorrideva a tutti, portava dolci a mia madre e chiacchierava con le vicine. Ultimamente, però, si lamentava spesso del cuore e della pressione. Il figlio minore, Marco, viveva con lei e la aiutava in tutto. L’altro figlio, Antonio, abitava dall’altra parte di Roma e la visitava sempre meno.

Antonio aveva studiato in accademia militare, poi prestato servizio, si era sposato, aveva ottenuto un appartamento, una casa al mare, una macchina. Benestante e indipendente, ma distante. Con la madre, i rapporti erano tesi: a volte silenzioso, altre volte risentito o autoritario. Marco, invece, era rimasto al suo fianco. Con gli anni, era diventato il suo unico sostegno. Per questo, questa primavera, Luisa aveva deciso di regalargli la casa.

Quando Antonio lo scoprì… non protestò. Disse solo:
“A me non serve, ho già tutto. Almeno Marco avrà qualcosa.”
Sembrava una decisione giusta. Ma la pace durò poco.

Quando entrai da Luisa quella sera, si vedeva che aveva pianto. Si asciugò gli occhi e, con voce tremante, mi chiese:
“Figliola… dove posso fare quel test… quello genetico?”

Rimasi sbalordita.
“Zia Luisa, perché le serve?”

Allora mi raccontò tutto. Qualche giorno prima, Antonio era arrivato a casa sua. Con il volto scuro, le aveva detto:
“Non sono figlio di tuo marito. I nostri gruppi sanguigni non coincidono. Ora capisco tutto. Per questo hai dato la casa a Marco e non a me. Per te sono uno straniero. Lui, invece, è tuo figlio vero.”

Poi sbatté la porta e se ne andò. Senza lasciarle dire una parola. Ora non rispondeva più alle sue chiamate.

Luisa sussurrò:
“Mio marito aveva il gruppo sanguigno positivo, lo ricordo… Ma il mio non lo so. C’era scritto sul vecchio passaporto, ma l’ho cambiato anni fa. Quello di Antonio? Non lo conosco… Quando nacque, ero stordita, non c’era nessuno da cui chiedere…”

Qualcuno le aveva suggerito il test del DNA. Ma le spiegai che non era semplice: suo marito era morto più di vent’anni prima. Per l’esame servivano campioni biologici – sangue, capelli, saliva – oppure l’esumazione, che richiedeva un’autorizzazione del tribunale, difficile da ottenere. E poi costava un patrimonio.

Luisa si mise a piangere di nuovo:
“Quindi non potrò mai dimostrargli che è figlio di suo padre?”

A quel punto, non ce la feci più. La mia voce si incrinò, stavo per piangere anch’io:
“Zia Luisa! Non deve dimostrare niente a nessuno! Lui non ha detto il suo gruppo sanguigno. Si è solo offeso. Ha inventato una scusa. Vuole punirla. È un uomo adulto, ma si comporta come un bambino viziato. Lei ha agito con giustizia – ha dato la casa a chi le è rimasto vicino. Lui ha solo trovato un modo per ferirla più a fondo.”

Respirai profondamente e continuai:
“Se vuole, vada in ospedale con Marco, facciano gli esami del sangue. Forse negli archivi della clinica dove partorì c’è ancora qualche documento. O magari quelli di suo marito sono conservati da qualche parte. Ma anche se non ci fossero… Antonio dovrebbe venire a chiederle scusa, da uomo. Non lanciare accuse che feriscono più di un coltello.”

Lei annuì, un po’ più calma.
“Hai ragione… Ma lui non risponde lo stesso al telefono…”

Le chiesi il numero di Antonio. Uscita dal palazzo, lo chiamai. Rispose.
“Buongiorno,” dissi. “Sono la vicina di sua madre.”
“Che vuole?”
“Vorrei parlarle di Luisa Mancini…”
“Mi ascolti.”
“È molto preoccupata…”

E in quel momento riattaccò bruscamente.

Rimasi lì, fissando lo schermo. Nel mio petto batteva solo un pensiero: quanto siano fragili i legami più sacri quando l’amore viene sostituito dal rancore. E quanto sia terribile quando un figlio accusa la madre di qualcosa che non ha mai fatto.

Luisa non ha tradito nessuno. Ha solo dato la sua unica casa a chi è rimasto con lei. Antonio se ne è andato da solo. E ora si vendica – crudelmente, a sangue freddo, senza parole. Eppure, per lei, lui è sempre stato suo figlio. Fino a ieri.

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