Chiesi ancora una volta, ma mia madre fu irremovibile: infilò in fretta le mie cose nello zaino, mi diede qualche banconota di euro e mi cacciò di casa. Avevo una famiglia come tante: madre, padre, figlia e il nonno Giuseppe. I miei genitori avevano sempre vissuto serenamente, finché un giorno mia madre smise di prendersi cura di sé stessa e mio padre si innamorò di unaltra donna.
La nuova compagna di papà era molto più giovane di lui e rimase subito incinta. Mia madre non riuscì a perdonare quel tradimento, così papà se ne andò a vivere con la sua nuova fiamma. Ognuno dei miei genitori prese a ricostruirsi la vita, ma in questa nuova quotidianità non cera posto per me.
Fu proprio in quel periodo, mentre stavo finendo la terza media, che mamma portò a casa un uomo molto più giovane di lei. Io mi ribellai. Poi presi a frequentare una cattiva compagnia: cominciai a bere, tagliai i capelli cortissimi e li tinsi di rosa. Mia madre sembrava indifferente ai miei comportamenti: del resto si disinteressava completamente a me, così continuai la mia vita da ribelle. Terminai il primo anno delle superiori e, dopo lennesima lite, mi ritrovai ancora una volta fuori di casa.
Mi disse: Ascolta bene, ormai sei una ragazza grande. Anchio, come tuo padre, sogno la felicità. Fai le valigie e vai a vivere con papà! Non avevo scelta. Le chiesi di perdonarmi, ma lei ignorò le mie suppliche, finché gettò lo zaino tra le mie braccia e mi lasciò sulla soglia.
Andai di corsa a casa di papà, ma anche lui mi respinse: Capisci, questa è casa di mia moglie, e non vuole che tu viva con noi. Devi tornare da tua madre e cercare di far pace con lei. Mi sbatté la porta in faccia.
Persa e senza altra opzione, comprai un biglietto del treno. Da quel giorno la mia vita cambiò molto. Arrivai in un piccolo paese del nord Italia, mi iscrissi allistituto alberghiero e, dopo il diploma, trovai lavoro come cuoca.
Col tempo incontrai un ragazzo, mi innamorai e lo sposai. Insieme comprammo un appartamento tutto nostro. Mio marito, cresciuto in orfanotrofio senza mai conoscere lamore di una madre, mi supplicava ogni giorno di perdonare i miei genitori. Lui sapeva bene cosa significasse la solitudine.
Eppure, rimandavo di continuo una riconciliazione. Andò avanti così per anni, finché un giorno mio marito mi disse: Tu sei una persona felice, hai una madre e un padre. Ma per orgoglio scegli la strada di chi resta solo. Non puoi andare avanti così, nessuno è perfetto, tutti sbagliamo. Devi affrontare i tuoi genitori, altrimenti non avrai mai pace.
Così andammo insieme nel mio paese natale. Quando suonammo al campanello di quello che era stato il mio vecchio appartamento, ad aprire furono proprio i miei genitori, ormai anziani. Appena mi vide, mia madre si inginocchiò e mi chiese perdono. In quellistante capii: li avevo già perdonati da tempo, solo che non volevo ammetterlo a me stessa.
Entrammo, presentai mio marito e annunciai che aspettavamo un bambino. I miei genitori confessarono di essersi ritrovati proprio cercandomi insieme. La mia scomparsa li aveva uniti di nuovo e ora erano tornati a vivere come una famiglia.
Nel frattempo la seconda moglie di mio padre, notando la nostalgia che lui provava per la sua prima famiglia, gli permise di tornare da noi. In seguito si sposò con luomo con cui aveva tradito mio padre. Papà era convinto che il bambino fosse suo, ma più tardi un test di paternità dimostrò il contrario.
Ora i miei genitori sono felici e anchio lo sono. Proprio come sognavo da adolescente, ora mamma e papà vivono sotto lo stesso tetto. La vita, con tutti i suoi dolori, lascia però sempre aperta la porta della riconciliazione: a volte il perdono vale molto di più dellorgoglio.






