Dopo il matrimonio dei nostri figli, volevamo un cane per riempire il vuoto in casa, ma un ostacolo serio ci ha fermati

Dopo che i nostri figli si sono sposati, mio marito ha deciso di prendere un cane per riempire il vuoto a casa, ma un ostacolo serio ci ha fermati.

Quando i nostri figli sono cresciuti, si sono costruiti una loro famiglia e hanno lasciato la nostra casa a Parma, il silenzio che ha riempito il nostro nido divenne quasi palpabile. Ci opprimeva, come un peso enorme, lasciando un vuoto nell’anima. Fu allora che mio marito, Vittorio, si è entusiasmato con un’idea: avevamo bisogno di un cane, un nuovo membro della famiglia che riportasse vita e calore nella nostra casa.

Ma le sue parole, piene di entusiasmo, subito mi generarono preoccupazione, fredda e tagliente come il vento d’inverno. Da una vita combatto con l’allergia agli animali – fin da piccola, ogni contatto con il pelo mi provocava lacrime, starnuti e soffocamenti. Una sera, seduta con una tazza di tè nella nostra piccola cucina, mi decisi a parlargliene, sentendo la voce tremare dall’emozione:

— Vittorio, capisco che vuoi un cane per farci sentire meglio. Ma per l’amor di Dio, non dimenticare la mia allergia. Sarebbe un vero supplizio per me.

Mi guardò e nei suoi occhi lampeggiava un misto di speranza e delusione. Vittorio sospirò profondamente, come cercando di scacciare l’ombra che si era insinuata tra noi:

— E se trovassimo una razza ipoallergenica? Ho letto che esistono. Potremmo provarci, che dici?

Scossi la testa, sentendo crescere il panico dentro di me.

— Non ci sono garanzie, Vittorio. Ho paura per la mia salute; temo che sarebbe un incubo. Non possiamo trovare un’altra soluzione per affrontare questo vuoto?

S’incupì, abbassando lo sguardo verso la tazza, dove il tè si era ormai raffreddato.

— Pensavo solo che un cane potesse salvare entrambi. Anche tu senti la mancanza dei ragazzi, vero?

— Certo che mi mancano, — risposi io, cercando di addolcire il tono per non ferirlo. — Ma ci sono altri modi per porre rimedio. Pensiamoci insieme.

Un silenzio pesante come il piombo cadde su di noi. Ma sapevamo entrambi: dovevamo trovare una soluzione che non schiacciasse nessuno dei due.

Dopo qualche giorno, a cena, Vittorio si rianimò. I suoi occhi brillavano come un tempo, quando aveva delle grandi idee:

— E se diventassimo volontari in un rifugio per animali? Non saresti costantemente vicino a loro, l’allergia non ti colpirebbe, e potremmo comunque aiutare. Che ne dici?

Mi fermai per assaporare le sue parole. Era inaspettato, ma… ragionevole. Per la prima volta da tanto tempo, mi sentii sollevata.

— Sai, potrebbe funzionare, — dissi, lasciando trasparire una nuova speranza nella mia voce.

Così iniziò la nostra nuova vita. Ci iscrivemmo al rifugio locale per animali abbandonati e cominciammo a passarci i fine settimana. All’inizio avevo paura che persino un contatto così limitato risvegliasse la mia allergia, ma andò tutto bene — rimasi a distanza, aiutando con i documenti, nutrendo gli animali attraverso le grate, mentre Vittorio interagiva direttamente con i cani. Quei giorni divennero la nostra salvezza. Vedevamo gli occhi pieni di gratitudine degli animali, sentivamo il loro abbaiare gioioso e il vuoto che ci divorava dopo la partenza dei figli iniziò a ritirarsi.

Non portammo a casa un amico peloso, come sognava Vittorio, ma trovammo qualcosa di più — la possibilità di prenderci cura di decine di creature viventi, senza sacrificare la mia salute. Ogni volta, tornando dal rifugio, ci sentivamo necessari, vivi. Vittorio non mi guardava più con quella delusione negli occhi, ed io smisi di temere che i suoi sogni avrebbero distrutto la mia vita. Trovammo la nostra strada — non perfetta, ma nostra. E quel cammino, fatto di abbai, code scodinzolanti e gratitudine, divenne per noi un nuovo significato, una nuova luce in una casa dove un tempo regnava solo il silenzio.

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