— Dottore, dica la verità! — la voce tremava, le mani afferravano il bordo del tavolo con tanta forza da far ingrigire le nocche. — Non posso più aspettare!

“Dottore, me lo dica chiaramente!” La voce di Emanuela tremava, mentre le dita si stringevano così forte al bordo del tavolo da sbiancare le nocche. “Non posso più aspettare!”

L’uomo dietro la scrivania alzò lentamente lo sguardo. La luce della lampada si rifletteva sugli occhiali, nascondendo l’espressione dei suoi occhi. Posò la penna e sospirò profondamente.

“Quattordici settimane di gravidanza,” disse con calma, come se annunciasse il meteo.

Emanuela si bloccò. L’aria sembrò uscirle dai polmoni. Le labbra si mossero, ma non uscì alcun suono.

“Come…” sussurrò alla fine, sentendo un nodo salirle in gola. “Non è possibile…”

“Invece sì,” il dottore coprì la cartella con una mano, guardandola con attenzione. “Davvero non aveva sospettato niente?”

Emanuela Rossi, una donna snella di 45 anni con un caschetto castano e occhi verdi ancora vivaci, non aveva mai pensato di finire nello studio di un ginecologo della clinica “Salute & Vita”.

Le ospedali le erano sempre state insopportabili. L’odore pungente di disinfettante, il metallo freddo dello stetoscopio, i camici bianchissimi dei medici… tutto le riportava alla mente la maternità che, credeva, non le sarebbe mai stata concessa. Ma il medico di base del poliambulatorio di via dei Meli era stato inflessibile:

“Deve farsi controllare, Emanuela. Alla sua età non si può trascurare la salute.”

Ed eccola lì. In uno studio afoso con poster sulla salute femminile, dove ogni fruscio di carta suonava come una sentenza.

“Ma… come?” Emanuela si strinse le tempie, cercando di ordinare i pensieri. “Io e mio marito… noi non…”

Il dottore si sporse in avanti, incrociando le mani sul tavolo.

“Succede anche così. Congratulazioni,” nel suo tono c’era un lieve sorriso.

Emanuela chiuse gli occhi. Le passò per la mente: “Ho quarantacinque anni. Sono quasi una nonna. E ora…” Espirò, sentendo le lacrime scenderle sulle guance.

“Quale scelta?!” Emanuela si alzò di scatto, stringendo la borsa così forte che il laccio le incise il palmo. La voce tremava, non di paura, ma di rabbia. “Mi sta forse suggerendo di… liberarmene?”

Il dottore si scostò sulla sedia, come se il suo tono lo avesse colpito.

“Devo solo elencarle tutte le possibilità,” borbottò, sfogliando la cartella. “Rischi medici, complicazioni legate all’età…”

“Mio figlio non è un ‘rischio medico’!” Emanuela aprì con un colpo l’anta dell’armadio dove era appeso il suo cappotto. “Mi seguirà un altro medico. Uno che non lo consideri un… errore.”

Le sopracciglia del dottore si sollevarono, ma le tese solo il foglio delle analisi.

“Come preferisce. Ma almeno prenda le vitamine, per…”

“Grazie,” infilò il foglio nella borsa senza guardare. “Mi bastano venticinque anni di attesa invece delle sue pillole.”

La porta si chiuse con un colpo così secco che le infermiere nel corridoio trasalirono.

Il telefono si scaricò proprio mentre Emanuela stava chiamando il marito. “Simbolico,” ridacchiò amaramente, guardando lo schermo spento.

“Le nozze d’argento tra un mese… e ora questo. Come glielo dico?”

Chiuse gli occhi, ricordando gli anni di tentativi: ospedali infiniti, viaggi al centro termale “Pineta del Lago”, dove l’aria profumava di resina e speranza, perfino quella ridicola visita alla vecchia fattucchiera sorda alle porte di Orvieto. Quella, masticando chissà quali radici, aveva brontolato: “Il bimbo arriverà quando smetterete di aspettarlo.” Lei e Andrea avevano riso in macchina… e ora…

“Mio Dio,” Emanuela rise tra le lacrime, premendo le mani sul ventre. “E noi che abbiamo già prenotato la Grecia per l’anniversario…”

Dall’altoparlante sopra la testa trasmettevano le regole per le visite. Da qualche parte gocciolava un rubinetto. E nel suo petto, insieme alla paura dimenticata, batteva qualcosa di caldo e selvaggio.

“Andrea… impazzirà dalla felicità.” Si aggiustò il cappotto e uscì decisa.

“Devo caricare il telefono. E comprare un test. Dieci, per sicurezza. E poi…”

I pensieri si accavallavano, ma uno era chiaro: era un miracolo!

E che i pronostici dei medici restassero dove meritavano.

Emanuela viaggiava su un autobus affollato, schiacciata al vetro dal gomito di qualcuno, ma nemmeno la ressa poteva offuscare i suoi pensieri. Una sola cosa le girava in testa: “Andrea… sarà così felice!”

Lei e il marito avevano smesso di sperare da anni. Dieci anni prima, dopo infinite visite da medici, cliniche e perfino quella veggente che lo zio Peppe aveva consigliato, avevano alzato le spalle. “Se Dio non vuole, pace,” aveva detto Andrea, e Emanuela aveva annuito in silenzio, nascondendo le lacrime.

Ma ora… ora tutto era cambiato. Premé una mano sul ventre, ancora piatto, ancora senza tracce del segreto, e sorrise. “Sarà felicissimo,” pensò, ricordando come appena due settimane prima Andrea, seduto in cucina, aveva parlato con invidia del vicino del diciassettesimo piano.

“Figurati, gli è nato il quarto figlio,” diceva, agitando una forchetta. “E il maggiore ne ha già ventotto!”

“Non è un po’ tardi, a quell’età?” aveva chiesto lei, guardando il suo volto illuminarsi da una rara espressione sognante.

“Sai, se ora diventassi padre…” Si era interrotto, poi aveva scosso la testa. “Non mi importerebbe l’età. Sposterei le montagne!”

E ora… Le venne un’illuminazione. “Una sorpresa!” L’anniversario era vicino! Venticinque anni insieme. Il ristorante già prenotato, la torta… “La torta!”

“Invece delle rose… orsetti!” sussurrò, immaginando Andrea che avrebbe visto la torta, si sarebbe stupito, e poi… poi gli avrebbe svelato tutto. Prese il telefono e compose il numero della pasticceria.

“Pronto? Buongiorno! Sono Emanuela, abbiamo ordinato la torta a tre piani per l’anniversario… Sì, quella. Ascolti, vorrei fare una modifica…”

La voce le tremava per l’emozione. Si immaginò la festa, la torta con orsetti e coniglietti, lo sguardo perplesso di Andrea, e il suo sorriso mentre gli avrebbe detto…

Ma i sogni sono fragili.

I giorni prima della festa Emanuela li passò come in un dolce torpore. Non notò che Andrea era diventato pensieroso, che tornava tardi dal lavoro, che il telefono lo teneva sempre con lo schermo rivolto verso il basso.

“Succede qualcosa? Ultimamente sei strano,” gli chiese una sera, mentre lui, fisso alla TV, non rispondeva.

“Solo stanco,” borbottò, evitando il suo sguardo.

“Vuoi che andiamo dal dottore?” Si sedette accanto a lui, appoggiando una mano sulla sua spalla.

“No, tutto a posto,” si alzò di scatto. “Vado a farmi una doccia.”

Non gli diedeAlla fine, mentre il sole tramontava su Firenze, Emanuela sorrideva guardando Andrea giocare con i loro due bambini, sentendo nel cuore che la vita, a volte, sa regalare le più inaspettate e dolci rivincite.

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