“Dove andate? Siamo venute a farvi visita!” gridò Francesca, fissando la figlia con aria di sfida.
“Odio tua sorella!” sbottò Ginevra, il volto contratto dalla rabbia. “Mi fa impazzire!”
“Non sei lunica,” rispose Matteo, stringendole la mano in segno di sostegno.
“Si intromette in tutto e crede di essere più intelligente di chiunque altro. Dovresti vederla quando riesce a umiliarmiquel sorriso trionfante!” mormorò Ginevra, digrignando i denti. “Prima critica la mia educazione, poi il mio trucco, come se fossi rimasta agli anni ’90!”
“È sempre stata così,” sospirò Matteo, scrollando le spalle. “Colpa di mamma, che lha sempre viziata e le ha permesso tutto.”
“Meno male che viviamo a cento chilometri da loro,” disse Ginevra, alzando gli occhi al cielo.
La suocera, Raffaella, e la cognata, Lavinia, vivevano a Milano, mentre Matteo e Ginevra abitavano in un paesino della Lombardia.
Le due donne, entrambe vedove, condividevano un appartamento in città, così ogni volta che la coppia andava a trovare Raffaella, finivano inevitabilmente anche da Lavinia.
La sorella di Matteo non sopportava Ginevra, e gli scontri erano allordine del giorno.
Allinizio, Ginevra sopportava in silenzio, ma poi iniziò a rispondere a tono, vedendo che anche Raffaella, approfittando della sua debolezza, si metteva a criticarla.
Ogni visita si trasformava in un dramma, e la coppia decise di smettere di andare a Milano.
Raffaella se ne accorse subito e cominciò a telefonare al figlio, esigendo spiegazioni.
“Perché non venite più? Sono già passate due settimane! Non pensi che tua madre e tua sorella si sentano sole?” rimproverò, la voce carica di rimprovero.
“Abbiamo molto da fare, non abbiamo tempo,” rispose Matteo secco, evitando di approfondire.
“Che cosa mai di così importante?” chiese Raffaella, sospettosa. “Tua moglie te lo vieta? Lultima volta se nè andata con una faccia più lunga del Canal Grande!”
“Ti ho detto, abbiamo impegni,” tagliò corto Matteo, chiudendo la chiamata.
Ma unora dopo, Raffaella richiamò, annunciando che lei e Lavinia sarebbero passate al paese.
“Perché?” domandò Matteo, sorpreso.
“Siamo in giro per trovare unamica e approfittiamo per vedervi, visto che voi non vi fate vivi,” spiegò Raffaella con tono deciso.
Il volto di Matteo si oscurò. Non evitava la famiglia per ritrovarsela in casa.
“Probabilmente non saremo qui,” disse, sperando di scoraggiarle.
“Dove andate?” sbottò Raffaella, irritata. “Secondo me, non avete nessuna voglia di vederci. Se è così, ditelo chiaramente!”
“Un compleanno,” inventò Matteo in fretta.
“Andate pure, anche se vostra madre e vostra sorella non vengono tutti i giorni,” rispose amareggiata, riagganciando.
Matteo si sentì in colpa, ma ricordando come trattavano Ginevra, la sensazione svanì.
Non disse nulla alla moglie per non preoccuparla, ma tre ore dopo capì di aver sbagliato.
Quando il campanello suonò, Ginevra aprì la porta.
Al vedere Raffaella e Lavinia con quel sorriso sarcastico, rimase di stucco. Non si aspettava quellinvasione.
Matteo, ricordandosi allultimo momento, corse nellingresso.
“Ginevra, sei pronta? Non ti sei ancora cambiata?” disse, fingendo di non notare le ospiti indesiderate.
“Pronta per cosa?” chiese lei, confusa.
“Il compleanno! Hai dimenticato?” sorrise Matteo, teso. “Oh, mamma, Lavinia che ci fate qui?”
“Siamo venute, te lho detto,” rispose Raffaella, pacata. “Possiamo entrare, invece di restare sulla porta?”
“No, non possiamo, stiamo uscendo. Ginevra, cambiarti, subito!” ordinò Matteo, prendendola per mano.
Ginevra lo guardò interrogativa, ma un suo ammiccamento le fece capire la situazione.
“Dove andate? Siamo venute apposta!” disse Lavinia, incrociando le braccia. “Non è un po tardi per un compleanno?”
“No, dobbiamo essere qui per le otto,” tagliò corto Matteo. “Tra mezzora siamo già in ritardo.”
“Ci vai in pantofole?” rise sarcastica Raffaella, notando i vestiti casual del figlio.
“Dannazione, mi sono dimenticato!” fece Matteo, arrossendo, prima di correre in camera.
Lavinia e Raffaella si scambiarono unocchiata scettica.
Non credevano che davvero avessero un impegno.
Erano certe che fosse una scusa per liberarsi di loro.
“Non potete rimandare per noi?” chiese Raffaella quando Matteo tornò, vestito.
“Impossibile,” rispose lui, deciso. “Aspettano solo noi. E il ristorante è già prenotato. Tornate la prossima settimana,” propose, sapendo che si sarebbero offese.
“Potremmo aspettarvi qui,” suggerì Lavinia, scrutando lappartamento.
“No, perché mai?” rifiutò Matteo. “Non avete altro da fare?”
“Meglio qui che da unamica che non ci vuole,” rise amara Raffaella.
“Vi porto in stazione?” offrì Matteo, sperando di sbarazzarsene.
“Non ci sono più autobus,” replicò Lavinia, maliziosa.
“Prenoto un albergo per voi,” propose Matteo. “Mi dispiace, ma non posso fare di più.”
Raffaella aggrottò le sopracciglia, delusa.
“Un albergo?” fece Lavinia, offesa. “Avete paura che rubiamo?”
“No, semplicemente non vogliamo lasciare nessuno in casa,” intervenne Ginevra.
“Vi accompagno,” insistette Matteo.
“Non serve!” sbottò Raffaella, uscendo.
Lavinia la seguì, lanciando occhiate velenose.
Quando le videro allontanarsi dalla finestra, Matteo e Ginevra sospirarono di sollievo.
La scusa del compleanno non serviva più.
Raffaella e Lavinia presero un taxi e tornarono a Milano, decise a non parlare più con quei “parenti scortesi”.
Matteo ci pensò solo quando, mesi dopo, dovette andare in città per una visita medica e cercò un posto per pranzare.
Lavinia aprì la porta e, vedendolo, disse seccamente: “Stiamo uscendo. Non lasciamo estranei in casa.”
Matteo capì, con un nodo alla gola, che erano ancora profondamente offese.
Dopo quellincontro, i rapporti si spezzarono per sempre.





