Dove la luce non arriva
Prologo
Nellinverno più gelido, nel cuore affamato e desolato del ghetto di Roma, una giovane madre ebrea prese una decisione che avrebbe segnato per sempre il destino di suo figlio. La fame era una compagna costante. Le strade odoravano di paura e malattia. Le deportazioni arrivavano puntualiogni treno, un biglietto di sola andata. Le mura sembravano stringersi ogni giorno di più.
Eppure, in quelloscurità soffocante, trovò una fessurauna via duscita, non per sé, ma per il suo bambino appena nato.
I. Il freddo e la paura
Il vento tagliava come lame mentre la neve copriva macerie e corpi. Giulia guardò dalla finestra rotta della sua stanza, stringendo al petto il piccolo Davide. Il bambino, di pochi mesi, aveva già imparato a non piangere. Nel ghetto, un singhiozzo poteva costare la vita.
Giulia ricordava tempi migliori: le risate dei genitori, il profumo del pane appena sfornato, la musica del sabato. Tutto svanito, sostituito dalla fame, dalla malattia e dalla paura costante degli stivali che risuonavano di notte.
Le notizie correvano di bocca in bocca: un nuovo rastrellamento, una nuova lista di nomi. Nessuno sapeva quando sarebbe toccato a loro. Giulia aveva perso il marito, Matteo, mesi prima. Se lo portarono via in una delle prime deportazioni. Da allora, sopravviveva solo per Davide.
Il ghetto era una trappola. Le mura, prima erette per “proteggere”, ora erano sbarre. Ogni giorno, il pane era meno, lacqua più sporca, la speranza più lontana. Giulia divideva la stanza con altre tre donne e i loro figli. Tutte sapevano che la fine era vicina.
Una notte, mentre il gelo faceva scricchiolare i vetri, Giulia udì un sussurro nelloscurità. Era Rosa, la sua vicina, con gli occhi scavati dal pianto.
Ci sono uominidisse a bassa voce. Lavorano nelle fogne. Aiutano a far uscire le famiglie a un prezzo.
Giulia sentì una scintilla di speranza e terrore. Era possibile? E se fosse una trappola? Ma non aveva più nulla da perdere. Il giorno dopo, cercò quegli uomini di cui parlava Rosa.
II. Laccordo
Lincontro avvenne in una cantina umida, sotto la bottega di un calzolaio. Tra lodore di cuoio e muffa, Giulia conobbe Antonio e Luca, due operai delle fogne. Uomini duri, volti segnati dalla fatica e dal rimorso.
Non possiamo far uscire tuttiavvertì Antonio, la voce roca. Ci sono pattuglie. Occhi ovunque.
Solo mio figliosussurrò Giulia. Non chiedo nulla per me. Solo salvate lui.
Luca la guardò con compassione.
Un neonato? Il rischio è grande.
Lo so. Ma se resta, morirà.
Antonio annuì. Avevano aiutato altri, ma mai un bimbo così piccolo. Concordarono il piano: una notte, durante il cambio della guardia, Giulia avrebbe portato Davide al punto dincontro. Lo avrebbero calato in un secchio di metallo, avvolto in coperte.
Giulia tornò al ghetto con il cuore stretto. Quella notte, non chiuse occhio. Guardò il figlio, così piccolo, così fragile, e pianse in silenzio. Sarebbe stata capace di lasciarlo andare?
III. Laddio
La notte scelta arrivò con un gelo che faceva crepare la pietra. Giulia avvolse Davide nel suo scialle più caldolultimo ricordo di sua madrelo baciò sulla fronte.
Cresci dove io non possodisse, con la voce spezzata.
Camminò per strade deserte, evitando ombre e soldati. Al punto dincontro, Antonio e Luca già laspettavano. Senza parole, Antonio sollevò il coperchio di una botola. Il fetore era insopportabile, ma Giulia non esitò.
Pose Davide nel secchio, assicurandosi che fosse ben coperto. Le mani le tremavano, non per il freddo, ma per il peso di ciò che stava per fare. Si chinò, avvicinando le labbra allorecchio del bambino.
Ti amo. Non dimenticarlo mai.
Luca calò il secchio lentamente. Giulia trattenne il fiato finché non scomparve nelloscurità. Non pianse. Non poteva. Se avesse pianto, non sarebbe riuscita a restare.
Non seguì suo figlio. Non poteva. Rimase, accettando il destino che laspettava, sapendo che almeno Davide aveva una possibilità.
IV. Sottoterra
Il secchio scese nel buio. Davide non pianse, come se capisse la gravità del momento. Luca lo prese con mani ferme, stringendolo al petto per proteggerlo dal freddo e dalla paura.
Le fogne erano un labirinto di ombre e puzza. Luca avanzò a tentoni, guidato solo dalla memoria. Ogni passo un rischio: pattuglie, traditori, il pericolo di perdersi per sempre.
Antonio li raggiunse più avanti. Insieme, attraversarono tunnel che parevano non finire mai. Lacqua gelida arrivava alle ginocchia. Solo leco dei passi e il battito dei loro cuori rompevano il silenzio.
Finalmente, dopo ore, trovarono unuscita nascosta, oltre le mura del ghetto. Li aspettava una famiglia. Era il primo anello della resistenza.
Abbi cura di luisussurrò Luca, porgendo Davide avvolto nello scialle. Sua madre non è potuta venire.
La donna, Maria, annuì con le lacrime agli occhi. Da quel momento, Davide fu anche suo figlio.
V. La vita in prestito
Davide crebbe nella clandestinità. Maria e suo marito, Giovanni, lo allevarono come loro, anche se il pericolo non svanì mai. Lo chiamarono Marco, per proteggerlo. Lo scialle della madre vera fu la sua unica eredità, custodito come un tesoro.
La guerra continuò, spietata. Notti di bombe, giorni di fame, mesi di paura. Ma anche momenti di tenerezza: una ninna nanna, il profumo del pane, il calore di un abbraccio.
Marco imparò a leggere con i libri che Giovanni recuperava da case abbandonate. Maria gli insegnò a pregare in silenzio, a nascondersi al rumore di passi sconosciuti.
Passarono gli anni. La fine della guerra arrivò come un sospiro di sollievo e dolore. Molti non tornarono. I nomi dei scomparsi fluttuavano nellaria, fantasmi senza tomba.
Quando Marco compì dieci anni, Maria gli disse la verità.
Non sei nato qui, figlio. Tua madre era una donna coraggiosa. Ti ha salvato donandoti a noi.
Marco pianse per una madre che non ricordava, per un passato che poteva solo immaginare. Ma nel cuore, seppe che lamore di Maria e Giovanni era reale quanto quello della donna che lo aveva lasciato andare.
VI. Radici nellombra
Il dopoguerra portò nuove sfide. Lantisemitismo non svanì con i tedeschi. Maria e Giovanni protessero Marco da chiacchiere, sguardi, domande pericolose.
Lo scialle divenne il suo talismano. A volte, lo tirava fuori di nascosto, accarezzando la stoffa consumata, immaginando il volto di colei che lo aveva avvolto.
Marco studiò, lavorò, si sposò. Ebbe figli. Non dimenticò le sue origini, anche se per decenni le tenne nascoste. La paura rimase, unombra impossibile da scacci